È tempo di bilanci. E per quanto siano in aumento gli studi italiani che proclamano l’intenzione di istituzionalizzarsi, quella dei fatturati è una prova del nove che solo in pochi riescono a superare. Sono bel lontani gli esempi esteri. Basti pensare agli spagnoli di Cuatrecasas, che lo scorso febbraio, come da appuntamento annuale, hanno organizzato una conferenza stampa per svelare i dati dell’esercizio 2013 e per lasciarsi interrogare su strategie e obiettivi futuri. Un atteggiamento illuminato, questo sì di stampo aziendalistico, che denota trasparenza nei confronti di stakeholder e clienti.
In Italia, invece, la trasparenza è ai minimi. In passato, la questione si riduceva nella smania di arrivare più in alto possibile nella classifica. Perché dichiarare apertamente quanto si è incassato, se le stime degli altri possono risultare più premianti? In caso contrario, bastava invocare l’aleatorietà delle cifre. Oggi, la difficoltà degli studi è un’altra: in una congiuntura come quella attuale la trasparenza potrebbe comportare un’ammissione di sofferenza di risultati. Allora, la soluzione migliore sembra essere quella di nascondersi dietro un dito e lasciare il mercato nella penombra informativa.
Chi si occupa di affari legali e questo mercato cerca di capirlo e interpretarlo, infatti, non può prescindere da un dato di fatto inconfutabile: oggi non è possibile tradurre l’anatomia del mercato in cifre. I clienti hanno riscritto le regole del gioco e la variabilità è entrata prepotentemente nella dialettica advisor-cliente. È sondando le politiche messe in atto dai clienti che si può avere reale contezza di quanto sta accadendo, perché lì sì che la trasparenza è d’obbligo. Come emerso dall’indagine annuale della General Counsel Agenda, sul versante dei ricavi i meccanismi variabili come success fee, abort fee e forfait hanno preso il posto della tariffazione oraria. Prima della crisi erano tanti gli avvocati pronti, taccuino alla mano, a mostrare equazioni matematiche basate sull’incrocio di billable hours e tarriffazione oraria, in grado di condurre gli analisti del settore al Santo Graal, la determinazione degli incassi (rigorosamente quelli degli altri studi, mai dei propri). Ora che, invece, la variabile tempo incide sempre meno nella definizione della parcellazione, ogni possibile equazione è venuta meno.
Non meno difficoltà comporta la determinazione dei costi sostenuti dagli studi. Anche lì, infatti, sono tanti quelli che vanno verso la ricerca della variabilizazzione. Per rendere meno impattante la flessibilità in entrata (ricavi) non c’è altro modo che aumentare quella in uscita (costi), così si cerca di stralciare i costi fissi, in particolare quelli legati al fattore più determinante: il capitale umano. Il dietro le quinte del mercato, infatti, racconta di una progressiva riduzione della parte fissa dei compensi, a vantaggio di meccanismi premianti i risultati effettivamente conseguiti dai professionisti.
Oggi che realmente, fatti alla mano, le variabili in gioco sono sempre più aleatorie, attribuire delle cifre rischia di trasformare l’analista in uno sceneggiatore dell’assurdo. Un approccio consapevole al mercato legale non può prescindere da queste considerazioni.
Maria Buonsanto
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