IL MODELLO CHE NON RESISTE PIU'

06-11-2014

La boutique legale continua ad imbattersi in evidenti difficoltà. Dopo i giuslavoristi – tra cui altri due soci che hanno recentemente dato l’addio allo studio Fava – negli ultimi mesi è toccato alle insegne fiscali Di Tanno e Maisto avvertire lo scossone di defezioni pesanti. E secondo le voci di mercato, tra i fiscalisti sarebbero in arrivo ulteriori spinte verso la frammentazione.

Finora, tali turbolenze accentuavano lo scollegamento tra il successo economico del modello boutique e la sua cultura interna problematica, soprattutto per via delle contraddizioni generate dalla presenza ingombrante dei soci fondatori. Il concentrarsi nelle mani di un singolo delle scelte strategiche nonché dei rapporti con i clienti, da sempre espone le boutique ad improvvise disavventure. Ora potrebbe subire ripercussioni anche il successo economico di un modello rivelatosi infine inadatto all’offerta di servizi multidisciplinari ed integrati richiesti da clienti strutturati, i quali difficilmente potranno essere convinti che ripartire il mandato fra più studi di fronte a budget ridotti possa essere attraente. Per il momento una cosa è sicura: la normalizzazione del comparto legale degli ultimi anni ha reso palese il deficit di autodisciplina sul duplice fronte della governance e della successione. E in questo ambito, il comparto legale trova un ovvio parallelo con il mondo imprenditoriale italiano. 

Emblematico in queste settimane è stato il caso di Luxottica. Nonostante l’ingresso in Borsa e l’apertura a investitori e risparmiatori, le decisioni della società continuano ad essere considerate fatti privati e di famiglia. Avvertendo il rischio di un vuoto al vertice delle società, Consob ha voluto dare un impulso alle aziende quotate italiane chiedendo a queste ultime di dotarsi di piani di successione ma pochi ne hanno visto la luce del giorno. Vari fattori hanno frenato questo sviluppo: una cultura della coltivazione dei talenti interni scarsa e poco diffusa; l’assenza di comitati nomine per occuparsi della crescita del successo; infine, la preponderanza dell’azionariato di controllo di matrice familiare. Gli stessi limiti si avvertono mutatis mutandis tra le boutique diventate doppiamente anacronistiche, perché in ritardo nei confronti di un contesto economico-imprenditoriale evoluto nonché del proprio settore di riferimento. 

Eppure il mercato legale italiano da oltre 10 anni convive con la necessità di una cultura di lavoro in rottura col passato grazie all’arrivo degli studi internazionali. In un secondo momento, ed arrivati ad una certa dimensione, gli italiani che perseguivano la strada dell’indipendenza hanno avvertito come improrogabili la creazione di regole di convivenza e di gestione per tenere i propri talenti e competere sul mercato. Con effetto a cascata e non senza qualche ritardo, l’obbligatorietà di politiche di governance e di successione ora si fa sentire anche per le boutique che finora hanno potuto resistere alle spinte riformatrici del mercato, trascurandole e incarnando così quella eccezionalità italiana caratterizzata da insegne espressioni di un potere economico e relazionale personalistico. L’eccezione sta finendo anche per loro. 


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