ESG e transizione sostenibile: le nuove frontiere del cambiamento delle imprese tra obbligo ed opportunità

13-09-2023

ESG e transizione sostenibile:  le nuove frontiere del cambiamento delle imprese tra obbligo ed opportunità

 

di Miriam Allena, Tiziana de Virgilio e Mario Cigno – Baker McKenzie Italia

La sfida della sostenibilità sta diventando sempre più concreta per le imprese europee: è oramai convinzione diffusa che una mobilitazione del settore privato sia fondamentale per realizzare la transizione verso l'economia verde e climaticamente neutra prevista dal Green Deal europeo entro il 2050 e, più in generale, per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU, in materia, tra l'altro, di diritti umani e ambiente.

Per raggiungere tale ambizioso obiettivo è essenziale maturare una consapevolezza, da declinarsi non solo in chiave normativa, ma anche, e soprattutto, dell'azione collettiva: siamo nel vivo di una partita, quella della transizione ecologica e sostenibile, che, ad oggi, ci vede in una posizione di estrema difficoltà.

Al contempo, le azioni volontarie sinora messe in atto non sembrano avere portato a miglioramenti su vasta scala dal punto di vista degli impatti su ambiente e diritti umani, sia in Europa sia nel resto del mondo.

Ed allora, cosa fare per accelerare la complessa e necessaria inversione, o per meglio dire, transizione di rotta?

Il legislatore europeo ha scelto di adottare una ‘difesa alla siciliana’, agendo su più fronti con una copiosa e dinamica produzione normativa, in cui l'approccio volontaristico e promozionale e quello di soft law, connotati da una forte componente etica e morale, tipica della Corporate Social Responsability, hanno lasciato progressivamente il passo, negli ultimi anni, a una prospettiva più propriamente giuridica e a maglie sempre più strette per le imprese. In questo contesto, la sostenibilità è vista, da un lato, come un rischio da gestire - con potenziali rilevanti ricadute sanzionatorie e risarcitorie - e, dall'altro, altresì, come una opportunità, ossia come una dimensione strategica oramai imprescindibile per lo sviluppo dell'impresa.

Ciò ha coinciso con l'adozione, da parte delle istituzioni europee, di una serie di normative sulla sostenibilità. Dapprima, si è trattato di normative flessibili, ispirate al principio comply or explain, con l'imposizione alle imprese di precisi obblighi informativi e di trasparenza circa l'adozione (o la mancata adozione) di determinate politiche, o la considerazione/non considerazione di determinati impatti sui fattori ESG. Si pensi alla Direttiva 2014/95/UE, sulla disclosure "non finanziaria" delle performance ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta alla corruzione attiva e passiva.

In un secondo momento, andando oltre un intervento basato su meri obblighi informativi - e pur mettendo mano, contemporaneamente, a un rafforzamento della normativa sulla comunicazione societaria - le istituzioni europee sono intervenute con l'imposizione di condotte di dovuta diligenza in materia di sostenibilità.

Quattro normative, in particolare, segnano bene questi passaggi.

La Direttiva 2464/2022, del 28 dicembre 2022, sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD) ha, da un lato, ampliato l'informativa di sostenibilità, estendendo i relativi obblighi non solo alle grandi imprese, ma anche a tutte le imprese quotate (con la sola esclusione delle microimprese); dall'altro, ha reso obbligatoria la verifica da parte di esperti indipendenti (cd. assurance) delle informazioni riportate, prevedendo altresì un obbligo di rendicontazione secondo standard definiti dall'Unione Europea: ciò, al fine di armonizzare la rendicontazione di sostenibilità in Europa e, di riflesso, assicurare la comparabilità delle informazioni comunicate dalle varie imprese.

L’obiettivo è chiaro: raggiungere il complesso e delicato equilibrio tra il rafforzamento degli obblighi e delle responsabilità per ottenere risultati concreti e secondo una tempistica ragionevole.

Tuttavia, per raggiungere tale ambizioso obiettivo è necessario, innanzitutto, stabilire quali sono le ‘regole del gioco’ comuni e, dunque, definire standard di rendicontazione, che siano espressione di parametri condivisi ed armonizzino i differenti indici e criteri di rendicontazione già esistenti ed utilizzati per la rendicontazione di sostenibilità su base volontaria, primi fra tutti gli attuali i cd. GRI (Global Reporting Initiative) e gli ISSB (International Sustainability Standards Board).

