GC e studi a confronto

IL PENALE CAMBIA VOLTO

I clienti chiedono strutture più complesse, multidisciplinarietà, capacità di lavorare in team con gli in-house, conoscenza di lingue e giurisprudenze estere. Il tutto all’insegna della riduzione dei costi. Gli studi cercano soluzioni innovative per scongiurare il rischio commodity

15-10-2014

IL PENALE CAMBIA VOLTO

Da sempre conside­rati nell’Olimpo degli intoccabili, oggi anche i pe­nalisti iniziano a fare i conti con un mercato in evoluzione, poco disposto a fare sconti sulle competenze, ma sempre più incline a chiedere sconti sulle parcelle. Per esa­minare i cambiamenti in tema di mandati legali in ambito pe­nale, il Centro Studi TopLegal ha sondato 20 direzioni legali, appartenenti ad aziende ete­rogenee per settore e fatturato (medie imprese, grandi aziende italiane, e multinazionali este­re). Oggetto dell’indagine, ca­pire quali sono i criteri fonda­mentali che orientano la scelta del penalista a cui affidarsi, il budget destinato alla consulen­za e intercettare possibili nic­chie di business per il futuro. I risultati aggregati dell’indagine sono stati sottoposti, in un se­condo momento, all’attenzione di alcuni studi, per capire come l’offerta si stia attrezzando per andare incontro ai mutamenti della domanda.

Fronte clienti, dalla ricerca sono emersi alcuni elementi innovativi. Se tradizionalmen­te in Italia il penalista nasce e si forma nel contesto nazionale, radicandosi nella capacità di ri­solvere il problema contingente e considerando il rischio penale prioritario rispetto al business, oggi lo scenario è cambiato. I clienti considerano il rischio penale alla stregua degli altri rischi e anche dal penalista pre­tendono un approccio da avvo­cato d’affari, in grado di trovare soluzioni creative (e non ostati­ve) per il business. Un penalista sempre più multidisciplinare, a cui si chiedono conoscenze di diritto societario, di diritto tri­butario e di analisi dei bilanci. Un penalista sempre più a con­tatto con l’impresa e che faccia parte di strutture più comples­se, perché una realtà che opera con le imprese difficilmente può limitarsi a essere uno stu­dio unipersonale.

Oggi, inoltre, l’evoluzione della disciplina penale fa sì che sempre più spesso le con­testazioni penali gravino non più solo sul singolo, ma sulla società. Nell’affidare i mandati diventa indispensabile, quindi, che il penalista conosca il bu­siness del cliente e sia in grado di lavorare in team con il legale interno, fornendo pareri facil­mente comprensibili per l’Ad e il Cda. A questo si aggiunge che molte società italiane ormai fanno capo a holding estere. Da cui la necessità di conosce­re l’inglese e la giurisprudenza estera, soprattutto per formu­lare pareri che possano essere compresi dalla sede centrale. Cosa che, in futuro, potrebbe avvantaggiare gli studi interna­zionali presenti in Italia con un dipartimento penale.

Novità importanti per i pe­nalisti anche sul fronte cassa. Mentre il numero di mandati in ambito tributario e fallimen­tare sembra destinato a cre­scere, alcuni General counsel – pur non riuscendo a stimare in modo chiaro la tendenza in termini di spesa in quanto ri­tenuta imprevedibile – sono pronti a scommettere che si as­sisterà a un ridimensionamen­to del budget destinato al pena­le. Prendono, infatti, già piede nuove prassi, con l’affermazio­ne anche in questo settore dei beauty contest e di una mag­giore razionalizzazione delle spese. Così come si affaccia an­che qui lo spauracchio commo­dity. Il settore più a rischio in tal senso è il decreto legislativo 231: proprio la disciplina che ha consentito di creare la cul­tura della prevenzione penale, oggi viene vista da molti Ge­neral counsel come un servizio offerto da tutti.

Come rispondono gli studi? Cercando di evolvere per di­mensioni, specializzazione e internazionalizazzione. Alla ricerca di quella trasversalità e di quell’approccio integra­to chiesto dai clienti, alcuni stanno percorrendo la strada dell’integrazione con i civilisti. Un percorso difficile, che rende necessaria la sintesi tra due cul­ture diverse, ma che porta van­taggi ai clienti anche in ottica di standardizazzione e abbat­timento dei costi. Di pari passo all’articolazione di un’offerta integrata, si cercano nuove nic­chie di mercato. Così, anche il penale occhieggia alle pmi e cerca partenariati con i clienti in tema di formazione delle ri­sorse interne. Anche la cultura pena­le, quindi, sta cambiando e, abbandonato il radicamen­to alla contingenza, inizia a muoversi nell’ottica di una maggiore pianificazione stra­tegica dell’offerta.
Una domanda in evoluzione 

