Non è più l’ingresso nella partnership il sogno dei giovani professionisti, ma una poltrona da general counsel. Le carriere negli studi si sono allungate e i compensi non sono più adeguati alle ore e alle condizioni di stress cui si è sottoposti. Certo, all’inizio il mondo degli studi legali conserva ancora il suo fascino di sempre. Poi, con gli anni il giudizio cambia. Tanto che oggi quasi sette collaboratori su dieci (67%) vorrebbe cambiare lavoro. Vale soprattutto per i mid level e gli associate all’ultimo anno. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto a settembre da TopLegal su un campione di 59 professionisti, con ruolo di praticante o collaboratore, che dipinge ancora una volta uno scenario a tinte scure per i giovani professionisti.
Stando alle risposte, la propensione a cambiare studio – oltre il 35% delle insegne, secondo il sondaggio – rimane alta. Molto probabilmente il malcontento è destinato ad aumentare nei prossimi mesi, considerando le riduzioni dei compensi, il taglio dei bonus e il congelamento degli aumenti e delle promozioni decisi dai soci per fronteggiare la crisi di liquidità causata dalla pandemia del coronavirus. La survey rivela un disincanto piuttosto diffuso e aspettative di carriera deluse. Non è un caso che la posizione più ambita oggi sia quella del legale interno (indicata dal 15%) e non quella di socio, una strada percorribile solo per il 10%, magari cambiando insegna. Del resto, le occasioni di crescita rimanendo nello stesso studio sono limitate e il mercato degli associate è ormai saturo.
Il clima negli studi, invece, è quello di sempre. La settimana lavorativa è ancora di oltre 50 ore (lo ha indicato il 61%) a fronte di compensi però considerati non adeguati (57% dei casi). Il 24% degli intervistati ha detto di ricevere una retribuzione superiore a 50.000 euro l’anno per stare in ufficio più di 10 ore al giorno. Solo il 7% guadagna più di 120.000 euro, oltre 180.000 nel caso di uno studio americano. In pochi (12%) hanno definito il proprio studio un ambiente positivo, con possibilità di crescita e di conciliare lavoro e vita privata.
Ruoli ingessati, partner accentratori (a volte tiranni) e l’incertezza sul futuro stanno spingendo così gli associate a rivalutare l’impiego in azienda, vista come un luogo in cui i diritti dei lavoratori possono essere maggiormente tutelati. Difficile dargli torto. Gli studi sono descritti come poco flessibili nell’organizzazione, i ritmi di lavoro a volte ritenuti "folli", il bilanciamento tra vita privata e lavorativa è scarso.
Che i 30-40enni di oggi vedano solo il lato oscuro di questa professione, non è una novità (si veda TopLegal Review, numero di ottobre/novembre 2019), un punto di vista che affonda le radici nei cambiamenti strutturali vissuti dal comparto in dieci anni e oltre. Di mezzo, poi, c’è anche l’emergenza dei Millennial. Per questa generazione non esistono solo gli affari. E la qualità della vita è un valore imprescindibile. I partner sembrano non esserne accorti.
L'Osservatorio di TopLegal sulle remunerazioni degli associate è stato pubblicato su TopLegal Review di ottobre/novembre 2020.
Osservatorio remunerazioni