GIUSTIZIA, SCACCO MATTO ALLA RIFORMA

14-11-2013

Martedì scorso la Cassazione ha detto sì al referendum per l’abrogazione del taglio dei tribunali. Sulla cui ammissibilità dovrà ora pronunciarsi la Corte costituzionale. L’offensiva scagliata da nove Consigli regionali, con Abruzzo in testa, contro l’unica vera riforma della giustizia degli ultimi vent’anni, che tagliando e accorpando circa mille tribunali ridisegna la geografia giudiziaria italiana, ha così prodotto i suoi frutti. Lo ha deciso l’Ufficio referendum della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale. La riforma voluta dall'ex Guardasigilli Paola Severino – e inaugurata dall'attuale titolare di Via Arenula Annamaria Cancellieri appena lo scorso 13 settembre – potrebbe essere sottoposta nuovamente a voto già nella prossima primavera.
 
A esultare per la decisione è in primis il presidente dell'Oua Nicola Marino, che contro il taglio dei tribunali ha condotto una battaglia senza quartiere con avvocati scesi in strada a contestare il Guardasigilli e a bloccare il trasloco dei faldoni dalle sedi chiuse per spending review. Un atteggiamento che gli è valso la definizione di «lobby contro le riforme» da parte del ministro Cancellieri.
 
Mentre parte dell’avvocatura esulta, come spesso accade a fare le spese dell’ennesimo rimpasto legislativo è il sistema nel suo complesso. Presumibilmente, in primavera la riforma avrà già superato il punto di non ritorno, per cui tornare indietro potrebbe rivelarsi un’operazione ancora più difficile di quella che sta portando all’accorpamento delle sezioni. Senza dimenticare – ironia della sorte per un provvedimento che si inquadrava tra le manovre della spending review – i ritardi e le spese che una simile operazione porterebbe con sé.


Un’operazione finalizzata al recupero di risorse ed efficienza si è portata dietro le reazioni corporativistiche e localistiche di chi si oppone al cambiamento. Un ennesimo muro contro muro tra avvocatura ed esecutivo, che sembra nuovamente volgere a favore della prima (mentre ancora brucia la mancata riforma della professione forense). Queste lotte intestine tra stagnazione e rinnovamento, in cui le parti in causa si rifiutano di riconoscere le rispettive sconfitte e vittorie, sono lo specchio dell’Italia degli scontri perenni e dei contenziosi che languono per anni nei tribunali. L’ulteriore riprova che in molte aree del Paese deve ancora crescere un desiderio di cambiamento strutturale dell’avvocatura, che si adegui alle mutate esigenze della domanda che proviene da istituzioni e grandi imprese, multinazionali e investitori esteri.


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