Scenari

Hr, bisogna rimodellare le risorse umane

I cambiamenti derivanti dalla trasformazione digitale, l’impatto che le tecnologie hanno sul modo di gestire le persone e le nuove competenze che si rendono necessarie. Questi i temi al centro dello European Hr Directors Summit 2018

21-06-2018

Hr, bisogna rimodellare le risorse umane

 

Riorganizzazione e mutamenti strutturali. Sono questi gli effetti principali della quarta rivoluzione industriale sulle imprese, oltre a profondi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro dovuti alla digitalizzazione dei processi e alla gestione informatica della produzione e di gran parte delle attività. Di questo si è discusso in occasione dello European Hr Directors Summit 2018, organizzato da Business International nelle giornate del 19 e 20 giugno a Milano e di cui TopLegal è stato media partner. 

«Quello che è in corso, anche grazie agli incentivi fiscali, è un grosso processo di riorganizzazione interno a tutte le aziende, che comprende fra l’altro cambi di mansione, modifiche nel modo di svolgere il lavoro, ricerca di nuove competenze. Un processo accompagnato da molte modifiche legislative: negli ultimi due anni, infatti, sono state introdotte molte nuove norme, dal lavoro agile al welfare, dal whistleblowing alle numerose novità sotto il profilo della privacy», ha commentato nel corso del suo intervento Franco Toffoletto, socio fondatore di Toffoletto De Luca Tamajo

I direttori Hr presenti hanno concordato nel sottolineare una diffusa difficoltà delle aziende a strutturare un approccio alle attività che sia trasversale e interfunzionale così come richiesto dalla digitalizzazione del lavoro. Il motivo è da rinvenire soprattutto in una resistenza culturale al cambiamento. Come sottolineato da Alfredo Lombardi, direttore risorse umane di Taked«all'interno dell'azienda bisogna portare una nuova cultura di apprendimento e formazione verso un futuro che non è prevedibile perché l'innovazione tecnologica porta a non sapere come potrà essere ridefinito il lavoro di domani». 

Ecco, allora che, il lavoro deve diventare smart. Nel senso che non può essere legato a luoghi e tempi così come tradizionalmente intesi. Ma deve essere ancorato ai risultati. Lo smart working, quindi, prima ancora che strumento di conciliazione di tempi di vita e di lavoro, è un vero e proprio strumento di organizzazione dell’impresa, che si è dimostrato innescare processi virtuosi di efficienza e produttività. Ne è convinta Federica Fasoli, head of Hr Italy & Greece di Siemens. L'azienda dal 6 giugno 2017 ha deciso di siglare in Italia un accordo sindacale che l'ha condotta ad avere un unico modello organizzativo, vale a dire proprio lo smart working. «Per noi - ha illustrato - si tratta di uno strumento di competitività. L'effetto collaterale (in accezione positiva) di questo modello è il benessere delle persone all'interno dell'azienda. Ma si tratta di un effetto e non dell'obiettivo del modello, che è quello di lavorare in maniera smart». 

Anche l’impegno per la diversity, passando per la maggiore gratificazione dei dipendenti, si è rivelato un veicolo di produttività. Per non parlare del welfare, che grazie ai recenti interventi legislativi è divenuto uno strumento di grande efficienza fiscale. «Costruire politiche aziendali che armonizzino questi strumenti – ha sottolineato Valeria Morosini, partner di Toffoletto De Luca Tamajo e vice-chair del Diversity and Equality committee dell’International Bar Association - permette di creare un circolo virtuoso in cui l’azienda, attraverso maggiore job satisfaction, ottiene aumento della produttività, riduzione dell’assenteismo e del turnover».

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Toffoletto De Luca Tamajo FrancoToffoletto, ValeriaMorosini Siemens, Takeda Italia Farmaceutici


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