Private equity

I deal che piacciono ai fondi

In un contesto più difficile del passato aumenta la selettività. Il legale deve saper negoziare e determinare l’impatto dei rischi

23-07-2019

I deal che piacciono ai fondi




Un mercato vivace che, nonostante la congiuntura macroeconomica e politica, cattura l’attenzione dei colossi internazionali oltreché degli operatori locali. I private equity in Italia stanno consolidando un trend di crescita che fa leva sulla disponibilità di risorse e sul cambiamento del contesto culturale degli imprenditori. Segnato da numeri record per il 2018 e attese ancora positive per il 2019, seppur caratterizzate da maggiore selettività e cautela. Un universo che i consulenti legali si premurano di presidiare con attenzione: a fronte di circa 122 private equity o Sgr associati ad Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt), ci sono 151 altri “aderenti” tra associazioni e istituzioni, advisor M&a, società di revisione, consulenti di vario tipo, università e aziende. Di questi 60 soggetti, circa il 40%, sono studi legali. Grazie a una presenza articolata di aziende imprenditoriali italiane, il comparto apre infatti spazi e opportunità per diverse tipologie di operatori. E di deal. Sia in termini di segmenti di mercato – tecnicamente divisi in buy out, early stage ed expansion – sia di modalità di ingresso nel capitale – operazioni primarie, secondarie e rollover. Ma quali i fattori che orientano le scelte degli operatori nella consulenza legale? Per i consulenti sono fondamentali capacità negoziale, comprensione dei temi rilevanti per il business e dell’impatto reale dei rischi individuati.

Un 2018 sugli scudi
Il 2018 è stato un anno record per il mercato italiano del private equity e del venture capital: l’ammontare investito ha raggiunto il valore più alto di sempre. In particolare, i dati Aifi indicano che sono state registrate 359 operazioni, distribuite su 266 società per un controvalore pari a 9.788 milioni di euro. Circa il doppio del 2017 e in aumento del 15% in termini di numero di investimenti. Una dinamica resa possibile, come ha rilevato Aifi, «grazie ad alcune operazioni di dimensione significativa che si sono registrate non solo nel segmento dei buy out, ma anche in quello delle infrastrutture, che negli ultimi anni sta ricoprendo un ruolo sempre più di rilievo».

Va segnalato che anche al netto delle grandi operazioni del 2018, il mercato ha raggiunto valori record in termini di ammontare. «L’abbondante liquidità ha spinto gli investitori internazionali a guardare per la prima volta anche al mondo delle Pmi sotto la soglia dei 10 milioni di euro di Ebidta», ha spiegato a TopLegal Fabrizio Medea, partner di Wise Equity Sgr, operatore che investe in società di piccole e medie dimensioni con focus sull'Italia, effettuando tipicamente operazioni di leverage buy out e di capitale di sviluppo. In molti casi la tendenza è stata guidata dai “club deal”, sindacati d’investimento tra individui o famiglie facoltose, e per gli internazionali nel 2018 si sono visti i risultati di un processo di investimento iniziato già nel 2017. «Non definirei quindi l’attenzione degli internazionali solo un ritorno di interesse — precisa Medea — piuttosto una presa d’atto che l’Italia è la seconda manifattura d’Europa, con un ritorno sulle imprese medio grandi e la effettiva scoperta delle piccole realtà».

I buy out si confermano il segmento di mercato per il quale è stato rilevato il maggior numero di investitori attivi, con 67 operatori, di cui 33 internazionali (dati Aifi sul 2018). Molto presente in Italia è per esempio il colosso francese Ardian. Nei mesi scorsi ha sottoscritto un accordo per acquisire il 100% della riminese Celli Group, uno dei primi quattro player a livello mondiale nel settore del beverage. Pochi mesi prima, il fondo aveva acquisito il controllo dell’azienda farmaceutica Neopharmed Gentili dalla famiglia fondatrice Del Bono. «Siamo molto presenti in Italia perché operiamo attraverso diversi team su più fronti. L’Italia rappresenta nel complesso un mercato centrale, insieme a Francia e Germania, soprattutto per quanto riguarda la divisione buy out che seguo direttamente», ha detto a TopLegal Nicolò Saidelli, managing director e a capo di Ardian in Italia. Arrivato nel nostro Paese nel 2007, da allora il colosso del private equity ha effettuato investimenti per circa tre miliardi di euro trasversalmente in tutti i settori, con una buona parte dedicati alle infrastrutture, aeroporti e autostrade, concessioni ospedaliere, energia rinnovabile e gas. E ora si prepara a immettere nuove risorse sull’Italia attraverso il suo ultimo fondo dedicato alle infrastrutture (su questo fronte Ardian ha siglato una partnership strategica con il gruppo Gavio).

