Codice appalti

Ennesima modifica agli Appalti: che aria tira?

TopLegal, con Lipani Catricalà e Zoppolato, ha provato a capire quali possono essere le prossime modifiche cui verrà sottoposto il codice

01-03-2019

Ennesima modifica agli Appalti: che aria tira?



Pochi giorni fa il ministro Toninelli ha annunciato l’approvazione nel prossimo futuro di un decreto-legge c.d. “sblocca-cantieri”. L’intento dichiarato è impedire che le modifiche più organiche del codice appalti rallentino quelle più urgenti. Il codice, peraltro, è già stato oggetto di diversi interventi. C’è stata una modifica strutturale tramite il c.d. correttivo (d.lgs. 56/2017), mentre con il d.l. “semplificazioni” (d.l. 135/2018) è stato modificato l’art. 80 e con la legge di bilancio 2019 è stata innalzata la soglia per l’affidamento diretto da 40mila a 150mila euro. Nel decreto sblocca-cantieri dovrebbero confluire tutte quelle variazioni che non possono attendere un lungo iter legislativo e che possono dare un impulso istantaneo agli appalti pubblici. 

Alla luce della situazione attuale, abbiamo chiesto a due studi specializzati nel settore, Lipani Catricalà e Zoppolato, quali sono le modifiche urgenti che necessita il codice appalti.

In realtà, secondo Maurizio Zoppolato, name partner dell’omonimo studio, il rallentamento degli appalti pubblici non è tanto causato dal codice degli appalti in sé quanto da intrinseci problemi nel sistema: «Vi è una criticità a monte data dall’enorme quantità di autorizzazioni necessarie al fine di avviare le gare pubbliche, unita alle relative lungaggini burocratiche per ottenerle, che blocca sul nascere la pubblicazione dei bandi di gara. Vi è poi una problematica a valle, che consiste nella redazione di progetti approssimativi e nella previsione di tempistiche irreali per l’esecuzione dei contratti, soprattutto nei lavori pubblici. Il committente vuole i lavori/servizi/forniture il prima possibile, senza tenere conto dei tempi necessari per la loro progettazione e realizzazione, con la conseguente litigiosità che ne deriva nel momento in cui non si rispetta il contratto».

La verifica dei requisiti                                                                      Tuttavia, anche la formulazione attuale del codice appalti non è esente da criticità. Secondo Damiano Lipani, founding partner di Lipani Catricalà, l’art. 32 del codice dovrebbe essere modificato. Tale norma colloca la fase di verifica del possesso dei requisiti in capo all’aggiudicatario dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione e prima della stipula del contratto, subordinando all’esito di tale verifica l’efficacia dell’aggiudicazione stessa. Lipani sottolinea che «in ossequio al principio dell’interesse ad agire e per un più concreto perseguimento di finalità deflattive del contenzioso, sarebbe più opportuno anticipare il momento della verifica del possesso dei requisiti dell’aggiudicatario collocandolo prima dell’aggiudicazione, conferendo così alla stessa immediata efficacia». Ma i problemi non finiscono qui.

Subappalto, lo scontro tra Italia e Ue
Una misura su cui senz’altro occorrerebbe intervenire è il subappalto. L’Italia, infatti, è già destinataria di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione Ue proprio in ragione dell’incompatibilità delle norme del codice con le norme europee. L’articolo 105 del codice prevede che l'eventuale subappalto non può superare la quota del 30% dell'importo complessivo del contratto. Si tratta di un limite che non trova nessuna corrispondenza nella direttiva europea (cui l’Italia doveva conformarsi) e che non risponde al principio della massima partecipazione alle gare pubbliche. Infatti, di fronte ad appalti sempre più complessi – quali i global services o i lavori concernenti grandi opere – chiedere di subappaltare non più del 30% significa destinare gli appalti solo a quegli operatori economici capaci di eseguire il contratto sostanzialmente da sé. Il che, sottolinea Maurizio Zoppolato, «si traduce in un’esclusione di fatto delle Pmi dai contratti pubblici più remunerativi, in contrasto rispetto a quanto si prefigge la direttiva europea e il codice stesso, che ha invece insistito “a parole” su un’ampia politica di inclusione». 

Anche la previsione che obbliga i partecipanti alle gare pubbliche a indicare la c.d. terna di subappaltatori non convince. In base a questa norma, infatti, l’operatore economico che partecipa alla gara e intende subappaltare parte di essa, anche se ha un subappaltatore di fiducia, è obbligato a indicare tre potenziali subappaltatori. Questo, peraltro, senza nessun obbligo espresso a dover consultare la terna una volta aggiudicato l’appalto!

Il criptico articolo 80
Un’altra norma nel mirino è l’articolo 80 del codice, dedicato ai motivi di esclusione degli offerenti dalle gare pubbliche. Si tratta di una previsione legislativa che, nonostante i diversi interventi, rimane tuttora troppo generica e oscura. Lipani ritiene opportuno «specificare le previsioni, fornendo indicazioni atte a perimetrare, per quanto possibile, le circostanze passibili di dichiarazione e valutazione, oltre ai soggetti dell’impresa cui occorre far riferimento». Infatti, il risultato della formulazione attuale della norma è che, poiché difficilmente vengono rilevate violazioni, quando ciò accade il sistema diventa inflessibile e vengono comminate punizioni eccessive agli operatori economici colti in fallo. Ad esempio, per un errore ingenuo, magari causato da un dettato nebuloso del bando di gara, il legale rappresentante della società può vedersi accusato di false dichiarazioni! Inoltre, le linee guida Anac prevedono la possibilità di escludere dalla gara pubblica l’offerente destinatario di una sentenza penale non passata in giudicato, in palese contrasto con la presunzione d’innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione.

Altri nodi da sciogliere
Vi sono poi altre norme problematiche segnalate dagli intervistati. Per citarne alcune: l’art. 183 sul project finance, che prevede tempi troppo lunghi e soprattutto lo spostamento di tutti i rischi e le garanzie in capo al promotore privato; l’art. 89 sull’avvalimento, che prevede l’ingiusta escussione della garanzia del concorrente in caso di dichiarazione mendace dell’ausiliaria. E ci sono dubbi sulla costituzionalità dell’articolo 177, che prevede l’obbligo di esternalizzare l’80% dei contratti relativi alle concessioni, ivi incluse le attività che potrebbero essere eseguite in proprio dal concessionario. 

Non resta che attendere il decreto sblocca-cantieri per capire se queste criticità verranno indirizzate fin da subito oppure confluiranno in riforme a più ampio respiro. 

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