Versace

Evoluzione di una specie aziendale

La nuova struttura azionaria ha ridisegnato la cultura gestionale della casa di moda, portando la direzione legale sempre di più al passo con le funzioni squisitamente imprenditoriali

17-05-2015

Evoluzione di una specie aziendale

La natura dell'azionariato di una società può cambiare il lavoro di una direzione legale? Probabilmente è una domanda che in pochi si sono posti finora. Ma l’esperienza di Silvia Carteny, oggi General counsel dell’azienda di moda Versace (partecipata al 20% da Blackstone ma saldamente in mano alla famiglia Versace) dopo una lunga mili­tanza in Unilever prima (classica public company) e poi in Galbani (detenuta dal 2002 dal private equity inglese Bc Partners, prima di essere acquisita nel 2006 da Lactalis), fa emergere un aspetto sottova­lutato ma di grande attenzione per i legali di azienda.

L’interrogativo non avrebbe avuto senso fino a po­chi anni fa. La direzione legale, riportando a chi ha in carico la responsabilità delle strategie societarie, appariva come una funzione destinata a verificare e validare le scelte di sviluppo dell’azienda. Una sorta di semaforo con il compito di dare il via libera o a volte più frequentemente bloccare per criticità normative i voli pindarici dei più alti vertici societari. «Lei si sente più avvocato o più manager?» «Manager, assoluta­mente, con un background da avvocato di impresa», confessa convintamente Carteny, ed è forse per que­sto che si trova perfettamente a suo agio nell’essere valutata sulla base di indicatori di performance (o anche KPIs, cioè key performance indicators). Rara­mente i general counsel hanno dovuto fare i conti con una valutazione riservata finora esclusivamente a un Chief financial officer o a un Direttore marketing. Anche se dichiarata senza particolare enfasi, si tratta di una svolta di una certa portata per i legali interni ed esterni, che certifica in maniera definitiva la trasfor­mazione della professione legale esercitata in azienda.

In passato, la categoria era sempre piuttosto fredda davanti a tutti gli aspetti legati alla misurazione del lavoro. Le uniche metriche generalmente utilizzate sono legate al fattore economico: allo spending in pre­ventivo o consuntivo da parte della direzione interna o al billing da parte dei consulenti. Anche per questo la poca familiarità con la rendicontazione ha permesso uno spazio di manovra molto ampio, favorendo senza dubbio il lato esterno e così la crescita assoluta degli studi negli anni novanta e duemila. Oggi invece la ne­cessità di ottimizzare le risorse aziendali e focalizzare gli obiettivi investe anche i legali, perfettamente inte­grati nell’organizzazione societaria, all’interno della quale rappresentano più di un semplice supporto ma si comportano da partner effettivi dei colleghi di fun­zioni più tradizionalmente legate agli affari.

L’altro aspetto di enorme rilevanza è la natura degli obiettivi su cui valutare le performance, che a cascata introduce indicatori completamente di­versi secondo l’identikit del detentore o dei deten­tori delle quote. Nell’ambito di un’azienda con una partecipazione azionaria posseduta da un private equity, «tutti gli strumenti che ruotano attorno alla finanza sono driver importanti. Lo stile per Versa­ce è il driver strategico e nell’ambito industriale la logica dell’approvvigionamento delle materie prime o della produzione diviene prioritario».

Questa innovazione, se confermata da altre realtà aziendali, potrebbe favorire in futuro gli studi legali più grandi, per tanti motivi più avvezzi alla rendi­contazione. E magari introdurre una nuova prospet­tiva di specializzazione che vada oltre le practice e le industry, ma legata piuttosto alla configurazione della governance e alla proprietà. Inoltre se la pro­spettiva futura dei General counsel va in direzione della definizione di precisi parametri quantitativi con risultati da giustificare ai massimi livelli socie­tari e agli azionisti, è possibile immaginare che una nuova visione investa anche il processo di selezione e il lavoro degli studi. Indicatori di performance per valutare le consulenze e, perché no, anche il loro compenso visto che sono sempre più in voga e diven­tate, anzi, un obbligo per le committenze le success fee, antesignane della rendicontazione in quanto su­bordinano il pagamento a un risultato. Per gli studi attualmente si tratta di un problema da affrontare. Ma come accade per ogni criticità, ecco presentarsi anche l’opportunità nascosta: la precisa valutazione del proprio lavoro potrà infatti nelle realtà più lun­gimiranti essere il presupposto per l’esecuzione di un generale efficientamento e piattaforma per un continuo monitoraggio delle attività. Per un saggio managing partner l’implementazione di una tale attività rappresenterebbe una fonte incredibile di informazioni per individuare in maniera puntuale il potenziale non sfruttato a dovere e i margini di crescita, oppure risorse improduttive e rami secchi. 
L’accordo siglato poco più di un anno fa tra Versace e Blackstone – grazie a un’iniezione di capitali pari a 150 milioni di euro e all’acquisto diretto di azioni per 60 milioni – ha visto la casa della moda affiancata da Gattai Minoli e Chiomenti e il fondo statunitense seguito da Simpson Thacher & Bartlett, coadiuvati in Italia da Gianni Origoni Grippo Cappelli. L’advi­sor fiscale di Versace è stato Pirola Pennuto Zei. 