A tal fine, lo scorso 31 luglio, la Commissione Europea, nell’ambito del piano attuativo della CSRD, ha adottato in via definitiva il primo set degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che costituiranno i parametri valutativi in sede di rendicontazione di sostenibilità, redatti su proposta dell'EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) e che saranno composti da 12 standard generali, di cui 2 cross-cutting e 10 relativi a tematiche specifiche (e.g., cambiamento climatico, forza lavoro, modalità di conduzione dell’attività d’impresa).

La Commissione, al fine di agevolare le imprese nelle operazioni di rendicontazione, ha previsto che tutte le informazioni contenute all’interno degli standard siano soggette al principio della valutazione di rilevanza (materiality) da parte dell’impresa ed, in specie, possibilità per le imprese di determinare su base volontaria i temi rilevanti che le riguardano, senza obbligo di giustificare l’esclusione dei temi ritenuti non rilevanti, rendicontando obbligatoriamente solo con riguardo  agli ESRS 1 (General Requirements) ed ESRS 2, mentre per gli altri ESRS sarà necessario svolgere un’analisi interna di rilevanza e rendicontare consequenzialmente. 

La Commissione ha previsto un periodo transitorio di ‘clemenza’, specialmente per il primo anno di applicazione della CSRD, consentendo, ad esempio, alle imprese che impiegano meno di 750 dipendenti di omettere i dati relativi alle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) rientranti in ‘Scope 3’ e tutti gli obblighi di informativa specificati nello ESRS S1 ‘Own workforce’.

Da ultimo, sono stati modificati alcuni requisiti di reportistica, in modo da armonizzarli con le normative locali già adottate dagli Stati Membri, prima fra tutte la legislazione in materia di cd. whistleblowing, il cui adempimento è stato posto tra i requisiti definiti dall’ESRS G2 in materia di governance aziendale.

Pochi mesi dopo l'adozione della CSRD, il 9 giugno 2023, il Parlamento europeo ha poi approvato il nuovo Regolamento sulla deforestazione (Regolamento UE 2023/1115, EUDR) che riguarda l'immissione nel mercato europeo e l'esportazione fuori dall'Unione europea di un lungo elenco di prodotti (dal cioccolato, alla palma da olio, alla gomma, al cuoio, ai bovini, ecc.) fabbricati (o nutriti, nel caso dei bovini) usando determinate materie prime e prodotti associati alla deforestazione: vale a dire cacao, caffè, palma da olio, bovini, gomma, soia e legno. In specie, il Regolamento prevede il divieto di immissione in commercio/esportazione di tali prodotti e materie prime salvo che (i) siano a deforestazione zero, (ii) siano stati prodotti in conformità con la legislazione pertinente del Paese di produzione e (iii) siano oggetto di una dichiarazione di dovuta diligenza.

In sostanza, per assicurarsi che i suddetti prodotti e materie prime siano "a deforestazione zero", gli operatori dovranno verificare che gli stessi non derivino / siano stati fabbricati con materie prime provenienti da terreni oggetto di deforestazione successivamente al 31 dicembre 2020 e, nel caso del legname e dei suoi derivati, che siano stati raccolti senza causare il degrado della foresta di origine dopo il 31 dicembre 2020. Per fare ciò, dovranno porre in essere procedure di due diligence volte a raccogliere informazioni, valutare il rischio di non conformità dei suddetti prodotti e materie prime e adottare procedure e misure adeguate di attenuazione del rischio.

Il testo normativo più rivoluzionario e controverso è però la proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CS3D), pubblicata dalla Commissione il 23 febbraio 2022. Sul testo si sono già pronunciati il Consiglio (con una posizione di compromesso) e, da ultimo (l'1 giugno 2023), il Parlamento, il quale ha viceversa supportato e addirittura esteso alcuni degli obblighi di cui alla proposta della Commissione.

Si tratta di una normativa ancora in corso di approvazione e occorrerà aspettare la versione definitiva per valutarne l'eventuale e reale impatto sull'attività delle imprese.

Tuttavia, già oggi si può cogliere la grande innovatività del testo in discussione che propone una applicazione orizzontale di molte Convenzioni e Trattati internazionali tradizionalmente vincolanti gli Stati e promette di rivoluzionare il modo di fare business delle imprese europee ed extra europee. Uno dei profili di interesse della CS3D è infatti la circostanza che il campo di applicazione della Direttiva dovrebbe estendersi anche alle imprese e ai gruppi extra europei (quindi, americani, asiatici, ecc.) che, pur non avendo sede nell'Unione Europea, raggiungono un certo fatturato (il quaranta per cento del loro fatturato globale) all'interno del mercato dell'Unione.

