Riforme

False comunicazioni sociali: cresce l'incertezza

Dopo la sentenza 22 febbraio della V sezione penale della Cassazione, secondo Giorgio Perroni la questione potrebbe passare alle Sezioni Unite

26-02-2016

False comunicazioni sociali: cresce l'incertezza


Durante la settimana una sentenza della Cassazione ha riacceso il dibattito sulla riforma del reato di false comunicazioni sociali. Con la sentenza 6916 di lunedì 22 febbraio, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ritenuto che le valutazioni di bilancio siano da ritenere prive di disvalore penale.

La decisione assume importanza perché, ponendosi in contrasto al recente orientamento del 12 gennaio 2016 (ricorrente Giovagnoli), ripropone invece quanto sostenuto dalla sentenza 33774 del 30 luglio 2015 (ricorrente Crespi).

In questa incertezza applicativa, secondo 
Giorgio Perroni (in foto), partner dello studio Perroni, «appare del tutto probabile che l’interpretazione dei nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile sarà, nel prossimo futuro, devoluta alle Sezioni Unite, per chiarire quale sia l’estensione della condotta incriminata».

Da quando la nuova normativa concernente le false comunicazioni sociali – come modificata con L. 27 maggio 2015, n. 69 – è entrata in vigore, sono state tre le occasioni in cui la Cassazione si è pronunciata in merito alla rilevanza penale del cosiddetto falso valutativo o estimativo.

In particolare, con una prima sentenza, 16 giugno 2015 n. 33774 (ricorrente Crespi), la Suprema Corte ha ritenuto che le valutazioni in senso proprio - ovvero quelle «attività frutto di un processo di valutazione attraverso il quale avviene l’associazione di una grandezza numerica ad una realtà sottostante e sussistente» - non avessero alcun rilievo penale.

Contrariamente a questa posizione, nella pronuncia del 12 novembre 2015 (n. 890, ricorrente Giovagnoli), la Cassazione ha statuito che le poste di bilancio frutto di un processo valutativo continuano, invece, ad assumere rilevanza penale, dal momento che esse si risolvono in una «discordanza dal vero legale», ossia nell'elusione di criteri predeterminati (fissati dalla legge o da prassi universalmente accettate) «il cui rispetto è garanzia di uniformità e di coerenza, oltreché di certezza e trasparenza». 

A rendere il quadro ancora più complesso per gli operatori del settore è giunta la sentenza n. 6916 del 2016, con cui la medesima V sezione della Corte di Cassazione è tornata sui suoi passi,   riaffermando la rilevanza penale del falso valutativo. A dipanare la matassa, dunque, potrebbero essere chiamate presto in causa le Sezioni Unite.


 

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