La necessità di accaparrarsi mandati e nuovi clienti talvolta gioca brutti scherzi. E a rimetterci rischia di essere il rapporto di fiducia che dovrebbe legare advisor e cliente. Le storture che viziano questo rapporto, rendendo quello italiano un mercato per molti versi ancora immaturo, sono delle più varie. Avvocati che, anziché rivolgersi al General counsel, cercano ancora il contatto diretto con l’Amministratore delegato, magari su un campo da golf.
Che importa se è la stessa società ad aver fatto più volte presente che la gestione della spesa legale è appannaggio solo della direzione affari legali. E non è l’unico caso in cui gli in-house sono trattati come un corollario al mandato, e non come gli interlocutori principali a cui rivolgersi.
Stando alle esperienze raccolte negli ultimi mesi da TopLegal, sono tanti gli studi che commettono ancora errori grossolani, senza mettere alcuna cura nella definizione di servizi specifici tagliati ad hoc per andare incontro alle esigenze legate ai diversi clienti. Come, per esempio, il sempreverde problema della lingua, con insegne italiane che tutt’oggi sperano di agguantare un mandato da una multinazionale (magari facendo le scarpe a una law firm internazionale) pur masticando a stento l’inglese. Problema che tanti Gc di aziende estere presenti sul suolo italico continuano, imbarazzati, a mettere in luce.
A volte si tratta di errori fatti in buona fede. Per esempio, anche se è un atteggiamento ben lontano dalle richieste avanzate dai clienti, non si può certo parlare di mala fede quando gli studi inviano pareri di decine di pagine che girano intorno a un concetto facilmente esprimibile in due fogli. Altre volte, però, gli advisor sembrano quasi voler sfidare gli in- house, mettendo in discussione il loro ruolo all’interno dell’azienda. In beffa alla necessità – sottolineata in tante occasioni – di potenziarne la funzione. Stando a quanto raccolto da TopLegal, gli studi non sono esenti da alcuno dei sette peccati capitali. Abbiamo così deciso di raccogliere alcuni esempi di comportamenti ad alto tasso di ingenuità (se così vogliamo definirla), che hanno compromesso per sempre il rapporto tra alcune società e certi studi sprovveduti. Con l’augurio che possa servire a prevenire futuri errori di valutazione.
Accidia
Accidia, ovverosia la tentazione di cedere all’inerzia. E l’inerzia degli studi è forse il peccato più lamentato dai clienti. Sui consulenti che aspettano di essere chiamati in causa dagli in- house, sull’assenza di propositività e di innovazione di aneddoti se ne potrebbero raccontare tanti, perché sono mille le occasioni in cui gli studi operanti in Italia rimangono inerti. Uno degli episodi più significativi è quello raccontato da un General counsel che, dopo aver fatto presente nel corso di una tavola rotonda la volontà di allargare il proprio panel (sottolineando tra l’altro di avere una cifra decisamente considerevole destinata alla spesa legale), è stato contattato soltanto da uno delle decine di studi presenti al dibattito...
Invidia
Sentimento doloroso frutto della frustrazione, talmente folle da far perdere di concretezza un consulente che si era preso la briga di esporre al General counsel tutte le pecche che, a suo dire, aveva un competitor. Pecche che naturalmente, secondo quel professionista, non appartenevano all’insegna di cui faceva parte. Figurarsi lo stupore del General counsel quando, a distanza di appena tre settimane dall’accaduto, ha saputo che il consulente, mentre elogiava le doti della sua insegna screditandone un’altra, stava negoziando la sua uscita dalla stessa per passare in un altro studio.
Ira
Infuocarsi a vanvera: questo è il vero peccato. Avvocati che sbottano perché non possono più fare il bello e il cattivo tempo del mercato legale. Ma c’è un episodio iroso che ha avuto un risvolto quasi comico per il direttore affari legali che ne è stato protagonista. Il partner italiano di uno studio internazionale si è rivolto al cliente, con toni risentiti, pretendendo di sapere come mai negasse al suo studio la possibilità di lavorare con la società. Divertente il fatto che, invece, quella stessa società si avvaleva della consulenza dello studio in questione addirittura in sei giurisdizioni. Ma l’avvocato, in preda alla furia, non si era nemmeno preoccupato di controllare quel dettaglio. Per la legge del contrappasso, magari sarà toccato a lui subire lo sfogo di rabbia dal managing partner globale quando ha ricevuto la notizia che gli uffici italiani dell’insegna si erano preclusi ogni possibilità di lavorare con la società.
Superbia
Bisogna fare attenzione che la stima per se stessi non diventi disprezzo per gli altri. All’altezzosità dimostrata da un consulente che ha chiamato in causa il General counsel solo dopo aver cercato di procacciarsi il mandato direttamente alla fonte ( Amministratore delegato) durante una partita a golf, l’in- house ha potuto rispondere in un unico modo: rifiutando ogni possibile incontro. E non meno perplessità ha destato il comportamento di quell’avvocato che – preso dal desiderio di fare sfoggio di norme e legalese – ha tralasciato le ripetute richieste del cliente che, sottolineando le sue competenze in fatto di normativa, chiedeva pareri più sintetici e orientati al business. Ebbene, quel consulente ha pagato cara la sua presunzione: dopo il secondo richiamo, non gli è stata data una terza possibilità.
Rapporto advisor - cliente