La CS3D, riprendendo ben noti strumenti di soft law (quali i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani e le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali) e armonizzando varie normative nazionali emanate in diversi Paesi dell'Unione europea, introduce un dovere di diligenza delle imprese rispetto agli impatti negativi sull'ambiente e sui diritti umani da esse generati direttamente o tramite i rapporti d'affari che intrattengono lungo l'intera catena del valore. Detto altrimenti, le imprese avranno l'obbligo di individuare, prevenire, attenuare, arrestare i suddetti impatti negativi nell'insieme delle attività a monte e a valle della produzione dei loro prodotti o servizi.

Al riguardo, meritevole di attenzione è la prospettata responsabilità degli amministratori delle imprese, laddove si accerti la violazione del proprio dovere di "agire al meglio", lasciando spazio anche forme di remunerazione incentivante al tal fine, da intendersi quale dovere di agire nel migliore interesse della società, tenendo conto degli aspetti relativi a diritti umani, cambiamenti climatici e conseguenze ambientali connessi alle strategie aziendali e, in generale, rispetto ai profili che saranno oggetto di due diligence.

Sullo sfondo, c'è l'idea che la grande impresa non possa abdicare a un ruolo che appare oramai ineludibile, visto il massiccio impatto della sua attività sulla società.

Da ultimo, sul fonte social si segnala la proposta di Regolamento della Commissione europea del 14 settembre 2022, che si propone di completare e rafforzare l’attuale quadro normativo europeo, che introduce il divieto di importazione ed esportazione di prodotti realizzati con l’uso di lavoro forzato, ivi incluso il lavoro minorile, all’interno del mercato dell’Unione Europea.

Gli Stati Membri dovranno poi individuare le autorità nazionali che saranno responsabili di vigilare sulla applicazione del Regolamento, sanzionando le imprese in caso di violazioni, e prevedendo, innanzitutto, il ritiro (nonché l'obbligo di distruggere e smaltire) dei prodotti interessati, con eccezione di quelli già in possesso del consumatore finale. La proposta di Regolamento, sebbene presenti punti in comune con la CS3D, rispetto a quest’ultima non si focalizza sugli obblighi di due diligence lungo la filiera, ma impone specifiche limitazioni in merito alla commercializzazione dei prodotti tramite l’impiego di lavoro forzato, mirando ad incidere al contempo sulle scelte produttive e sui rapporti commerciali delle imprese.

L'articolato quadro normativo, emanato ed emanando, sin qui richiamato, tuttavia, da solo non sarà sufficiente per compiere l'auspicata 'transizione verde', che sarà invece possibile sono se la maggior parte dei flussi finanziari, sia pubblici sia privati, saranno indirizzati verso attività economiche "sostenibili".

Ed ancora, sarà fondamentale, come detto, che le imprese possano attestare la propria sostenibilità su elementi misurabili.

L'adozione degli ESRS consentirà di misurare e comparare le prestazioni e i risultati di sostenibilità di tutte le circa 50.000 aziende comunitarie che saranno obbligate alla rendicontazione di sostenibilità della CSRD. O forse anche di più, posto che le aziende che non saranno direttamente  sottoposte agli obblighi di reporting della CSRD potrebbero dover misurare le proprie prestazioni di sostenibilità e condividere i propri indicatori con le imprese che saranno obbligate a redigere il bilancio di sostenibilità ai sensi della CSRD, in quanto facenti parte della cd. value chain delle predette aziende.

Il coinvolgimento "indiretto" di aziende che rientrano nella chain of activities (come identificata nell'ultima versione della proposta di CS3D) rappresenta, dunque, un elemento comune rispetto alla EUDR e, appunto, alla CS3D.

La gestione degli approvvigionamenti delle materie prime, delle fonti di energia impiegate nei processi produttivi, delle condizioni di lavoro, delle metodologie e tecnologie operative, il monitoraggio della intera filiera produttiva e commerciale e l’attenzione agli impatti che tutto ciò ha sul territorio in cui l’impresa opera, costituiranno il fulcro degli adempimenti in materia di sostenibilità cui saranno progressivamente tenute le imprese.

