Da TopLegal Review

Il nuovo private equity

Parlano i professionisti: i volumi sono tornati agli anni pre-crisi, ma con meno leva e speculazione e più strumenti ibridi e attenzione all'aspetto industriale

25-08-2016

Il nuovo private equity

Dopo anni di alti e bassi, il 2015 ha segnato un significativo incremento dell’attività di investimento, che è tornata ad attestarsi, nella sostanza, sui livelli precedenti alla crisi. Il mercato del private equity – secondo i dati diffusi dall'osservatorio Private equity monitor – ha chiuso l'anno con un dato aggregato di 109 operazioni monitorate e un incremento di circa il 22% rispetto alle 89 operazioni del 2014. Un dato paragonabile non veniva registrato dal 2008, quando si sono contate 127 operazioni.

Le tendenze del nuovo private equity 


Dal punto di vista delle modalità di investimento, secondo l’osservatorio Pem, nel 2015 c’è stata una netta prevalenza delle operazioni di buyout, che si sono attestate al 77% delle preferenze, in deciso aumento rispetto all'anno precedente (57%). Inoltre, nell'anno appena concluso, si è confermato il ruolo di assoluto rilievo degli investitori esteri: ben il 53% delle operazioni è stato concluso da fondi non domestici, contro il 51% del 2014. Parallelamente, è risultato in calo il livello di concentrazione del mercato: 26 operatori hanno raccolto il 50% dell’attività d’investimento; mentre nel 2014 la metà delle operazioni era stata realizzata da 20 operatori.

Le differenze rispetto agli anni pre-crisi non si limitano ai settori di interesse per gli operatori di private equity, ma riguardano, da un punto di vista strutturale, il modo di operare degli investitori. «Negli anni pre-crisi gli operatori del settore confidavano enormemente nell'effetto leva finanziaria e valutavano con meno attenzione la vera capacità di crescita industriale e commerciale dell’aziende da acquisire. Il comportamento dei fondi era diventato così troppo speculativo e con una logica solo finanziaria, non mirata a una vera e duratura creazione di valore», spiega Bruno Gattai, socio fondatore di Gattai Minoli Agostinelli

I private equity, nati come forma di finanziamento per far crescere le imprese, negli anni precedenti la crisi sembravano aver deviato dal fine principale: da motori di sviluppo per le imprese si erano trasformati in puri speculatori. Le dinamiche erano semplici: si introducevano nel capitale dell'impresa e finanziavano i suoi progetti di sviluppo attraverso operazioni a leva finanziaria molto alta. In questo modo scaricavano i rischi sulla società stessa e, dopo aver incassato le plusvalenze, uscivano a caccia di un'altra target. Un tale atteggiamento era consentito anche dal facile ricorso al debito. «In passato mediante ricorso allo staple financing si arrivava a mettere sul piatto delle negoziazioni anche una banca pronta a finanziare l'acquisto di un operatore finanziario non ancora individuato», commenta il socio di Pedersoli Ascanio Cibrario.

Era talmente facile utilizzare la leva che le operazioni seguivano tutta una logica finanziaria, in cui contava poco la scelta della società target. Oggi questo tipo di operazioni non può più essere fatto: la leva finanziaria è inferiore e il fondo dà un maggiore supporto per far crescere la target. «Il cambiamento del contesto economico generale ha comportato da un lato la riduzione della componente di leva finanziaria rispetto all'apporto di equity e dall'altro lato l’allungamento degli holding periods medi degli investimenti dei fondi; questi due fattori hanno avuto il naturale effetto di orientare sempre più i comportamenti dei fondi verso logiche industriali volte alla creazione di valore nel medio-lungo periodo», sottolinea il socio di Chiomenti Luigi Vaccaro.

Da registrare, inoltre, i cambiamenti nell'utilizzo degli strumenti finanziari. La formula magica del leveraged buyout oggi è vista con sospetto ed è stata sostituita, oltre che da un maggior bilanciamento tra equity e leva, anche dall'utilizzo di strumenti di finanziamento ibridi regolati da legge statunitense o inglese come gli high-yield, i senior loans, ma anche i private placement sottoscritti da fondi di debito. 

Domanda e offerta si industrializzano 

L’importanza dei profili industriali delle operazioni è alla base di uno dei maggiori cambiamenti che hanno interessato il mercato dal punto di vista dell’incontro tra domanda e offerta. Quando era preponderante la natura finanziaria dell’operazione, la scelta del target era quasi indifferente. «Ora invece, rispetto a qualche anno fa, si punta molto di più alla valorizzazione degli asset e alla capacità di implementare piani di crescita basati su solidi presupposti prima dell'exit e quindi la componente industriale dell’operazione è diventata molto più importante», chiosa Cibrario. Mentre il partner di Legance, Filippo Troisi, evidenzia come «il mordi e fuggi non conviene a nessuno perché per rivendere bene un'azienda bisogna svilupparla e i fondi di private equity sanno farlo».

L’accento sugli aspetti industriali ha avuto delle ripercussioni anche sul lavoro degli advisor legali. «È importante conoscere il business della società», specifica al riguardo il partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli Stefano Bucci, aggiungendo: «Bisogna comprendere bene il mercato ed i numeri di uno specifico business per potere avere lo stesso approccio di operatori sofisticati come i private equity, che ben conoscono i mercati e i numeri di ciascun business».

La conoscenza dell'industry in cui vuole investire il fondo potrebbe rivelarsi utile per l'advisor legale anche per riuscire a favorire nuove operazioni per il fondo cliente. «L'avvocato viene sempre più interpretato nel senso inglese di solicitor (intermediario) e gli viene spesso chiesto di segnalare agli operatori professionali, nei limiti di quanto concesso dalla legge o da accordi di riservatezza, possibili opportunità di investimento», mette in luce il socio di Linklaters Giorgio Fantacchiotti
. Anche Davide Proverbio, partner di King & Wood Mallesonsevidenzia che «l'avvocato non può certo fare da procacciatore ma non c’è fondo che non apprezzi chi conosce il mercato ed è in grado di fiutare buoni affari». Non tutti, però, ritengono questo possibile nuovo ruolo dell'advisor legale compatibile con l’indipendenza che dovrebbe contraddistinguerlo al fine di evitare possibili conflitti d’interesse. «L'advisor finanziario, oltre al valore aggiunto nella gestione dell’operazione e della trattativa, deve fare da intermediario, procacciando anche l'asset, ma non l'avvocato, che deve mantenere distacco dall'operazione per essere davvero obiettivo con il suo cliente», nota Cibrario. Ma è anche sulla partita tra le nuove istanze della domanda e la necessaria indipendenza del ruolo del consulente legale che potrebbe giocarsi la futura geometria del mercato.

 

Il servizio completo è presente nell'ultimo numero di TopLegal Review

 

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