Russo De Rosa

I professionisti della discontinuità

Da start up brava a dialogare con i private equity ad alleato delle grandi famiglie imprenditoriali nelle fasi di forte cambiamento. Grazie al buon connubio tra legale e fiscale

08-11-2017

I professionisti della discontinuità

I professionisti della continuità aziendale e familiare. È così che si definiscono Alberto Russo e Leo De Rosa (in foto), i co-managing partner di Russo De Rosa, lo studio creato da loro alla fine del 2006, con l’immediato coinvolgimento come soci fondatori di Andrea Bolletta e Valerio Libani.

Lo studio è stato fondato in un momento storico in cui il mercato professionale della consulenza fiscale era caratterizzato da una forte polarizzazione tra due modelli antitetici: lo studio generalista, caratterizzato da grandi numeri, approccio e assistenza professionale standardizzata, tipicamente ascrivibile al mondo delle società di revisione; e quello accademico, basato su un’estrema specializzazione, fortemente verticistico e di solito centrato su una o più figure di professori universitari.

Nell’intercapedine tra questi due modelli si è inserito Russo De Rosa con l’intento di concentrarsi sull’operatività straordinaria dei propri clienti. Per i soci fondatori, però, la straordinarietà ha assunto ben presto un’accezione più ampia rispetto all’operazione di M&a, fino a essere intesa come “discontinuità”, nel senso di ogni momento topico all’interno del ciclo di vita di una famiglia o di un patrimonio, dal big deal al passaggio generazionale. Ed è questa accezione di discontinuità il tratto che, più di altri, secondo loro connota l’offerta dello studio.

«Il nostro patrimonio è stato fin dall’inizio rappresentato da una forte specializzazione nelle operazioni straordinarie cui si aggiungeva una visione precisa del mercato cui volevamo rivolgerci», racconta Leo De Rosa. «Siamo partiti dal private equity – continua De Rosa – aiutati anche dalla nostra giovane età visto che tipicamente il private equity è un mercato “giovane”, e poi l’offerta si è estesa alla discontinuità tout court ». Quando hanno fondato lo studio i soci erano poco più che trentenni e già da tempo coltivavano il desiderio di mettersi in proprio, realizzando – come amano dire – non uno spin off (provenivano dall’allora Camozzi Bonissoni), ma una start up. Lo spin off, infatti, presuppone che il patrimonio della nuova realtà professionale si giovi già dall’inizio di clientela originata nello studio di provenienza e magari fidelizzata al punto da essere “trascinata” al momento del distacco. «A noi non andò così – sottolinea De Rosa – Non avevamo incubato clienti, ma in compenso avevamo tante idee. Il nostro studio è stato fondato sul know how e non su relazioni o su un portafoglio clienti. Ci piace evidenziarlo perché lo consideriamo un messaggio incoraggiante anche per i giovani perché vuol dire che il mercato non è una cattedrale sigillata se si hanno idee e intuizione ».

Secondo De Rosa la giovane età, a dispetto di un mercato che tradizionalmente tende a premiare l’elevata seniority e le relazioni consolidate, ha funto da volano di crescita: «Abbiamo fatto perno sulle rilevanti necessità di supporto professionale sollevate dalle riforme, ancora molto giovani, del diritto tributario con Giulio Tremonti e del diritto societario con Michele Vietti. Data la nostra specializzazione nei profili fiscali, legali e contabili delle operazioni straordinarie ci è sembrato piuttosto naturale rivolgerci in prima battuta a un consumatore seriale di operatività straordinaria, i fondi di private equity. Parlavamo la stessa lingua dei quarantenni del private equity ai quali abbiamo proposto di capire come le riforme Tremonti e Vietti ne avrebbero cambiato l’operatività. E loro ci hanno dato fiducia».

Negli anni, poi, il modello si è ulteriormente sviluppato tenendo sempre al centro la nozione di straordinarietà e ampliando la base della clientela alle grandi famiglie e ai grandi patrimoni imprenditoriali e non, complice anche il mutato contesto economico. La crisi iniziata nel 2008, a soli due anni dalla costituzione dello studio, ha portato il mercato a chiedere agli advisor sempre più sostenibilità, protezione e difesa delle operazioni societarie di fronte alle pretese di creditori, eredi, controparti o amministrazione finanziaria. I clienti hanno sempre di più chiesto al mondo professionale di diventare un vero “interlocutore del cambiamento”, in grado di aiutarli a riorganizzare il proprio patrimonio imprenditoriale e familiare, aprirsi a nuovi interlocutori industriali o finanziari, crescere o delocalizzare all’estero oltre a sviluppare strumenti societari di dialogo tra vecchie e nuove generazioni.