Complice la crisi, anche il pe­nale societario sta diventando più razionale. I clienti, spinti dalla necessità di rendere più efficiente possibile la spesa penale, sono diventati sempre più esigenti, sofisticati e selet­tivi. Sul fronte della doman­da, gli elementi fondamentali che condizionano il modo in cui si declinano le richieste dei clienti sono la tipologia di assistenza penale domandata (consulenza societaria o difesa processuale) e la tipologia so­cietaria del richiedente (medie imprese, grandi aziende italia­ne o multinazionali).

Guardando alla tipologia di assistenza penale, le esigenze della domanda legate alla difesa processuale sono poco mutate rispetto al passato. Le principa­li qualità richieste al penalista sono, oggi come ieri, l’altissima specializzazione e la reputazio­ne nel trattare il reato che co­stituisce capo d’accusa; nonché un forte legame fiduciario con il cliente e la capacità di inte­ragire con le procure locali. Un intervistato sintetizza queste qualità definendole l’«executive presence» del penalista.

Più complessa, invece, è l’e­voluzione che la domanda ha avuto nell’ambito della consu­lenza penale. Nel corso degli ultimi anni, complice anche la normativa di settore – basti pensare al decreto legislativo 231 del 2001 – il penalista si è avvicinato sempre più alle im­prese, creando la cultura della prevenzione penale. Il penali­sta, così, ha iniziato ad essere percepito, alla stregua dei col­leghi civilisti, come un consu­lente d’impresa da interpellare prima di prendere una decisio­ne societaria importante, per evitare che possa insorgere un rischio penale.

Coerentemente con il ruo­lo di consulente societario, e non solo di “ uomo d’aula”, se­condo la ricerca condotta dal Centro Studi TopLegal, tanto che si tratti di medie impre­se, grandi aziende italiane o multinazionali, i clienti chiedono: una struttura più complessa ( non più ricondu­cibile unicamente al domi­nus) in grado di gestire una mole di lavoro considerevole in tempi stretti; una multi­disciplinarietà che compren­da grandi competenze civili, societarie e organizzative, oltre che penalistiche; infine, la conoscenza del business in cui si muove il cliente. A questo si aggiunge la capaci­tà di lavorare in team con il legale interno e gli altri avvo­cati esterni. I clienti, in fat­to di consulenza, richiedono la capacità di comprendere e anticipare i rischi legati al business, formulando pareri che il General counsel sia in grado di riportare al Con­siglio di amministrazione. Ma, a quanto risulta dall’in­dagine, non tutti i consulen­ti dimostrano di possedere l’esperienza e la saggezza ri­chieste dai General counsel. Un intervistato avverte: «È fondamentale che il penalista non presenti al Cda un qua­dro catastrofico della situa­zione. Cosa che spesso viene fatta per mungere più soldi».

Alla stregua del civilista, quindi, anche al penalista vie­ne chiesto di non essere osta­tivo al business, ma di trovare soluzioni in grado di far girare i progetti della società. Di conseguenza, l’orizzonte della domanda di servizi legali si allarga alla ricerca di un ap­proccio multidisciplinare al diritto penale. E, soprattut­to negli ultimi tempi, si sta allargando nell’ottica di una prospettiva sempre più inter­nazionale. Così, per le gran­di aziende italiane ( in cui la partecipazione di soci esteri è sempre più massiccia) e per le multinazionali straniere, uno degli elementi caratte­rizzanti la scelta del penalista è la padronanza della lingua inglese, capacità che spesso i penalisti più esperti non han­no, secondo molti intervista­ti. Oltre alla lingua diventa fondamentale la conoscenza della giurisprudenza penale italiana ed estera, soprattutto per formulare pareri in grado di essere compresi dalla sede centrale e per anticipare i ri­schi penali in cui potrebbe incorrere la società, a causa di scelte compiute da consigli di amministrazione che ignora­no le differenze legate a ordi­namenti diversi. 


Le tendenze della domanda 
Stando alle risposte fornite nel corso della ricerca dai General counsel, si possono individuare alcune tendenze interessanti che riguarderanno la domanda di servizi penali nel prossimo futuro. I tre ambiti in cui si de­clinano queste tendenze sono: mandati, budget e offerta.

