IL CASO AREZZO E I CONFINI DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA

09-08-2007

IL CASO AREZZO E I CONFINI DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA

Il procuratore federale Stefano Palazzi ha deferito alla commissione disciplinare il presidente dell'Arezzo, Piero Mancini. Mancini è stato deferito - si legge in una nota della Figc - "per aver contravvenuto agli obblighi di accettare la piena e definitiva efficacia dei provvedimenti degli Organi di giustizia sportiva della federazione, proponendo ricorso al Tar Lazio e impugnativa dinanzi al Consiglio di Stato, in assenza di preventiva autorizzazione della Figc". Per responsabilità diretta è stata deferita anche la società toscana, che aveva presentato ricorso al Tar contro i 6 punti di penalizzazione ricevuti per lo scandalo Calciopoli.
TopLegal ha interpellato l'avvocato Giovanni Pesce che ha seguito il ricorso al Tar della società toscana. Ecco un estratto dell'articolo che sarà pubblicato su uno dei prossimi numeri del nostro mensile

Perché avete deciso di ricorrere alla giustizia ordinaria? Dopo la pronuncia del giudice sportivo sul caso Arezzo?
È bene premettere che le decisioni succedutesi dinanzi alle corti di giustizia sportiva hanno sancito per l’Arezzo la penalizzazione 6 di punti in classifica nel campionato nazionale di calcio di serie B, stagione 2006/2007, ragione per cui alla fine l’Arezzo è retrocesso in serie C1 (nonostante i lusinghieri risultati ottenuti sul campo). L’imputazione è avvenuta non per coinvolgimento della squadra, della società o dei suoi dirigenti, e ciò è ormai pacifico, ma in ragione della applicazione della figura della “responsabilità presunta” prevista nel codice di giustizia sportiva, norma impugnata in sede giurisdizionale. Eravamo e siamo convinti che sia la decisione della Corte federale presso la FIGC sia il “lodo” Camera di conciliazione ed arbitrato presso il CONI siano sostanzialmente provvedimenti amministrativi, che come tali sono passibili di un sindacato di legittimità di fronte al giudice amministrativo. In altri termini i provvedimenti della giustizia sportiva sono simili ad atti emessi dalla pubblica amministrazione più che a “sentenze” di organi giurisdizionali veri e propri. Il TAR Lazio su questo punto ci ha dato ragione.

La giustizia sportiva deve avere dei “limiti”? Perché?
Se l’Arezzo è stata costretta a rivolgersi alla giustizia statale è perché ha ritenuto che siano stati travalicati i limiti costituzionali che lo stesso ordinamento sportivo, pur nella sua spiccata autonomia, deve osservare. La tesi che abbiamo sostenuto in primo grado, e che è stata accolta, è che la giustizia sportiva sia una “giustizia” in senso a-tecnico, e che si tratti piuttosto di una serie di atti amministrativi sanzionatori (simili ad esempio ai provvedimenti emessi dalle autorità indipendenti o dalle autorità di pubblica sicurezza) che in quanto tali non possono essere sottratti al sindacato giurisdizionale. Il ricorso al giudice – sia esso ordinario che amministrativo – è in linea generale consentito a qualsiasi soggetto che asserisca di essere leso in un proprio diritto o interesse. Del resto, accogliere la tesi opposta e dunque ritenere che la giustizia sportiva sia un mondo a sé, autonomo e svincolato da ogni controllo giurisdizionale, significherebbe affermare che una grossa fetta della società – quale è quella sportiva e calcistica in particolare – sia una specie di isola indipendente: un ordinamento autonomo dotato di regole autonome e giudici autonomi che non deve rendere conto del proprio operato di fronte ad alcun organo dello stato. Una tale tesi forse poteva essere comprensibile cinquant’anni fa, ma non oggi. Il mondo del calcio è anche il mondo delle società calcistiche: società per azioni il cui capitale è molto spesso di proprietà di piccoli azionisti del tutto estranei al mondo calcistico. Come si può sostenere che una così grossa fetta della società di oggi (che include, fra l’altro, una miriade di piccoli azionisti) non abbia diritto ad alcuna tutela giurisdizionale? Tanto più se si pensa alla rilevanza etico sociale – e non solo economica – che il fenomeno calcistico ha assunto negli ultimi tempi. Sottrarre la “giustizia sportiva” al sindacato esterno significa affermare che il mondo che costituisce per molti giovani un modello cui aspirare (agonismo, calciatori individuali, etc…) sia un mondo a parte: un ordinamento estraneo (e quasi straniero) rispetto al nostro ordinamento giuridico.


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