Piuttosto rapidamente, quindi, Russo De Rosa ha fatto evolvere il modello per renderlo anticongiunturale, trasformando il concetto di straordinarietà in quello di supporto alla discontinuità, intesa come affiancamento professionale di fasi topiche del ciclo di vita familiare o aziendale quali le riorganizzazioni societarie, la cessione o apertura del capitale sociale a terzi, la protezione patrimoniale e la trasmissione della ricchezza tra generazioni.

Un’offerta che impone un approccio multilaterale e un concorso di professionalità insieme legali e fiscali. Lo studio, in effetti, è un esempio di integrazione tra commercialisti e avvocati che fino ad oggi ha retto alla prova del tempo, visto che negli undici anni di vita ha segnato una crescita costante. Come ha affermato a TopLegal lo stesso De Rosa «il segreto del connubio risiede nella convinzione (e interiorizzazione) che davvero legale e fiscale fa molto più di “due”. Non ho mai creduto agli studi strutturati per practice, quanto piuttosto fondati sulla capacità di leggere i bisogni compositi del cliente. La specializzazione senza trasversalità è distorsiva e poco efficace. Strutturare un leveraged buy out, pianificare un passaggio generazionale, gestire un turnaround sono situazioni che richiedono un presidio dei profili legali e fiscali che si integrano e alimentano a vicenda». Il modello, per lo studio, ha pagato fin da subito. Basti pensare che in una ricerca promossa dal Private Equity Lab della Sda Bocconi sul biennio 2012/2013, Russo De Rosa si collocava già al secondo posto per i profili fiscali e al quinto posto per quelli legali tra le realtà professionali maggiormente ingaggiate dai fondi di private equity per le loro operazioni.

Nel 2017 l’insegna è arrivata a contare nove soci equity e oltre sessanta professionisti tra avvocati e commercialisti. Con un sostanziale superamento della specializzazione per practice legale e fiscale, lo studio è strutturato in diversi dipartimenti con presenza mista di avvocati e commercialisti che coprono l’M&a, la fiscalità finanziaria e internazionale, la valutazione d’azienda e il transfer pricing, la crisi d’impresa, il passaggio generazionale e il contenzioso tributario. Per il terzo anno consecutivo, poi, lo studio secondo quanto riferito da Leo De Rosa si attesterà oltre i 10 milioni di euro di fatturato.

L’insegna ambisce a istituzionalizzarsi ma è ancora una realtà giovane, con una leva molto corta, che si basa sulla comunicazione tra partner garantita da una riunione tra soci a cadenza settimanale. Tutte le decisioni, come racconta De Rosa, sono frutto del buon senso e del «desiderio di non creare studi nello studio»; non ci sono comitati a sovraintendere la governance e la volontà di essere percepiti come «uno studio di arrivo e non di transito» ha fatto sì che al momento ci sia stata una crescita abbastanza ponderata e prevalentemente endogena. Ma non è detto che il futuro non riservi qualche novità.

Nel solo ultimo biennio, infatti, lo studio ha reclutato ben 15 nuovi professionisti e finalizzato il trasferimento nella nuova sede di oltre 1.600 metri quadri nella centralissima piazza San Babila di Milano. Ed è lo stesso De Rosa a far intendere di avere in cantiere altri progetti, sottolineando il desiderio di continuare a far crescere l’insegna attraverso «una politica di investimenti in professionisti d’eccellenza e in infrastrutture funzionali al nostro modello».

Guardando al futuro, l’ambizione dei soci è quella di perseguire la strada già tracciata, supportando le esigenze professionali sollevate dai momenti di discontinuità e straordinarietà del capitalismo familiare italiano e dei suoi tipici interlocutori sia per il patrimonio imprenditoriale (private equity) sia per quello finanziario (private banking). «La chiave – conclude De Rosa – sarà la “ricerca culturale applicata” ovvero il difficile, ma indispensabile, bilanciamento tra l’approfondimento normativo e l’evoluzione dei bisogni della clientela servita, delle loro famiglie e dei loro patrimoni » .

 

L'articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre-novembre di TopLegal Review. 


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