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Il bilancio di sostenibilità frena la competitività delle imprese?

Armando Simbari, name partner di Simbari Avvocati Penalisti, auspica un’armonizzazione della normativa europea sulle sanzioni alle rendicontazioni non finanziarie mendaci

08-07-2024

Il bilancio di sostenibilità frena la competitività delle imprese?

 

di Valentina Magri


Sempre più imprese italiane presentano il bilancio di sostenibilità. Una scelta coerente con l’integrazione dei criteri Esg (Environmental, Social and Governance) al business, che però porta con sé anche dei rischi sotto il profilo legale. Abi (Associazione bancaria italiana), Ania (Associazione nazionale per le imprese assicuratrici), Assonime (Associazione per le società per azioni italiane), Confindustria e i commercialisti hanno lanciato l’allarme all’indomani della pubblicazione, da parte del Mef, del “Documento per la consultazione pubblica in merito al decreto di recepimento della direttiva (Ue) 2022/2464”, meglio nota come Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive). 


L’articolo 2 del D.Lgs. 254 del 2016, che recepisce in Italia la Csrd, sancisce che la rendicontazione non finanziaria sia obbligatoria esclusivamente per gli enti di interesse pubblico che abbiano avuto in media, durante l'esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a 500 e,  alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno  uno  dei  due seguenti limiti dimensionali: totale dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro; totale dei ricavi netti delle  vendite  e  delle  prestazioni di 40 milioni di euro. In caso di violazione dell’obbligo di rendicontazione non finanziaria, viene comminata una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 20 mila e 100 mila euro. Se, tuttavia, il deposito avviene nei 30 giorni successivi alla scadenza  dei  termini   prescritti,   la   sanzione  amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo. «Il Decreto in questione attribuisce un disvalore solo amministrativo al mendacio nel bilancio di sostenibilità, applicando, ai sensi del art. 8 comma 4 del D.Lgs. 254/2016, una sanzione amministrativa pecuniaria da 50 mila a 150 mila euro», afferma Armando Simbari, name partner di Simbari.


Secondo associazioni e commercialisti, il recepimento della Direttiva Ue potrebbe «penalizzare la competitività del sistema italiano e incentivare il già preoccupante fenomeno del trasferimento della sede sociale in paesi europei caratterizzati da sistemi di vigilanza e di enforcement meno afflittivi». Un allarme «condivisibile» per Simbari, che non sposa l’idea di una «applicazione acritica della direttiva». 


Il penalista ricorda infatti che «tali norme penali sono state concepite rispetto a tutt’altra tipologia di documentazione societaria e per perseguire finalità diverse». Le norme sul falso in bilancio infatti sanzionano penalmente l’esposizione ovvero l’omissione di dati attinenti alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. «Occorre quindi accertare, oltre alla capacità astrattamente decettiva dell’informazione fornita (la rilevanza dei fatti materiali), anche l’idoneità in concreto ad indurre altri in errore, oltre che dimostrare che l’indicazione dell’informazione decettiva sia animata dal dolo specifico di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto», spiega Simbari.


Il bilancio di sostenibilità invece contiene informazioni di carattere non finanziario e non riguardanti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo. Per questo Simbari ritiene assai arduo ipotizzare l’applicabilità delle norme sul falso in bilancio al bilancio di sostenibilità, a meno di non voler ipotizzare un’estensione analogica della norma in malam partem. Più in generale, oggi i parametri Esg non si prestano a una valutazione in termini finanziari, considerando aspetti più umani e lontani dall’ambito strettamente economico, come l’etica retributiva.


Alla luce di questo, non stupisce che molti Paesi europei abbiano accolto le norme comunitarie adottando un sistema di applicazione “soft”. Ad esempio, la Germania vorrebbe esentare circa 8 mila imprese dall’obbligo di rendicontare la propria sostenibilità, cercando di modificare il criterio di individuazione delle pmi e alzando la soglia del numero di dipendenti da 250 a 500. «Secondo la normativa europea, le pmi che non rientrano nella direttiva sono quelle con meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo di massimo 50 milioni di euro oppure totale di bilancio annuo entro i 43 milioni di euro», precisa Simbari. 


Nel senso opposto pare si stia muovendo la Francia, che ha previsto l’obbligo per le aziende di pubblicare una rendicontazione sostenibile annuale che dimostri l’impatto delle attività aziendali sulle questioni ambientali, sociali e di governo societario e l’impatto di tali tematiche di sostenibilità sull'evoluzione del business e dei risultati aziendali. Tali informazioni dovranno essere certificate da un revisore autorizzato che, a sua volta, verrà supervisionato da l’Haute Autorité de l’Audit. Per la violazione di tale fattispecie, sono state introdotte sanzioni piuttosto severe: la mancata designazione di un revisore dei conti potrà portare a una pena di due anni di reclusione e 30 mila euro di sanzione pecuniaria per i dirigenti che risultino inadempienti. Inoltre, i dirigenti delle aziende obbligate a produrre il bilancio di sostenibilità, che ostacolino le attività di verifica dei revisori dei conti ovvero rifiutino di fornire contratti, documenti, libri contabili e rendicontazioni, rischiano fino a cinque anni di reclusione, oltre ad una sanzione pecuniaria di 75 mila euro.

 

Sarebbe necessario un quadro armonizzato di sanzioni a livello europeo, che quantomeno «eliminerebbe problematiche di agevolazione e preferenza di una società piuttosto che un’altra in ottica di accesso al mercato concorrenziale», conclude Simbari.

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