Nel 2017 l'organismo antifrode e anticorruzione della Gran Bretagna, il Serious fraud office (Sfo), concorda un patteggiamento da 671 milioni di sterline per chiudere i procedimenti per tangenti contro Rolls Royce, il gigante dei motori aerei e navali. L’accusa contro l’azienda era di aver pagato tangenti nel Regno Unito, negli Usa, in Brasile e altri nove Paesi per aggiudicarsi le forniture.
Lo Sfo deve proseguire le sue indagini sulle responsabilità individuali, ma c’è un problema. L’investigazione quadriennale, la più grande mai realizzata dall’organismo, ha generato circa 30 milioni di documenti, dai fogli di lavoro alle e-mail scambiate dallo staff e dai dirigenti. Molti di questi documenti sono tutelati dal segreto professionale. Per gli inquirenti, occorre capire subito quali documenti sono coperti dalla riservatezza senza sprecare denaro pubblico. A dare loro una mano ci pensa l’intelligenza artificiale (Ai) fornita dalla start-up londinese Ravn (successivamente acquistata dalla società iManage). Il software sviluppato da Ravn riesce ad analizzare 600.000 documenti al giorno (i giuristi arrivano solo a 3.000). In tutto, l’indagine costa 50mila sterline, facendone risparmiare centinaia di migliaia al contribuente britannico. Dopo il caso Rolls Royce sono giunte sulla scrivania dello Sfo casi con dimensioni ancora più vaste con l’obbligo di esaminare anche oltre 100 milioni di documenti. Secondo il chief technology officer Ben Denison, «è impossibile indagare su casi come questi senza la tecnologia».
I vantaggi dell’Ai nello svolgere un lavoro più rapido, economico e completo sono indubbi. Più si hanno processi ripetibili e attività a basso contenuto elaborativo, più aumentano le efficienze generate dall’Ai. Ci sono tuttavia anche dei rischi.
I risultati ottenuti valgono quanto l’algoritmo sottostante e i sistemi possono generare errori al pari degli umani. Si pone inevitabilmente il tema della fiducia e del controllo qualità nonché della sicurezza e della protezione dei dati. Per gli avvocati, i timori sono più relativi all’eventuale effetto sostitutivo delle nuove tecnologie che concernenti questioni di ordine etico-professionale. Nel 2017 McKinsey stimava che il 22% del lavoro svolto da giuristi poteva essere già automatizzato sfruttando tutte le attuali tecnologie disponibili. Negli ultimi due anni, gli investimenti nel legal tech sono esplosi e l’Ai in questo ambito ha compiuto molti progressi. Per il momento la sua diffusione nel comparto legale è ancora limitata. Molti studi internazionali usano già l’Ai, spesso tramite lo sviluppo di soluzioni proprietarie e piattaforme appartenenti a venture company avviate dagli stessi studi. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, lo vediamo anche in Italia, prescinde dalla dimensione dello studio. Grandi insegne full service, come anche boutique più piccole, hanno sviluppato ausili tecnologici. Man mano che si diffonde l’Ai, serviranno meno avvocati per assistere un numero più alto di clienti.
Da questo scenario si possono dedurre tre fenomeni in arrivo per gli studi legali associati con cui dovranno fare i conti managing e senior partner.
Tre ipotesi per il futuro
Il primo fenomeno scaturisce dalla pressione sui giovani avvocati – i più esposti agli effetti dell’Ai – le cui file in diminuzione genereranno problemi nuovi.
Partendo dall’ingresso in studio. Gli avvocati passano dalla gavetta del praticantato per costruirsi un percorso ma i praticanti subiranno maggiormente la concorrenza dei software d’analisi. Servirà ripensare per forza le modalità di formazione professionale. Se lo studio riesce ad assistere più clienti con meno forza lavoro grazie all’ausilio dell’Ai, si prospetterà inoltre una leva assai ridotta tra soci equity e collaboratori. Alcuni osservatori ipotizzano persino il ritorno della leva paritaria (1:1), struttura diffusa negli studi legali negli anni antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale. Il secondo fenomeno, paradossale e che rompe con le logiche del passato, è una conseguenza del primo. Premesso che al posto del lavoro umano si sostituisce il lavoro dei robot, la maggiore efficienza del servizio legale si conquista di fronte al numero complessivo di ore fatturate ridotte. L’intelligenza artificiale potrebbe finalmente seppellire la billable hour, posto che i clienti non saranno disposti né a sovvenzionare la tecnologia degli studi né tantomeno a pagare il lavoro da essa generata. Si potrebbe arrivare quindi a vedere come unica voce della fattura emessa dallo studio il solo contributo dell’avvocato senior, ovvero, quello che riesce a dare un apporto umano alla consulenza. Il terzo fenomeno nasce da una necessaria intermediazione senza la quale la disintermediazione non è possibile. La programmazione di algoritmi non è roba da avvocati; servono invece professionisti specializzati non legali capaci di affiancare gli avvocati e di trasferire loro e ai loro clienti le proprie conoscenze tecnico-scientifiche. Dobbiamo aspettarci nei prossimi anni l’ingresso di nuove figure e nuovi rapporti fra professionalità diverse all’interno dello studio.
Oltre alle ripercussioni per il modello di studio legale, l’Ai apporterà un ulteriore cambiamento dovuto al nuovo ecosistema di conoscenze e di rapporti secondo cui dovranno orientarsi gli studi legali. Si chiude così definitivamente l’era in cui l’avvocato si portava via il problema del cliente, ritirandosi nella stanza a porte chiuse per ritornare dal cliente solo quando munito di una soluzione. Questo processo è già troppo lento; con l’Ai diventerà giurassico. L’intelligenza artificiale richiederà rapporti allargati e più collaborativi, una triangolazione tra sviluppatori terzi in grado di costruire software, app e algoritmi, e studi legali e clienti che li popolano di contenuti.
Lo scenario chiaroscuro
Posta la riduzione di praticanti e collaboratori che fanno il lavoro ripetitivo o che passano ore sulle banche dati a fare ricerche, gli studi passeranno da una struttura tipicamente piramidale a una struttura a forma di diamante, allargata anche da professionisti tecnici.
O addirittura a una struttura piramidale invertita. Nell’ottica del ciclo virtuoso che potrebbe prospettarsi, l’ammortamento del costo dell’investimento derivante dalla riduzione dei costi fissi – meno avvocati e meno leva, ma maggiore lavoro – significa che, per evitare colli di bottiglia, lo studio si troverebbe a dover ampliare le file dei soci. Lo scenario alternativo, invece, sembrerebbe più probabile per una buona fetta di studi legali. Scettici e fobici in ugual misura, molti vorranno voltare le spalle all’Ai. Potranno anche farlo ma la tecnologia e le società tech che sviluppano i sistemi cognitivi non spariranno. Secondo Forbes, nel solo 2018 sono stati diretti nel settore del legal technology investimenti per 1,6 miliardi di dollari. Questa cifra rappresenta un aumento esponenziale rispetto al 2016 (224 milioni) e il 2017 (233 milioni), in parte dovuta alla domanda per l’e-Discovery nelle giurisdizioni di common law ma altrettanto a quella del legal research, esigenza presente in tutte le giurisdizioni incluse quelle di civil law come l’Italia. Non si può immaginare di rimettere il genio nella lampada. Prima o poi i clienti illuminati con rilevanti uffici acquisti capiranno che dotandosi di capacità Ai potranno fare a meno di gran parte della consulenza esterna.