C'è un'area sottovalutata dalle aziende ma che nell'era delle guerre commerciali è destinata a offrire sempre maggiori opportunità agli studi legali: l'origine dei beni. Una corretta gestione delle regole, infatti, consente a un'impresa di ottenere ingenti benefici in termini di risparmio daziario e di competitività del prodotto sul mercato. Se n'è parlato in un recente convegno a Milano organizzato da Kpmg, in media partnership con TopLegal, in cui sono state delineate le ultime novità per superare le restrizioni protezionistiche e sono stati forniti alcuni strumenti pratici per la corretta gestione dell'origine in azienda, anche mediante l'uso di strumenti informatici. L'incontro è stata anche l'occasione per approfondire alcune semplificazioni applicabili dalle aziende per ottimizzare la gestione delle attestazioni di origine.
«Rispetto al passato, quando con un approccio tradizionale le aziende prestavano esclusiva attenzione alla fiscalità diretta, la nuova politica sulle tariffe introdotta da ultimo dal presidente Trump ha posto questi temi con maggiore vigore all'attenzione della comunità commerciale internazionale. Spesso relegata in un ambito aziendale di subordine e non di rado affidata a terzi, la gestione dei dazi rappresenta un'area della fiscalità che coinvolge ora decisioni apicali delle aziende» ha spiegato a TopLegal Massimo Fabio, partner studio associato (Kpmg) e responsabile nazionale del trade & customs team. Molte opportunità commerciali, infatti, possono nascere dagli accordi di origine preferenziale e dalle regole di etichettatura legate alla origine non preferenziale: i prodotti nazionali che possono esibire in export l'origine preferenziale sono più competitivi nell’ambito di accordi bilaterali, poiché potranno cogliere ogni agevolazione concessa negli scambi tra due o più paesi accordisti.
«Questo delicato settore, riconducibile al cosiddetto export control, sta generando ampi spazi di operatività per gli specialisti del settore, soprattutto per chi sa produrre analisi accurate sulle modalità per determinare l'origine dei prodotti. Peraltro, spesso a livello di top management non si ha adeguata sensibilità sulla differenza tra origine preferenziale e origine non preferenziale dei prodotti» ha proseguito Massimo Fabio. Entrando più specificatamente della domanda di questi servizi, l'esperto ha spiegato che negli ultimi cinque anni, anche per effetto della necessità di acquisire lo status di operatore economico autorizzato, le grandi aziende si stanno strutturando per acquisire competenze interne in questa particolare area fiscale.
«Al contrario, nel variegato universo delle pmi, l'approccio spesso si ferma alle dichiarazioni dei fornitori senza condurre un'analisi puntuale e approfondita. Per effetto della complessità delle regole applicate per ogni singola voce doganale, non è raro che molte aziende alla fine decidano di rinunciare alla gestione dell'origine per non rischiare di incorrere in violazioni penali» ha aggiunto Massimo Fabio. L'esperto di Kpmg ha ricordato, inoltre, che le pmi italiane non sono ancora attrezzate internamente per poter gestire questi processi e che, spesso, non hanno la capacità tecnica per analizzare da sole tutti i diversificati riflessi dei singoli accordi. In questo ambito, ci sono significative aree di sviluppo per gli studi specializzati per supportare le aziende a configurare le rituali procedure per saper discernere tra le due nozioni di origine (preferenziale e non preferenziale) e poter così essere in grado di richiedere un certificato che rispetti tutti i requisiti previsti dall'accordo di libero scambio e di apporre con orgoglio l'etichetta "made in Italy".
Martina Dubois, senior manager studio associato (Kpmg), nel suo intervento ha ricordato, infatti, che il commercio globale è frenetico, in continuo cambiamento ed evoluzione, e che in questo contesto le società devono essere in grado di affrontare tutte le nuove sfide senza compromettere la propria catena di fornitura. L'esperta ha poi spiegato che la compliance e la gestione del rischio sono tra le assolute priorità per le imprese e che il contributo del dipartimento fiscale al valore strategico dell'azienda sembra ormai essere fondamentale nella riduzione dei costi. Entrando, invece, nel merito del processo di certificazione, Corrado Sorgarello, responsabile documenti per l'estero, vidimazione libri sociali, certificati registro delle imprese della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, ha suggerito alla platea alcuni accorgimenti tecnici. Eccoli: inserire solo le informazioni richieste dalla modulistica; evitare di inserire dati o fatti non rilevanti per il certificato di origine, che costringono a produrre ulteriore documentazione (ad esempio: 100% lana vergine ecc.); e in fase di contrattazione di lettera di credito, verificare che sia possibile produrre la documentazione richiesta.
Lato aziende, infine, Marzia Stanzani, group legal and investor relations manager di Bialetti Industrie, ha sottolineato l'importanza oggi dell'analisi dei flussi import – export, con un particolare focus sulle sedi produttive e sui flussi tra Cina, Unione europea e Usa, aggiungendo che, nei casi più critici, le aziende dovrebbero individuare tutte le possibili soluzioni per mitigare il rischio rappresentato da nuovi "dazi". Quanto alla corretta individuazione dell'origine non preferenziale dei propri prodotti, Stanzani ha ricordato che questa procedura può impattare tutta l'organizzazione, visto che prima l'azienda verifica la componentistica utilizzata (se interamente unionale, in che proporzione da paesi Ue e non Ue, e se la lavorazione è sostanzialmente stata fatta nella Ue ecc.) e poi fa una valutazione strategica di ulteriori opzioni, come l'acquisto di componenti e semilavorati da altre fonti o di lavorazioni che consentirebbero di attribuire l'origine non preferenziale unionale / made in Italy.
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