Da sempre considerati nell’Olimpo degli intoccabili, oggi anche i penalisti iniziano a fare i conti con un mercato in evoluzione, poco disposto a fare sconti sulle competenze, ma sempre più incline a chiedere sconti sulle parcelle. Per esaminare i cambiamenti in tema di mandati legali in ambito penale, il Centro Studi TopLegal ha sondato 20 direzioni legali, appartenenti ad aziende eterogenee per settore e fatturato (medie imprese, grandi aziende italiane, e multinazionali estere). Oggetto dell’indagine, capire quali sono i criteri fondamentali che orientano la scelta del penalista a cui affidarsi, il budget destinato alla consulenza e intercettare possibili nicchie di business per il futuro. I risultati aggregati dell’indagine sono stati sottoposti, in un secondo momento, all’attenzione di alcuni studi, per capire come l’offerta si stia attrezzando per andare incontro ai mutamenti della domanda.
Fronte clienti, dalla ricerca sono emersi alcuni elementi innovativi. Se tradizionalmente in Italia il penalista nasce e si forma nel contesto nazionale, radicandosi nella capacità di risolvere il problema contingente e considerando il rischio penale prioritario rispetto al business, oggi lo scenario è cambiato. I clienti considerano il rischio penale alla stregua degli altri rischi e anche dal penalista pretendono un approccio da avvocato d’affari, in grado di trovare soluzioni creative (e non ostative) per il business. Un penalista sempre più multidisciplinare, a cui si chiedono conoscenze di diritto societario, di diritto tributario e di analisi dei bilanci. Un penalista sempre più a contatto con l’impresa e che faccia parte di strutture più complesse, perché una realtà che opera con le imprese difficilmente può limitarsi a essere uno studio unipersonale.
Oggi, inoltre, l’evoluzione della disciplina penale fa sì che sempre più spesso le contestazioni penali gravino non più solo sul singolo, ma sulla società. Nell’affidare i mandati diventa indispensabile, quindi, che il penalista conosca il business del cliente e sia in grado di lavorare in team con il legale interno, fornendo pareri facilmente comprensibili per l’Ad e il Cda. A questo si aggiunge che molte società italiane ormai fanno capo a holding estere. Da cui la necessità di conoscere l’inglese e la giurisprudenza estera, soprattutto per formulare pareri che possano essere compresi dalla sede centrale. Cosa che, in futuro, potrebbe avvantaggiare gli studi internazionali presenti in Italia con un dipartimento penale.
Novità importanti per i penalisti anche sul fronte cassa. Mentre il numero di mandati in ambito tributario e fallimentare sembra destinato a crescere, alcuni General counsel – pur non riuscendo a stimare in modo chiaro la tendenza in termini di spesa in quanto ritenuta imprevedibile – sono pronti a scommettere che si assisterà a un ridimensionamento del budget destinato al penale. Prendono, infatti, già piede nuove prassi, con l’affermazione anche in questo settore dei beauty contest e di una maggiore razionalizzazione delle spese. Così come si affaccia anche qui lo spauracchio commodity. Il settore più a rischio in tal senso è il decreto legislativo 231: proprio la disciplina che ha consentito di creare la cultura della prevenzione penale, oggi viene vista da molti General counsel come un servizio offerto da tutti.
Come rispondono gli studi? Cercando di evolvere per dimensioni, specializzazione e internazionalizazzione. Alla ricerca di quella trasversalità e di quell’approccio integrato chiesto dai clienti, alcuni stanno percorrendo la strada dell’integrazione con i civilisti. Un percorso difficile, che rende necessaria la sintesi tra due culture diverse, ma che porta vantaggi ai clienti anche in ottica di standardizazzione e abbattimento dei costi. Di pari passo all’articolazione di un’offerta integrata, si cercano nuove nicchie di mercato. Così, anche il penale occhieggia alle pmi e cerca partenariati con i clienti in tema di formazione delle risorse interne. Anche la cultura penale, quindi, sta cambiando e, abbandonato il radicamento alla contingenza, inizia a muoversi nell’ottica di una maggiore pianificazione strategica dell’offerta.
