STUDI LEGALI

Giovani avvocati penalizzati da gender gap e bassi guadagni

I risultati del primo rapporto di Aiga sulla giovane avvocatura

09-11-2023

Giovani avvocati penalizzati da gender gap e bassi guadagni

Bassi guadagni e gender gap. Sono le principali criticità della professione secondo i giovani avvocati. Lo dice il primo rapporto di Aiga (Associazione italiana giovani avvocati) sulla giovane avvocatura, ideato e realizzato dalla Commissione Pari Opportunità dell’associazione. Lo studio, che sarà presentato oggi a Roma presso la Camera dei Deputati, ha intervistato 616 avvocati iscritti all’Aiga, ossia il 10% del totale. Di questi, il 68% ha meno di 40 anni.

Il gender pay gap

Uno dei dati che balza subito all’occhio dello studio di Aiga è il gender pay gap. Tra i professionisti che percepiscono tra zero e 5 mila euro rientrano il 23,35% delle donne e il 15,94% degli uomini. Inoltre, l 30,22% delle avvocatesse percepisce un reddito che va dai 5 mila ai 15 mila euro a fronte del 19,92% dei colleghi uomini, mentre la fascia reddituale che va dai 15 mila ai 30 mila euro conta il 27,20% delle donne e il 24,30% degli uomini. I più ricchi (con un reddito al di sopra degli 85 mila euro) sono il 6,37% degli uomini e solo lo 0,37% delle donne.

Il divario retributivo si accentua nel sud Italia e nelle isole. Nel dettaglio, se si esercita la professione in una regione del Nord in media si guadagna rispetto al Sud e alle Isole. Inoltre, a un’età più avanzata corrisponde, in media, un reddito professionale più elevato, se chi svolge la professione è una donna ha in media minori potenzialità di guadagno di un collega uomo. Il rapporto di Aiga precisa che il divario retributivo è riconducibile agli stereotipi sui ruoli di genere, che impongono alle donne di sacrificare la loro carriera in nome della gestione delle responsabilità familiari, oltre che alla carenza di un sistema assistenziale legato alla maternità.

Famiglia e professione

L’esercizio della professione ha condizionato nelle scelte personali il 53,57% delle donne e il 41,43% degli uomini. Le ragioni che portano ad affermare che l’esercizio della professione incida sulla vita privata sono molteplici e sono prevalentemente legate al rimandare la formazione di una famiglia, al sacrificare le vacanze ed il tempo libero, a continuare a vivere con i genitori, per non parlare delle difficoltà nel rendersi autonomi.

Del resto, bisogna tenere conto che le donne avvocato una volta diventati madri si trovano a dover fare i conti con l’impossibilità di godere di una maternità alla pari delle lavoratrici dipendenti. A questo proposito, i dati dicono che per la maggior parte la scelta di avere un figlio è rimandata a dopo i 35 anni e che in linea generale la nascita di un bambino non comporta l’interruzione della professione: il 50,42% delle donne ed il 95,12% degli uomini che hanno figli, hanno dichiarato di non aver mai interrotto l’attività professionale dopo la nascita di un figlio.

Sempre legato alle difficoltà di conciliare lavoro e vita privata è la scelta di attività alternative alla professione da parte del 9% del campione, soprattutto delle donne. In particolare, prediligono il lavoro di insegnante e il dottorato di ricerca, che garantiscono orari di routine, retribuzione fissa e vicinanza a casa, evidenzia lo studio di Aiga.

Il soffitto di cristallo

Il gender gap riguarda anche i ruoli apicali negli studi. Infatti, le donne con meno di 35 anni titolari di uno studio sono solo il 5% del totale, quelle tra i 35 e i 40 anni sono il 12% e quelle con oltre 40 anni sono il 10%. Per quanto concerne le donne, la percentuale più elevata (34,89%) svolge la professione in collaborazione con il titolare di studio. Il 40,24% degli uomini aderenti al sondaggio è titolare di uno studio: di questi il 7% ha meno di 35 anni, il 17% ha tra i 35 e i 40 anni e il 16% ha più di 40 anni. In generale, le donne avvocato sono più raramente titolari di studio o Partner nei grandi studi associati, e il divario diminuisce con l’avanzare dell’età.

L’influenza delle origini familiari

L’84% dei giovani avvocati intervistati non ha all’interno dello studio membri della famiglia. Inoltre, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, coloro che lavorano nello studio di famiglia non hanno redditi particolarmente alti. Dall’analisi dei dati,  emerge che per tale categoria, la fascia di reddito più alta è quella da zero a 5 mila euro, seguita dalla fascia da 30 mila a 50 mila. Nettamente migliori sono le condizioni economiche dei giovani avvocati che non risentono delle “origini familiari” della propria attività. Questi ultimi hanno in prevalenza un reddito che va da 15 a 30 mila euro. Anche coloro che hanno dichiarato di avere un reddito oltre 85 mila euro si collocano per la maggiore nella categoria degli avvocati che non hanno studi di famiglia.

Il ruolo della pandemia

Il coronavirus ha intaccato i redditi dei giovani avvocati, in quanto le restrizioni in parte hanno bloccato l’attività lavorativa e in parte hanno inciso sulla domanda dei servizi professionali.

Dopo la pandemia, il reddito degli avvocati è aumentato per il 48,08% delle donne ed il 54,98% degli uomini.

L’abbandono della professione

Aiga ha infine indagato sull’atteggiamento verso la professione. Il 57% dei professionisti dice di non aver mai pensato di lasciarla. Il restante 43% invece ha valutato questa opzione, a causa della sensazione di non aver un adeguato riconoscimento economico rispetto alle responsabilità e al tempo dedicato al lavoro, della difficoltà a conciliare il lavoro con la famiglia, l’incertezza e la mancanza di stabilità, insoddisfazione e mancanza di tempo libero. Permane il divario di genere: il 53,02% delle donne ha pensato di lasciare il lavoro di avvocato, contro il 37,05% degli uomini.

I risultati dello studio di Aiga fanno il paio con quelli della quarta edizione del nostro Osservatorio Associate. Dalla ricerca del Centro Studi TopLegal emerge con nettezza la difficoltà dei giovani avvocati di conciliare il lavoro con la vita privata, con il 66% di loro che non si riconosce nella professione, il 34% degli Associate si dice propenso a passare a un altro studio e il 45% vorrebbe addirittura cambiare professione.


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