La forza degli imprenditori
Se si guarda in particolare alle operazioni di buy out, la filosofia portante della strategia di investimento di Ardian è proprio quella di cercare operazioni primarie, acquisizioni fatte direttamente dagli imprenditori, e proprietarie, ossia non in un contesto di gara. «Si tratta di operazioni nelle quali stringiamo partnership con le famiglia di imprenditori— spiega Saidelli,— sia per accompagnarle in piani di crescita, soprattutto a livello internazionale, per i quali hanno bisogno di un forte partner industriale, sia per affrontare il problema del passaggio generazionale».

Il driver è quindi stringere partnership con gli imprenditori che vogliono crescere, puntando su una governance in cui spesso convivono le due anime: imprenditori e manager. Il target spazia dalle grandi aziende alle Pmi, attraverso varie tipologie di fondi che hanno taglio geografico paneuropeo o mondiale (non ci sono quindi veicoli dedicati all’Italia), con l’obiettivo di accompagnare le aziende per un lasso temporale adeguato a consolidare la crescita, soprattutto in caso di passaggio generazionale. «La scelta del consulente — dice Saidelli — è molto legata all’affiatamento che si genera negli anni. Si lavora molto in squadra e la sintonia fa la differenza. Nel buy out in particolare non guardiamo alle specializzazioni settoriali per scegliere il consulente legale ma quello che conta davvero è avere la sensibilità nella negoziazione, avere sempre ben chiaro cosa ha in mente la controparte e cosa si può lasciare sul campo e cosa non si può». Con l’obiettivo, chiaramente, non di farla saltare ma di trovare la via più giusta per chiudere il deal, tenendo duro sui principi guida. «In questa fase — ha concluso Saidelli — c’è molto lavoro da fare sul fronte della governance, per allineare gli interessi e concordare il piano di crescita della società».

Cambiamento a prova di congiuntura?
Gli operatori rilevano un cambiamento culturale in atto: il mutamento di percezione da parte degli imprenditori. «Il trend di crescita del mercato italiano, comunque storicamente indietro rispetto ad altri mercati, dipende anche dalla nuova consapevolezza di molti imprenditori che vedono nei fondi uno strumento positivo di accompagnamento in un mercato globalizzato», afferma Eugenio de Blasio, fondatore e amministratore delegato di Green Arrow Capital Sgr. Per il legale è però molto importante mostrare una buona flessibilità negoziale. «È necessario avere la pazienza di trattare con tutte le controparti, anche quelle non particolarmente sofisticate», spiega de Blasio, indicando come la tendenza del fondo sia quella di lavorare con diversi studi, in ottica di moltiplicazione delle opportunità (gli studi possono avere al loro interno clienti interessati a entrare in contatto con private equity). La scelta è però affidare un deal a un solo studio, rivolgendosi quindi alle grandi insegne che abbiano al loro interno anche la parte giuslavoristica e fiscale, affinché tutti gli aspetti dell’operazione possano parlarsi tra di loro. In continuità con questo trend di evoluzione culturale e di ingenti disponibilità liquide da investire, il private equity si candida quindi a essere il propulsore per il mercato M&a italiano del 2019. L’inizio dell’anno non ha fornito dati brillanti sulle operazioni di M&a. Secondo Kpmg, si è assistito a una «brusca frenata» nel primo trimestre 2019, in linea con la frenata registrata sul mercato dalla seconda parte del 2018, a cui si aggiunge una pipeline di operazioni già annunciate piuttosto scarica. «La situazione macro-economica e politica ha certamente un’influenza su tutte le operazioni di M&a — ha affermato de Blasio — tuttavia, noi abbiamo una visione ottimistica del mercato nel 2019. Il private equity può infatti permettersi una visione più speculativa delle imprese industriali, se riesce a ottenere multipli più bassi e se punta ad aziende che possono esportare. Inoltre, l’Italia per noi rimane un mercato in cui la numerosità di opportunità è ancora maggiore che in altri Paesi e ci attendiamo che la competizione rimanga alta». Green Arrow Sgr è specializzata in operazioni primarie e attraverso il suo terzo fondo multisettoriale (con risorse per 230 milioni investite al 55%) guarda ai piccoli campioni di nicchia in settori con forte potenzialità in termini di esportazioni, dalla manifattura alla tecnologia (i microchip, per esempio) passando per il mondo della moda.

