A distanza di quattro anni, la mega fusione tra Lovells e Hogan & Hartson, da cui ha avuto origine la realtà che Oltremanica è stata affettuosamente ribattezzata “ HogLov”, si può dire completata. Con l’elezione, lo scorso luglio, di un unico Ceo, « l’ultimo passo per chiudere il cerchio, ponendo definitivamente fine al periodo di transizione, è stato concluso », secondo Leah Dunlop, managing partner di Hogan Lovells Italia. A prendere il timone del transatlantico Hogan Lovells è stato Steve Immelt – fratello del noto Jeff Immelt, presidente e amministratore delegato di General Electric – che ha raccolto, in solitaria, l’eredità lasciata dai precedenti capi di Lovells e Hogan & Hartson.
Il nuovo assetto ha coinvolto in parte anche la practice italiana, con la recente nomina di Leah Dunlop, insieme a Christoph Louven, quale regional corporate leader per l’Europa continentale. Il corporate italiano, quindi, sembrerebbe avere un ruolo importante nelle dinamiche globali. Ed in effetti, scorrendo i mandati tricolore degli ultimi mesi, si incontrano operazioni come l’assistenza alle affiliate di Kuwait Petroleum nell’acquisizione delle partecipazioni nelle società Shell attive nei business rete, supply & distribution (oltre 800 stazioni di servizio) e aviazione in Italia. Un accordo grazie al quale il marchio Q8 sostituirà quello Shell sulla rete carburanti in Italia. E ancora, l’assistenza fornita a Vodafone global enterprise nella promozione di un’offerta pubblica di acquisto volontaria dell’intero capitale sociale di Cobra automotive technologies. Alla guida del team che ha affiancato Vodafone è stato il socio Luca Picone, entrato nel maggio 2012 insieme a Francesco Stella, entrambi ex partner di Linklaters.
L’ingresso di Picone e Stella rappresenta l’ultimo lateral messo a segno da Hogan Lovells, che da oltre 18 mesi non registra alcuna nuova inclusione nella partnership italiana. « In un mercato non particolarmente brillante bisogna guardare con prudenza all’allargamento della partnership, sia che avvenga per crescita interna che per lateral », commenta Dunlop in merito, aggiungendo che « la sede italiana è riuscita a replicare, a distanza di quattordici anni dalla sua fondazione, modello e struttura degli uffici di Londra ». Una dichiarazione che, tradotta in termini operativi, significherebbe, secondo il managing partner della sede milanese Marco Rota Candiani, « essere uno studio full service, in cui non c’è un core business affiancato da practice ancillari ».
Missione multipractice
« Multipractice è una definizione che tanti utilizzano, ma pochi realizzano veramente », sottolinea Fulvia Astolfi, managing partner della sede romana. E precisa: « Abbiamo scelto di non posizionarci come studio iperspecializzato in un unico settore. Intendiamo il legale alla maniera di una volta: l’avvocato di fiducia in grado di assistere il cliente in tutte le fasi della vita di un’azienda ». Così, alle operazioni straordinarie di grandi dimensioni lo studio affianca la consulenza ordinaria, che rappresenta circa il 90% dell’attività. Una scelta che è valsa una stabilità di cassa anche in una congiuntura complessa come quella odierna. Rispetto al 2010, anno della fusione, il volume d’affari generato dalla sede italiana rimane sostanzialmente uguale e sarebbe passato da 25 a 24 milioni. Una flessione poco significativa, che nulla dice sulla marginalità, soprattutto considerando che il numero di partner è sceso da 20 a 17 e il numero complessivo di professionisti da 105 a 94. « Si è trattato di cali fisiologici. Non abbiamo deciso di tagliare le risorse perché, per come siamo strutturati, i nostri professionisti sono equamente distribuiti tra tutte le practice, che abbiamo fatto in modo di non sovrastrutturare », spiega Rota Candiani.
Lo studio è strutturato in quattro practice group: corporate; banking & finance; ipmt e litigation, arbitration & employment. Guardando alle performance a livello internazionale, circa il 30% delle entrate deriva dal corporate, mentre il contenzioso e l’arbitrato lo seguono da vicino con un peso sul fatturato globale pari al 29%. Il restante 41% è dato dal finance e dall’ipmt. Già da questa distribuzione del fatturato si capisce, quindi, il pari peso di ogni practice per l’insegna. All’approccio per practice, poi, andando incontro a un’esigenza più volte manifestata dai clienti, Hogan Lovells ha affiancato una divisione per industry, che vede avvocati specializzati in diversi rami del diritto dedicati specificatamente ad un settore, quali ad esempio: life sciences, energy, istituzioni finanziarie e luxury goods. « Ogni industry – spiega Rota Candiani – ha un socio responsabile che ha avuto il compito di costruire il team e coordinare le attività di marketing ». Tra le diverse aree, una di quelle in cui Hogan Lovells ha investito di più negli ultimi anni è il Regulatory. Una scelta che è valsa allo studio, che tradizionalmente non è in cima ai ranking sul fronte banking & finance, la conquista di un posto in prima fascia nella ricerca condotta dal Centro Studi TopLegal sul settore, proprio grazie a quella che, secondo un importante istituto bancario straniero operante in Italia, è « un’eccellenza nell’ambito regolamentare ».