Una domanda in evoluzione
Complice la crisi, anche il penale societario sta diventando più razionale. I clienti, spinti dalla necessità di rendere più efficiente possibile la spesa penale, sono diventati sempre più esigenti, sofisticati e selettivi. Sul fronte della domanda, gli elementi fondamentali che condizionano il modo in cui si declinano le richieste dei clienti sono la tipologia di assistenza penale domandata (consulenza societaria o difesa processuale) e la tipologia societaria del richiedente (medie imprese, grandi aziende italiane o multinazionali).
Guardando alla tipologia di assistenza penale, le esigenze della domanda legate alla difesa processuale sono poco mutate rispetto al passato. Le principali qualità richieste al penalista sono, oggi come ieri, l’altissima specializzazione e la reputazione nel trattare il reato che costituisce capo d’accusa; nonché un forte legame fiduciario con il cliente e la capacità di interagire con le procure locali. Un intervistato sintetizza queste qualità definendole l’«executive presence» del penalista.
Più complessa, invece, è l’evoluzione che la domanda ha avuto nell’ambito della consulenza penale. Nel corso degli ultimi anni, complice anche la normativa di settore – basti pensare al decreto legislativo 231 del 2001 – il penalista si è avvicinato sempre più alle imprese, creando la cultura della prevenzione penale. Il penalista, così, ha iniziato ad essere percepito, alla stregua dei colleghi civilisti, come un consulente d’impresa da interpellare prima di prendere una decisione societaria importante, per evitare che possa insorgere un rischio penale.
Coerentemente con il ruolo di consulente societario, e non solo di “ uomo d’aula”, secondo la ricerca condotta dal Centro Studi TopLegal, tanto che si tratti di medie imprese, grandi aziende italiane o multinazionali, i clienti chiedono: una struttura più complessa ( non più riconducibile unicamente al dominus) in grado di gestire una mole di lavoro considerevole in tempi stretti; una multidisciplinarietà che comprenda grandi competenze civili, societarie e organizzative, oltre che penalistiche; infine, la conoscenza del business in cui si muove il cliente. A questo si aggiunge la capacità di lavorare in team con il legale interno e gli altri avvocati esterni. I clienti, in fatto di consulenza, richiedono la capacità di comprendere e anticipare i rischi legati al business, formulando pareri che il General counsel sia in grado di riportare al Consiglio di amministrazione. Ma, a quanto risulta dall’indagine, non tutti i consulenti dimostrano di possedere l’esperienza e la saggezza richieste dai General counsel. Un intervistato avverte: «È fondamentale che il penalista non presenti al Cda un quadro catastrofico della situazione. Cosa che spesso viene fatta per mungere più soldi».
Alla stregua del civilista, quindi, anche al penalista viene chiesto di non essere ostativo al business, ma di trovare soluzioni in grado di far girare i progetti della società. Di conseguenza, l’orizzonte della domanda di servizi legali si allarga alla ricerca di un approccio multidisciplinare al diritto penale. E, soprattutto negli ultimi tempi, si sta allargando nell’ottica di una prospettiva sempre più internazionale. Così, per le grandi aziende italiane ( in cui la partecipazione di soci esteri è sempre più massiccia) e per le multinazionali straniere, uno degli elementi caratterizzanti la scelta del penalista è la padronanza della lingua inglese, capacità che spesso i penalisti più esperti non hanno, secondo molti intervistati. Oltre alla lingua diventa fondamentale la conoscenza della giurisprudenza penale italiana ed estera, soprattutto per formulare pareri in grado di essere compresi dalla sede centrale e per anticipare i rischi penali in cui potrebbe incorrere la società, a causa di scelte compiute da consigli di amministrazione che ignorano le differenze legate a ordinamenti diversi.
Le tendenze della domanda
Stando alle risposte fornite nel corso della ricerca dai General counsel, si possono individuare alcune tendenze interessanti che riguarderanno la domanda di servizi penali nel prossimo futuro. I tre ambiti in cui si declinano queste tendenze sono: mandati, budget e offerta.