Il made in Italy che piace. Ma…
In questo contesto vi sono dei settori del mercato che continuano a mostrare appeal per le operazioni di M&a. Il design e l’arredamento, la cosmetica, il mondo software e l’alimentare sono settori che per gli osservatori continueranno a prosperare nei prossimi mesi del 2019, anche per un processo di consolidamento strutturale giudicato ormai irreversibile. «Ci sono settori in cui il ruolo dell’Italia è storicamente riconosciuto, sono trend confermati perché nel mondo c’è domanda di made in Italy — afferma Medea di Wise Sgr — tuttavia, non è detto che siano i settori in cui si faranno le operazioni migliori. I prezzi sono ormai inflazionati, sia per la domanda che viene dall’estero sia per le aspettative di chi vende. Ci sono invece nicchie meno note e molto interessanti, per esempio nel business to business». Partendo da un’impostazione generalista, ossia che guarda a tutti i settori, Wise Sgr investe in leader di nicchia aggregando attorno alla prima operazione una serie di altre Pmi con l’obiettivo di migliorare la competitività e la marginalità delle imprese e favorire lo sviluppo internazionale. «Abbiamo per esempio investito nella Tatuus — dice Medea — una società che produce macchine da corsa per categorie promozionali, un mercato piccolo ma in cui gli italiani sono molto bravi e con la filiera di componentistica migliore al mondo. Partendo da questa operazione abbiamo aggregato una serie di altre Pmi, dai motori alla componentistica speciale, creando un gruppo».

Questione di selezione
Nell’attuale congiuntura di mercato, il tema portante del 2019 sarà quello della selezione. «Noi siamo in fase di raccolta del nostro quinto fondo e vediamo che gli investitori stanno continuando a guardare all’Italia con interesse, certamente in modo più selezionato e con cautela», dice Medea. A livello macroeconomico c’è un tema legato all’Italia, ma anche chiaramente internazionale, ossia le guerre commerciali e il rallentamento della domanda cinese, che implica in Europa il rallentamento della Germania e della filiera automotive, con effetti sensibili su tutta la catena del valore. «Tutti ci aspettiamo un po’ di rallentamento dell’economia, ma non mi farei prendere da una preoccupazione eccessiva. — rileva Medea — I fondamentali della media impresa italiana sono solidi. Noi, per esempio, stiamo lavorando su tre nuove operazioni. La cautela dovuta all’attuale congiuntura non si traduce quindi in un arresto degli investimenti ma in una maggiore cautela su un duplice fronte: la scelta da parte degli investitori del team di private equity, un team che sappia guardare alla crescita industriale e non a operazioni basate solo sulla leva finanziaria; una maggiore selettività degli stessi private equity nel valutare le operazioni».

Approccio che coinvolge anche il consulente legale, chiamato ancor più a sviluppare una spiccata sensibilità di business, per saper comprendere cosa è rilevante e quali sono i reali rischi collegati. «Un tema legale su una questione di business marginale — chiosa Medea — è per noi molto diverso da un tema sostanziale. Bisogna che il consulente ci aiuti a dare la dimensione del rischio legale, con riferimento alle prassi del mercato e con consigli che vadano al di là degli aspetti tecnici».

 


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