A cura di Riccardo Lanzo e Giulia Suigo
Grazie alla continua evoluzione della tecnologia, emergono sfide giuridiche sempre nuove, tra cui l’individuazione delle norme applicabili all’intelligenza artificiale (IA).
L’esigenza di adottare una normativa sull’IA ad hoc è ormai sentita da diversi Paesi e, infatti, è ormai prossima l’emanazione del cd. AI Act, il Regolamento europeo volto a fornire una disciplina che garantisca il bilanciamento tra l’esigenza generale di innovazione e quella di protezione dei diritti delle persone, nel rispetto anche di standard etici.
Ma andiamo con ordine. Ad oggi, non esiste una nozione normativa o scientifica di IA universalmente condivisa ed è urgente la necessità di avere una definizione comune di IA che sia caratterizzata da flessibilità e che non rischi di rappresentare un ostacolo all’innovazione.
Dal punto di vista giuridico, il Parlamento europeo ne propone una definizione volta ad includere anche i modelli di intelligenza artificiale generativa, estendendosi a tutti i sistemi progettati per operare con vari livelli di autonomia che possano, per obiettivi espliciti o impliciti, generare risultati come previsioni, raccomandazioni o decisioni capaci di influenzare ambienti fisici e/o virtuali.
All’esigenza formale di una definizione di IA si affianca la necessità – forse - più concreta di adozione di una disciplina del fenomeno, anche in relazione alle complesse questioni legali generate dall’interazione tra la creatività umana e le capacità algoritmiche delle macchine.
In particolare, questo briefing esplorerà il rapporto tra intelligenza artificiale e diritto d’autore in Italia.
Una delle questioni centrali riguarda la definizione di creatività e la possibilità di considerare l’IA come autore ai sensi della Legge sul Diritto d’Autore (L. n. 633/1941). Attualmente, il diritto d’autore è strettamente associato alla creatività umana e all’originalità dell’opera. L’IA generativa, tuttavia, può creare opere autonomamente, sollevando interrogativi sulla natura di questa originalità e sulla possibilità di attribuire la paternità di un’opera a una macchina.
Per poter essere titolari di diritti, però, è necessario che un soggetto possegga la capacità giuridica. Allo stato attuale, i giuristi sono concordi nell’affermare che l’intelligenza artificiale, ossia un software o una macchina, non è un soggetto di diritto e, quindi, non possiede né la capacità giuridica né la capacità di agire.
Nel caso di un’opera creata attraverso un algoritmo, in capo a chi sorge il diritto d’autore? Occorre riflettere sulla possibilità di attribuire i diritti morali e patrimoniali previsti dalla Legge sul Diritto d’Autore a chi si sia servito dell’intelligenza artificiale generativa per creare l’opera.
Di recente, la Suprema Corte di Cassazione (ord. 16.01.2023 n. 1107) è intervenuta sul tema con un obiter dictum, affermando che il mero utilizzo di un software nel processo creativo non è di per sé sufficiente per negare il carattere creativo di un’opera, ma impone solamente che sia svolta una valutazione maggiormente rigorosa del tasso di creatività in concreto, volta a verificare se e in quale misura l’utilizzo dello strumento abbia assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne è avvalso.
Dunque, nell’ipotesi in cui, all’esito di tale accertamento di fatto, venga ritenuto prevalente l’apporto umano rispetto a quello dell’IA, non vi è ragione per non riconoscere tutela autorale alla persona se ne è servita.
Pertanto, la risposta preferibile alla domanda, escludendo che la macchina possa essere riconosciuta autore dell’opera, è che l’autore di un’opera generata con IA è da individuarsi nella persona fisica che ha determinato la creazione dell’opera stessa, rendendo possibile che la macchina creasse quella determinata opera e selezionando il risultato tra il ventaglio di quelli proposti.
A tali diritti, però, corrispondono anche responsabilità: nel caso in cui l’IA infranga il diritto d’autore di terzi o utilizzi opere protette senza autorizzazione di chi ne detiene i diritti, chi risponde della violazione?
Nel concreto, è difficile - se non impossibile - partendo dagli output, risalire agli input originali con cui l’IA è stata allenata per verificare se questi siano coperti da privative e, quindi, se l’opera finale viola il diritto d’autore. I dati di partenza raccolti, infatti, si perdono nell’elaborazione computazionale attraverso i metodi di addestramento delle IA e ne escono completamente differenti: si tratta del noto fenomeno della blackbox.
Ad oggi, molti sistemi di intelligenza artificiale non sono in grado di fornire lan precisa indicazione delle fonti su cui vengono basati gli output e di garantire che questi ultimi non violano i diritti di terzi: tali informazioni, infatti, andrebbero fornite durante il training perché un’azione ex post è pressoché impossibile.
Non si tralasci, infine, l’importanza di conoscere i termini di servizio dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati che l’utente accetta in fase di login.
In conclusione, il rapporto tra intelligenza artificiale e diritto d’autore è un campo giuridico in evoluzione che richiede una considerazione attenta e approfondita.
L’equilibrio tra protezione dell’innovazione e tutela dei diritti degli autori umani è una questione cruciale che necessita di un dialogo continuo tra il mondo legale, gli esperti di tecnologia e la società nel suo complesso.
IL RAPPORTO TRA INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIRITTO D'AUTORE UNA PROSPETTIVA GIURIDICA.pdfTAGS
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