In Versace, comunque, l’ingresso di Blackstone non ha cambiato il lavoro della direzione, che segue un chiaro sviluppo fin dall’entrata di Cartney nel 2009 e che accompagna il progetto di crescita della società identificato dagli azionisti di maggioranza e dal top management. Ovvero arrivare a gestire la maison – la cui maggioranza è detenuta dalla holding di fami­glia come una public company attraverso una nuova governance – in vista di una possibile e già a lungo chiacchierata quotazione in Borsa.

Il gruppo legale guidato da Carteny ha dunque in sei anni triplicato le sue forze, passando da due a sei professionisti che seguono in maniera indipendente ognuna delle fasi del processo aziendale, secondo la catena del valore di una tipica azienda del mondo del fashion. Direzione creativa, marketing, pr e comuni­cazione e tutto quello che ruota intorno all’immagi­ne dell’azienda e al branding, (re)sourcing, commer­ciale, governance e in maniera trasversale complian­ce: sono questi gli ambiti di intervento dei professio­nisti interni di Versace. L’istituzionalizzazione della divisione, che all’arrivo dell’attuale General counsel si dedicava quasi esclusivamente a proprietà intellet­tuale e tematiche commerciali, ha permesso l’inter­nalizzazione di porzioni di budget prima destinate all’esterno. In questo modo la presenza sul business è più marcata e le risposte alle altre funzioni o nei team di progetto possono arrivare più rapidamente.

Oggi la pianificazione delle consulenze viene costruita al 100 per cento per interventi legati alla proprietà intellettuale («il brand è il primo asset in assoluto») nonché gli inevitabili limiti di conoscenza legislativa nei mercati più esotici (in particolare gli asiatici e tutti i paesi emergenti) sul tema della con­traffazione, che costringono il team a rivolgersi all’e­sterno. Per quanto riguarda voci di spesa difficilmen­te prevedibili hanno avuto spazio negli ultimi anni le operazioni straordinarie (l’ingresso di Blackstone, ad esempio) mentre il contenzioso è stato limitato data la bassa litigiosità che oggi predilige Versace seguen­do i migliori dettami della prevenzione e gestione del rischio. Tale approccio, che ha infatti portato a inserire i professionisti legali interni trasversalmente nella catena del valore, permette oggi di anticipare in fase progettuale le eventuali criticità che potrebbero emergere (a partire anche dal semplice contributo portato nella stesura di un contratto) evitando di bruciare risorse importanti nel contenzioso. Con un budget complessivo che si è però mantenuto sostan­zialmente stabile, quanto risparmiato è stato invece allocato alla difesa della proprietà intellettuale, che dalle parti della casa di moda viene considerata non costo ma vero e proprio investimento. Una valutazio­ne di questo tipo conferma la sincronia tra i vertici di Versace e l’area legale, ritenuta dunque strategica. Nonostante, forse, la struttura da un punto di vista puramente formale sia legata a un modello ancora un po’ datato, vale a dire il doppio livello di riporto del general counsel: alla direzione generale e non direttamente all’amministratore delegato. In più, allo stesso tempo, la scelta dei professionisti e degli studi esterni non è di esclusiva pertinenza della di­rezione legale ma viene condivisa con il top mana­gement e la proprietà. Anche da questi aspetti – ap­parentemente marginali – si capisce come la natura dell’azionariato condizioni il lavoro della direzione legale. E non solo per quanto riguarda gli indicatori quantitativi della performance.


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