Casi di studio: Legal Grounds

IL PRIMATO DEL MODELLO FLUIDO

L’approccio destrutturato evita due principali problemi del mercato legale: costi di struttura e distribuzione degli utili. A patto, però, di non cadere in vizi tutti italiani come l’individualismo e la scarsa propensione all’approccio sistemico

03-04-2014

IL PRIMATO DEL MODELLO FLUIDO

Più che uno studio, una rete. È questo il modello di Legal grounds, una struttura ad assetto variabile basata sull’aggregazione di professionisti legati da una comunione di scopo, che permette loro di collaborare mantenendo la propria autonomia e specificità.

Una soluzione unica nel panorama legale italiano, che il legislatore ha previsto nel 2009 (proprio l’anno di costituzione di Legal grounds) per gli imprenditori delle Pmi, introducendo lo strumento giuridico del contratto di rete. Ma in Italia, come noto, gli avvocati non sono considerati imprenditori. Così, per ovviare all’inapplicabilità della fattispecie, Legal grounds è stato disegnato sullo schema dell’associazione in partecipazione, in cui i partecipanti all’associazione sono vincolati da accordi annuali. I dieci professionisti che compongono la struttura rinnovano ogni anno le promesse del loro matrimonio a termine; un matrimonio in cui vige il regime di separazione dei beni.
Ogni professionista a partita Iva, infatti, incassa unicamente ciò che fattura; la struttura, basata su singole gestioni di cassa separate, non beneficia di ricavi comuni, salvo nei casi in cui più professionisti lavorino allo stesso mandato. «Ciascuno di noi conserva la propria autonomia (partita Iva) –spiega l’ideatrice e fondatrice del progetto Claudia Bortolani – lo sharing economico avviene solo sui progetti in cui lavoriamo insieme».

Un assetto pensato per affrontare le sfide dell’attuale mercato con una formula aggregativa, senza tuttavia rinunciare alla propria libertà e senza vincoli di portafoglio. Vale a dire, senza la necessità di realizzare un nuovo soggetto di diritto o una nuova e distinta attività d’impresa. Di conseguenza, lontano dalle logiche di equity, distribuzione di utili e cassa di studio. Legal grounds si incentra su un’idea di squadra basata su una geometria variabile: è una struttura dematerializzata, che si muove secondo logiche orizzontali e non verticali. A differenza, infatti, di quanto avviene in uno studio tradizionale non esiste alcuna piramide associativa, né tantomeno la partnership o la leva. Si tratta di un gruppo di professionisti più o meno della stessa seniority (che in altre realtà si chiamerebbero partner), non subordinati gli uni agli altri da alcuna scala gerarchica.

Un approccio decisamente più flessibile rispetto all’associazione tra professionisti. E a differenza di questa, più che sulla condivisione economica Legal grounds si fonda su principi, valori, modalità di lavoro comuni, che si traducono in una stessa corporate identity e in un unico marchio. Sono queste le “legal grounds”, le basi del diritto in cui credono i partecipanti alla rete, tradotte in una formula che ha il grande vantaggio di far convergere i professionisti della rete e i loro clienti su un obiettivo comune: il taglio dei costi.
Dal lato dell’associazione, sono stati tagliati la maggior parte dei costi fissi legati alla struttura.

Quasi tutto il lavoro viene svolto virtualmente, «anche per coniugare l’impegno professionale con le esigenze personali e la flessibilità sul posto di lavoro», sottolinea Bortolani. Così il sito interne è diventato l’ingresso e la sala riunioni dello studio virtuale. I professionisti lavorano dalle postazioni che più gli aggradano – «che si tratti di un bar, una casa o un ufficio poco importa» – avendo comunque a disposizione tre sedi fisiche, a Roma, Milano e Londra, i cui costi vengono condivisi con altre realtà professionali.

Un’idea nuova per il mercato italiano, che ha radici straniere. Come internazionale è la formazione della maggior parte dei professionisti di Legal grounds. «Abbiamo quasi tutti lavorato all’estero», spiega Bortolani. «Dal 1993 al 1998 ero a San Francisco e già nel ‘94 avevo il portatile con il wi-fi e il venerdì lavoravo da un bellissimo caffè, “The Grove”, su Chestnut Street».
L’eliminazione di gran parte della struttura fisica dello studio consente di non trasferire sul cliente i costi di gestione, permettendo un costo del servizio legale fino al 40% inferiore a quello di uno studio legale tradizionale. Andare incontro allo stress da budget a cui sono sottoposti i loro clienti – che spaziano dalle start-up alle multinazionali – non si esaurisce solamente in una parcellazione più bassa. «In alcuni casi ci prestiamo al cliente», sottolinea Bortolani, che spiega come alcuni professionisti all’occorrenza lavorino come contract lawyer presso i clienti, con una presenza fissa nelle direzioni affari legali di uno o due giorni alla settimana.

«Consideriamo i servizi legali al pari di ogni altro servizio e, quindi, ci prestiamo volentieri ai clienti se ciò può facilitare il loro lavoro. Del resto, il nostro modello di studio ce lo consente, in sintonia anche con le evoluzioni della gestione del capitale umano e con la necessità di trovare delle forme di partenariato di business con il cliente. Tanto che ci piace anche fare formazione alle nuove leve assunte negli uffici legali», afferma Bertolani.
Questo modello di certo ha delle virtù notevoli. In un mercato in cui la domanda e le parcelle sono ridotte, evita soprattutto di appesantire la struttura creando costi fissi. Scongiurando, inoltre, la necessità di legare il portafoglio di un professionista alle sorti degli altri. Una forma di accordo decisamente poco vincolante, che rappresenta un’operazione di realismo e di pragmatismo che aggira lo scoglio di partnership difficili e azzardate, di governance non condivise e di problemi legati alla distribuzione degli utili.

Sulla carta Legal grounds rappresenterebbe la soluzione con cui affrontare i problemi che viziano il mercato legale italiano quali i costi in eccedenza e la lotta per la spartizione della torta equity. Nonostante i benefici, la rete fluida di Legal grounds, per quanto assolutamente innovativa possa sembrare, rimane esposta ai pericoli del sistema tradizionale che cercherebbe di evitare. Soprattutto nei confronti dei vizi tutti nostrani come l’individualismo e la scarsa propensione a costruire un sistema in grado di rispondere in maniera integrata alle esigenze del cliente. Basta pensare alla facilità con cui è possibile rompere gli accordi che legano i professionisti alla rete.

Sacrificando un approccio sistemico, Legal grounds privilegia la condivisione delle spese tra tutti i professionisti, ognuno dei quali, però, rimane responsabile unico della sua proprietà. Cosa che potrebbe far pensare a un approccio da monadi. Ipotesi che Bortolani smentisce, sottolineando che «i professionisti condividono un progetto strategico di posizionamento sul mercato».
In fin d’analisi, il progetto Legal grounds potrebbe rivelarsi di un’incredibile lungimiranza strategica. A patto che non cada nel tranello della supremazia del modello fluido.

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