L’apertura al white collar crime
Una practice autonoma, invece, è il dipartimento tax, che assiste società italiane e internazionali sia nelle attività quotidiane che nelle attività straordinarie. Fra le più recenti assistenze fornite ci sono gli aspetti fiscali nelle principali operazioni corporate come l’acquisizione Q8/ Shell, l’operazione SunEdision e Costellation, nonché i profili fiscali nelle maggiori operazioni banking. Sempre sul fronte tax, negli ultimi mesi lo studio ha anche registrato una novità, con l’ingresso nell’ottobre 2013, a Londra, di Fabrizio Lolliri nel ruolo di Europeran director per il Transfer pricing. In linea con quanto emerso nell’ultima ricerca condotta dal Centro Studi TopLegal sul penale, anche Hogan Lovells ha notato un numero crescente di reati societari e fallimentari sfociati in bancarotte fraudolente per distrazione, per falsi in bilancio, per sistematica omissione del pagamento dei tributi e dei contributi assistenziali e previdenziali. Al traino della domanda, lo studio ha aperto al White collar crime. Ma a differenza della strada percorsa da altri (come R& p Legal e Bonelli Erede Pappalardo), Hogan Lovells non ha integrato penalisti nella sua struttura. « La nostra linea – precisa Astolfi – non è quella di creare un dipartimento interno, ma di continuare ad affidarci ad alcuni penalisti di fiducia, con cui c’è un rapporto di sinergia consolidato da anni ».
Governance e clienti
Da un punto di vista di governance, oltre all’abbandono della gestione duale in favore della nomina di un unico Ceo, nel corso degli anni sono state fatte alcune modifiche per uniformare le due diverse amministrazioni. E, naturalmente, le modifiche hanno coinvolto anche l’Italia. L’insegna si è dotata di un nuovo meccanismo retributivo fuori dal sistema di lockstep puro. Ci sono delle unit, che corrispondono ai punteggi che i soci avevano nel sistema di lockstep, che subiscono una revisione biennale a seconda di una serie di criteri che non sono solo finanziari; questi vanno dall’origination del lavoro all’impegno nella gestione dello studio. Alla retribuzione va poi aggiunto il bonus, che in questo caso è frutto di un sistema intermedio tra il lockstep e l’« eat what you kill ». Criteri simili sono stati estesi di recente agli associate dello studio italiano per contribuire, dicono dallo studio, a far recuperare lo spirito originario della libera professione che si era perso nel corso degli anni soprattutto da parte dei collaboratori più giovani. È così che è stato variabilizzato il loro stipendio in funzione dei risultati ottenuti. Variabilizzazione che ha consentito all’insegna di mantenere inalterata la struttura piramidale e un rapporto di leva di un socio ogni 5,5 professionisti, nettamente superiore al rapporto di 1 a 4,2 registrato in media dai primi 25 studi per fatturato secondo i dati forniti nell’ultima indagine sui fatturati compiuta dal Centro Studi TopLegal.
« Fiducia e continuità » sono le due direttrici che, secondo Rota Candiani, dovrebbero guidare tanto le relazioni interne allo studio, quanto quelle con i clienti. Ed effettivamente la continuità sembrerebbe essere la nota distintiva dell’insegna in Italia: pochi cambiamenti strutturali, lateral o spin off; un fatturato abbastanza costante e una governance tripartita che è in piedi da anni. Sul fronte delle relazioni esterne, invece, a detta di Rota Candiani, è proprio costruendo rapporti basati su fiducia e continuità che lo studio cercherebbe di sottrarsi al rischio commodity. « Sembra ormai di moda applicare la parola commodity ai servizi legali, tanto che non è inconsueto relazionarsi con clienti che la utilizzano per ottenere sconti sugli onorari ». « Ma non è solo una questione di fees – aggiunge Rota Candiani – il mercato, e non solo quello legale, è cambiato enormemente negli ultimi anni e questo richiede la necessità e lo sforzo da parte degli studi di rimanere al passo con i tempi coniugando efficienza, flessibilità e approfondita conoscenza delle industry dei clienti ».
Questo approccio, al momento, ha consentito allo studio di tenere botta sul mercato italiano in una congiuntura in cui altre insegne hanno patito maggiormente. Aver raggiunto la stabilità sembra già un risultato positivo, dato lo scenario. Ora, però, la sfida è trovare la chiave di volta per tornare a crescere.
Hogan Lovells