A tal fine sarà indispensabile rivedere e aggiornare i processi aziendali per consentire un'adeguata verifica dei propri partner e fornitori, anche per poter gestire il proprio mercato ed essere in grado di cogliere le opportunità e mitigare i rischi. I processi aziendali, pur tenendo conto dei nuovi obblighi, dovranno restare efficienti e, indubbiamente, "sostenibili".

D'altra parte, non può negarsi l'evidente tentativo del legislatore di riversare su (alcune) aziende l'onere, procedimentale ed economico-finanziario, di realizzare un sistema in grado di raccogliere, elaborare e tracciare i dati di una platea di aziende significativamente più ampio di quelle interessate dall'applicazione diretta della normativa in essere e dalla prospettiva che emerge de jure condendo.

Sebbene non privo di discrepanze e dissonanze, che necessiteranno anche di un’accurata opera armonizzatrice in sede di attuazione nazionale, il delineando nuovo impianto normativo non solo mira a ridefinire il concetto ed i parametri della produzione sostenibile, ma si propone di ricomporre il difficile, e, storicamente, conflittuale rapporto tra lavoro ed ambiente.

Sin qui il quadro degli obblighi. Ma come trasformare un complesso (e mutevole) quadro di obblighi in opportunità per le imprese?

L'adempimento agli obblighi – diretti o mediati – di compliance, reporting e due diligence comporterà maggiori costi per (tutte) le aziende, che potranno però trasformare tali costi in investimenti e i relativi oneri in opportunità. Infatti, la domanda di sostenibilità e di investimenti ESG oggi proviene dagli stessi stakeholders, così come sono sempre di più gli investitori (dai singoli risparmiatori a grandi investitori istituzionali) che considerano i fattori ESG per indirizzare una parte crescente dei propri portafogli verso strategie sostenibili, allo scopo di impiegare il capitale per la creazione di un mondo più sostenibile.

Al contrario, l'incapacità di soddisfare rapidamente ed efficacemente tali domande, oltre ai rischi sanzionatori (comunque significativi per le aziende sottoposte agli obblighi normativi) implicherà verosimilmente una limitata capacità di attrarre investimenti e finanziamenti nonché il rischio di perdere importanti opportunità di mercato per quelle aziende che non riusciranno a cambiare ed innovare i propri processi.

Gli investitori e, più in generale, gli stakeholders, devono, quindi, essere messi nelle condizioni di poter valutare e confrontare compiutamente quanto le attività svolte dalle aziende siano effettivamente "sostenibili", così da poter operare le proprie scelte di breve, medio e lungo periodo.

È chiaro, quindi, che non esiste un unico modo di fare sostenibilità. I percorsi possono essere, anzi sono molteplici, spesso diversi e certamente personali. Ogni azienda deve trovare e sviluppare il proprio percorso di sostenibilità, anche sfruttando strumenti di artificial intelligence e i big data. Ma deve farlo rapidamente.

Difatti, l'interesse di tutti i tipi di stakeholders, dagli investitori ai consumatori – passando senz'altro da legislators e regulators – è in costante crescita ed è altresì accompagnato da una maggiore consapevolezza e sensibilità alle tematiche di sostenibilità ed ESG. L'incremento di consapevolezza e sensibilità è stato favorito da un significativo miglioramento nell'accessibilità e nella qualità dei dati disponibili, e sarà ulteriormente facilitato dall'utilizzo di metodologie riconosciute e standardizzate per l'elaborazione di tali dati che saranno quindi, e finalmente, anche comparabili.

In tale ottica, le imprese devono avviare tempestivamente una delicata ed accurata valutazione interna, non solo per adempiere ai sempre più incalzanti obblighi normativi di azione e rendicontazione, ma ancor più per definire una strategia di medio e lungo termine tesa a costruire (e ricostruire) la propria immagine sul mercato, individuando tempestivamente eventuali lacune e spingendosi anche oltre il mero obbligo normativo.

Il tutto, in una logica di miglioramento continuo non più teso verso un orizzonte infinito di produzione e consumo, ma verso la definizione di un circolo virtuoso in cui l’uso (ed il riuso) responsabile delle risorse limitate e la valorizzazione del capitale umano diventano nuovo valore aggiunto ed opportunità e senza, tuttavia, dimenticare che la via della sostenibilità ‘sostenibile’ è estremamente complessa, impervia e spesso lastricata di ottime intenzioni con esiti alterni.

La partita è iniziata. A noi la prossima mossa.

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Baker McKenzie TizianaDe Virgilio, MarioCigno, MiriamAllena


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