Dal punto di vista dei man­dati, tutti gli intervistati con­cordano nel ritenere che, dato il perdurare della crisi eco­nomica, la consulenza penale stragiudiziale e giudiziale in ambito tributario e fallimen­tare è destinata ad aumentare, motivata anche da «un iter pro­cessuale tutt’altro che veloce». Diminuirà, invece, la domanda da parte delle aziende operan­ti nel settore delle rinnovabili, dato il ridotto numero di nuo­vi impianti da costruire e, di conseguenza, la minore neces­sità di consulenze in tema di sicurezza sul luogo del lavoro. Mentre, per quanto riguarda il settore finanziario, le banche stanno già investendo in mag­giori consulenze in materia di derivati e di profili penali legati alle ristrutturazioni aziendali.

Spacca le opinioni degli in­tervistati, invece, una materia che ha tenuto banco negli ul­timi anni, costituendo la gros­sa fetta di fatturato per molti consulenti: il decreto legislativo 231. All’interno delle dinami­che societarie, la normativa ha avuto un forte impatto per l’at­tività del penalista, portando a una continua implementazio­ne di modelli ex. 231 da parte delle società. Adesso, invece, le tematiche che fanno riferimen­to alla 231, da alcuni vengono considerate quasi un servizio fungibile. Coerentemente con una visione più standardizzata del servizio, molti clienti sono pronti a scommettere che di­minuirà quindi il budget de­stinato alla 231. Che si tratti di medie imprese, la cui spesa in ambito penale è in media di 150mila euro; di grandi aziende italiane (con un budget medio di 200mila euro), o di aziende estere (fino al milione di euro), sono tutti d’accordo nel soste­nere che nulla è imprevedibile quanto la spesa penale. Premes­so ciò, tuttavia, una parte del campione, sorprendentemente, stima che in futuro anche il budget penale sarà destinato a diminuire. Una tendenza che, in realtà, trova già riscontro in nuove prassi che, anche a detta dei consulenti esterni, stanno prendendo sempre più piede.

In ambito consulenziale, an­che a livello penale, la prima cosa che fa un cliente è richie­dere un preventivo. Questo è successivamente messo a con­fronto con quelli proposti dagli altri studi chiamati in gara ( là dove il numero dei partecipanti è ben più ristretto che in ambi­to civile). Il tentativo di ridurre i costi non riguarda soltanto la consulenza, ma anche il con­tenzioso. Nel corso degli anni, il legislatore ha stretto sem­pre di più le maglie in materia penale e, così, si è assistito a un aumento del contenzioso. Tendenza che, stando a quan­to affermano gli intervistati, è tutt’altro che in discesa. Il risultato è che diventa neces­sario cercare di contenere an­che i costi in ambito giudiziale. Quantomeno evitando inutili duplicazioni. Prima poteva ac­cadere che un maxi-processo con 10 imputati schierasse in campo 20 legali. Scenario mol­to meno ripetuto oggi perché le società non sono propense, se non messe alle corde, a sob­barcarsi costi così elevati. Ora la tendenza è di ottimizzare la spesa penale: almeno là dove non ci sono posizioni incom­patibili, si tende a nominare un solo rappresentante per più soggetti. Con la conseguenza che si riducono i mandati e au­menta la competizione in modo da rendere il penale appannag­gio di un gruppo sempre più stretto di attori.

E si arriva così all’ultimo ambito in cui senz’altro pren­deranno piede nuove tenden­ze: l’offerta. La domanda ha delle esigenze ben specifiche. Chiede trasversalità di compe­tenze (anche in ambito civile), capacità di lavorare in squa­dra, conoscenza del business del cliente, e conoscenza di lingue e giurisdizioni estere. E, infine, un occhio ai costi. In quest’ambito si inserisce la tendenza di alcuni pena­listi a entrare a far parte di una struttura associata, che potrebbe rappresentare un modo di offrire un approccio integrato a costi uniformati, con il vantaggio per il cliente di avere, secondo le parole di un General counsel intervista­to, «un servizio unico, anche in termini di parcellazione, che sia chiaro nel delineare le attività svolte e il tempo impiegato per quelle attività, fornendo una parcella facile da spiegare all’Ad e al Cda». In termini previsionali, poi, non è da escludere la crescita dell’attività per gli studi inter­nazionali presenti in Italia che si sono dotati al loro interno di un dipartimento di penale, in forte sinergia con il resto delle practice («le società america­ne sono quelle che investono di più in tema di prevenzione contro corruzione e illeciti») in modo da rendere più facili i contatti con autorità estere o case madri estere. Il tutto af­fiancandosi, per il giudiziale, a studi penali italiani con un consolidato riconoscimento nella difesa processuale.


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