Dal punto di vista dei mandati, tutti gli intervistati concordano nel ritenere che, dato il perdurare della crisi economica, la consulenza penale stragiudiziale e giudiziale in ambito tributario e fallimentare è destinata ad aumentare, motivata anche da «un iter processuale tutt’altro che veloce». Diminuirà, invece, la domanda da parte delle aziende operanti nel settore delle rinnovabili, dato il ridotto numero di nuovi impianti da costruire e, di conseguenza, la minore necessità di consulenze in tema di sicurezza sul luogo del lavoro. Mentre, per quanto riguarda il settore finanziario, le banche stanno già investendo in maggiori consulenze in materia di derivati e di profili penali legati alle ristrutturazioni aziendali.
Spacca le opinioni degli intervistati, invece, una materia che ha tenuto banco negli ultimi anni, costituendo la grossa fetta di fatturato per molti consulenti: il decreto legislativo 231. All’interno delle dinamiche societarie, la normativa ha avuto un forte impatto per l’attività del penalista, portando a una continua implementazione di modelli ex. 231 da parte delle società. Adesso, invece, le tematiche che fanno riferimento alla 231, da alcuni vengono considerate quasi un servizio fungibile. Coerentemente con una visione più standardizzata del servizio, molti clienti sono pronti a scommettere che diminuirà quindi il budget destinato alla 231. Che si tratti di medie imprese, la cui spesa in ambito penale è in media di 150mila euro; di grandi aziende italiane (con un budget medio di 200mila euro), o di aziende estere (fino al milione di euro), sono tutti d’accordo nel sostenere che nulla è imprevedibile quanto la spesa penale. Premesso ciò, tuttavia, una parte del campione, sorprendentemente, stima che in futuro anche il budget penale sarà destinato a diminuire. Una tendenza che, in realtà, trova già riscontro in nuove prassi che, anche a detta dei consulenti esterni, stanno prendendo sempre più piede.
In ambito consulenziale, anche a livello penale, la prima cosa che fa un cliente è richiedere un preventivo. Questo è successivamente messo a confronto con quelli proposti dagli altri studi chiamati in gara ( là dove il numero dei partecipanti è ben più ristretto che in ambito civile). Il tentativo di ridurre i costi non riguarda soltanto la consulenza, ma anche il contenzioso. Nel corso degli anni, il legislatore ha stretto sempre di più le maglie in materia penale e, così, si è assistito a un aumento del contenzioso. Tendenza che, stando a quanto affermano gli intervistati, è tutt’altro che in discesa. Il risultato è che diventa necessario cercare di contenere anche i costi in ambito giudiziale. Quantomeno evitando inutili duplicazioni. Prima poteva accadere che un maxi-processo con 10 imputati schierasse in campo 20 legali. Scenario molto meno ripetuto oggi perché le società non sono propense, se non messe alle corde, a sobbarcarsi costi così elevati. Ora la tendenza è di ottimizzare la spesa penale: almeno là dove non ci sono posizioni incompatibili, si tende a nominare un solo rappresentante per più soggetti. Con la conseguenza che si riducono i mandati e aumenta la competizione in modo da rendere il penale appannaggio di un gruppo sempre più stretto di attori.
E si arriva così all’ultimo ambito in cui senz’altro prenderanno piede nuove tendenze: l’offerta. La domanda ha delle esigenze ben specifiche. Chiede trasversalità di competenze (anche in ambito civile), capacità di lavorare in squadra, conoscenza del business del cliente, e conoscenza di lingue e giurisdizioni estere. E, infine, un occhio ai costi. In quest’ambito si inserisce la tendenza di alcuni penalisti a entrare a far parte di una struttura associata, che potrebbe rappresentare un modo di offrire un approccio integrato a costi uniformati, con il vantaggio per il cliente di avere, secondo le parole di un General counsel intervistato, «un servizio unico, anche in termini di parcellazione, che sia chiaro nel delineare le attività svolte e il tempo impiegato per quelle attività, fornendo una parcella facile da spiegare all’Ad e al Cda». In termini previsionali, poi, non è da escludere la crescita dell’attività per gli studi internazionali presenti in Italia che si sono dotati al loro interno di un dipartimento di penale, in forte sinergia con il resto delle practice («le società americane sono quelle che investono di più in tema di prevenzione contro corruzione e illeciti») in modo da rendere più facili i contatti con autorità estere o case madri estere. Il tutto affiancandosi, per il giudiziale, a studi penali italiani con un consolidato riconoscimento nella difesa processuale.
GC e studi a confronto