Alla maggior parte degli studi non piacciono le tariffe alternative. Con la vecchia tariffa a ora, è un compito relativamente facile massimizzare ricavi e profittabilità. Se capita di avere professionisti inattivi, basta trasferirli su altri mandati per consentire allo studio di fatturare a pieno ritmo. Invece, con l’aumento del lavoro concordato a prezzo fisso, diventa più difficile destreggiarsi tra decine di mandati con scadenze che cambiano in continuazione in modo da mantenere attiva tutta la squadra senza superare i budget assegnati ai vari progetti.
Alle complessità gestionali poi si aggiungono anche alcune prassi consolidate che ostacolano l’utilizzo delle tariffe alternative. Che piaccia o meno, gli avvocati d’affari sono da sempre incentivati e premiati per analizzare tutti i rischi da ogni prospettiva possibile e, quindi, per aumentare le ore da fatturare. Non è facile passare ad essere obbligati ad offrire un servizio di qualità, e su più mandati alla volta, nei limiti rigidi di costi imposti dai clienti.
Con strutture interne piuttosto inflessibili e una cultura radicata, maldisposta alla condivisione del rischio con il cliente, è chiaro che gli studi avrebbero solo da perdere dal punto di vista economico.
Mentre non sono disponibili dati sulla redditività dei compensi alternativi per gli studi legali italiani, un’indagine pubblicata l’anno scorso da Altman Weil, società di consulenza statunitense, fornisce alcuni risultati interessanti che indicherebbero un modo per uscire fuori da questo impasse.
Alla domanda, «Nel complesso, rispetto ai progetti fatturati a tariffa oraria, i vostri progetti con fatturazione non-oraria sono più o meno profittevoli?», solo il 16% degli studi interpellati li riteneva «più profittevoli». Fin qui, nulla di sorprendente. Ma quando si tratta di capire quale sia in effetti l’approccio dello studio ai compensi alternativi, emergono conseguenze importanti tra gli effetti di una politica proattiva e un atteggiamento reattivo.
Tra i soggetti che hanno dichiarato di utilizzare modalità di fatturazione su base alternativa, oltre il 72 per cento del campione ha risposto che l’utilizzo corrispondeva alle richieste dei clienti. Solo nel 28 per cento dei casi, invece, la decisione derivava da una precisa scelta strategica dello studio. Ebbene, dal confronto della redditività dichiarata dai due gruppi di studio, emerge inoltre che tra le insegne proattive nell’uso della fatturazione non-oraria, ovvero quelle convinte del vantaggio competitivo dei compensi alternativi, la consulenza non-oraria era oltre tre volte più redditizia (32 per cento) rispetto ai concorrenti a cui i compensi alternativi erano stati semplicemente concessioni ai clienti (9 per cento).
Questi dati dimostrano che un approccio propositivo paga maggiormente e che i compensi alternativi possono e devono fungere da stimolo all’innovazione dell’offerta dei servizi. Per praticare le parcelle alternative con successo, serve investire nella formazione e ragionare sui processi di lavoro, sull’uso della tecnologia e sull’organizzazione interna, nonché sull’efficienza dei costi. Solo in questo modo è possibile rendere i compensi alternativi più produttivi. Per di più, si rafforza il rapporto tra consulente e cliente, il che fa aumentare la possibilità di ottenere mandati successivi.
In altre parole, bisogna crederci.