L’anno che sta per concludersi offre prospettive ben diverse da quelle iniziali. A gennaio si sperava che la ripresa potesse prolungarsi; ora, invece, è tornata l’incertezza e l’attesa. Come ogni anno, per TopLegal dicembre segna il tempo del bilancio. Sono cinque gli aspetti principali che hanno caratterizzato il mercato nel 2018.
Il recupero degli inglesi
Il dopo crisi è stato particolarmente arduo per gli studi di matrice inglese costretti a rivedere i piani strategici per l’Italia, soprattutto con il progressivo ritiro dalla Capitale e il commissariamento da una casa madre. L’alta volatilità delle squadre negli ultimi tre anni si è manifestata nel primato per le defezioni di soci ma i segnali di questo anno sono stati più positivi. La maggioranza delle compagini si è stabilizzata mentre le insegne di recente approdate in Italia hanno continuato a crescere grazie al reclutamento aggressivo che ha consentito di presidiare tutte le aree giuridiche in tempi rapidi. Sebbene le campagne acquisti abbiano interessato pochi nomi di spicco, i progetti hanno pesato di più rispetto alla somma delle loro parti. L’appuntamento con la Brexit il prossimo marzo potrebbe aumentare la quotazione delle sedi italiane ma altresì accentuare l’insofferenza dei soci verso la scarsa rappresentatività percepita nella dirigenza rimasta saldamente nelle mani dei colleghi londinesi.
Le Big 4 senza freno?
Le divisioni legali appartenenti alle società di revisione sono tornate a crescere e sono tornate anche le previsioni di una concorrenza dirompente per gli operatori insediati. Per questo molti avranno provato una sensazione di déjà vu, ma la differenza con i primi anni Duemila potrebbe rivelarsi sostanziale. A frenare lo sviluppo legale delle Big Four restano da sempre le incompatibilità tra le attività di revisione e legali ma il limite connaturato potrebbe essere superato anche nel breve-medio termine. Mentre diminuiscono i ricavi della revisione, aumenta la redditività dovuta alla consulenza legale. Facile dedurre dove le società potrebbero puntare in futuro i loro investimenti, soprattutto se sul mercato vincolato della revisione dovesse intervenire il regolatore.
Criticità della fascia media
Uno dei più significativi cambiamenti strutturali provocato dalla crisi economica è stata l’accelerazione verso un mercato più segmentato. Le cosiddette boutique all’Italiana hanno continuato nel 2018 a perseguire una politica di espansione verso l’offerta full service lasciandosi alle spalle un segmento scomodo da presidiare. Non è casuale quindi se i maggiori attriti sono sorti dagli studi di medie dimensioni tra cui più di un marchio storico italiano ha faticato a rilanciarsi. Prive delle specializzazioni distintive delle boutique da una parte e delle scale di economia degli studi più strutturati dall’altra, le insegne medie rischiano di appannarsi ulteriormente con la flessione del mercato.
La carenza di governance
Giunto a 15 soci, lo studio legale non riesce più a gestirsi su basi informali ma ha bisogno di adottare regole di buon governo per filtrare e perfezionare il processo decisionale atto a creare il consenso. Cionondimeno gli studi italiani tendono a prediligere modalità di gestione anche quando le stesse sarebbero ampiamente superate dalla necessità di gestire gli attriti interni. Come è accaduto più volte durante il corso dell’anno, l’anello debole più evidente è stata l’inadeguatezza delle politiche di comunicazione di fronte alla fuoriuscita di uno o più soci. Per i professionisti legali sembra inoltre confermarsi come unica strada per gestire il passaggio generazionale quella di optare per il family business (quando si può) e tramandare tutto ai propri figli.
Un movimento fallito
Tra gli avvocati italiani si sono diffuse la diversità e la parità quasi per osmosi ma senza una vera battaglia. Su questi temi mancano gli osservatori e l’informazione adeguata poiché tutti gli studi sul divario retributivo e sui rapporti di potere impari tra generi in ambito legale provengono dall’estero. Come era prevedibile, la stampa legale anglosassone ha riferito ripetuti casi di ineguaglianza retributiva a danno delle donne nei più rinomati studi legali. Oltre alla pioggia di denunce sulla disparità salariale, è stato il movimento #MeToo a galvanizzare le avvocate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Diversi studi internazionali si sono visti costretti ad avviare indagini interne sulla condotta sessuale inopportuna o illecita da parte di soci. In alcuni casi si è arrivati alla sospensione o al licenziamento e persino alla reclusione dei responsabili. Molti si sono dotati preventivamente di politiche di sensibilizzazione e di whistleblowing. La Solicitors regulation authority inglese ha inoltre ritenuto opportuno intervenire dando il via a una consultazione pubblica per definire le procedure per notificare le violazioni dei regolamenti di comportamento. In Italia, invece, il movimento #MeToo è rimasto confinato al cinema senza sfiorare minimamente il mondo professionale. Sarebbe sconsolante se gli avvocati italiani dovessero trovarsi alla stregua della società civile la quale da decenni ha reso normale avere rapporti di potere sbilanciati rispetto a genere e status.