Commento

Il riconoscimento del valore nel tempo del populismo

Il merito e il valore degli studi non coincidono con la quantità di consenso

31-01-2019

Il riconoscimento del valore nel tempo del populismo

 

di Marco Michael Di Palma


Con un post pubblicato in questi giorni su LinkedIn, il socio fondatore di un affermato studio legale racconta: «Oggi io e alcuni miei colleghi abbiamo ricevuto da uno studio legale un invito a votarli in un “sondaggio” sugli studi legali più consigliati. Sono andato a votare e ho votato, per una materia di cui non so nulla, uno studio che non conosco. Ho votato tre volte lo stesso studio negli spazi per le preferenze (!), poi ho dato la mia email per “validare” il voto [...] Poi sono tornato sulla pagina, collegandomi con il medesimo indirizzo Ip, e ho rivotato lo stesso studio sconosciuto per la stessa materia (sempre esprimendo le stesse tre preferenze identiche). Poi ho ridato di nuovo la mia email per “validare” il voto. Ps: nella prima iterazione ho anche votato il mio studio (!), ma per una materia di cui non sappiamo assolutamente nulla (diritto penale – magari vinciamo!)». Concludendo il suo post il nostro avvocato lancia una controproposta che è anche una rinuncia con l’hashtag “#noncivotate”.

L’iniziativa a cui fa riferimento il professionista non viene esplicitata ma, sempre negli ultimi giorni, sono state rivolte anche alla nostra società editoriale le preghiere da parte di studi legali di rispondere a un questionario. Le preghiere sono passate senza stupore, abituati come siamo a richieste alquanto particolari. (In passato, il sottoscritto è stato persino invitato a ritirare un riconoscimento come miglior consulente legale che gli sarebbe stato conferito da una società sconosciuta a suon di voti da ignoti. Come tutti sanno, non sono un avvocato.)

Viviamo nell’era dei sondaggi continui. L’opinione viene monitorata e analizzata quotidianamente. Rispondere a un sondaggio sembra l’unica modalità di partecipazione alla vita pubblica. I sondaggi politici hanno come missione di orchestrare l’attenzione, di stimolarla e guidarla, per generare fiducia nel sistema e scongiurare l’astensione degli elettori. Secondo lo scrittore francese Christian Salmon, «gli istituti demoscopici stanno alla democrazia come le agenzie di rating al credito». Potremmo aggiungere: come anche le classifiche e i riconoscimenti stanno al comparto legale. Dalla credibilità della politica e della solvibilità del debito alla reputazione dei professionisti ci passa poco; tutto regge sul consenso e sulla fiducia acquisiti. Proprio come, dopo ogni elezione e ogni abbassamento del rating, si rivolgono critiche ai sondaggisti e agli analisti, si chiama altresì in causa la pubblicazione di classifiche sui migliori studi legali, rimproverate per il metodo di valutazione e la composizione del campione.

Molti professionisti hanno intuito nei sondaggi che li riguardano il pericolo di un appiattimento che rischia di intaccare la distintività e il posizionamento del proprio studio. La loro reazione ultimamente è significativa anche per un altro motivo, come dimostra il post con cui abbiamo aperto. Si sta diffondendo tra gli avvocati italiani una chiara presa di coscienza che mette in discussione niente di meno che lo scopo stesso delle classifiche e dei riconoscimenti a loro dedicati. Non perché il riconoscimento abbia premiato i propri concorrenti a loro discapito, ma perché prescinde da determinati meccanismi e paletti che sanno essere irrinunciabili. La vicenda del professionista che vota per studi e materie inesistenti mette in crisi un assunto inconsapevole ma finora comunemente accettato, ovvero, che si possa accettare un vuoto di specializzazione verticale in cambio di una vetrina prestigiosa (o per lo meno una vetrina). Questo scambio sta venendo meno e ci si interroga sulle basi di un presunto potere di investitura. 

Come dovrebbe quindi nascere una classifica degli studi legali più consigliati? Dovrebbe avere innanzitutto alle sue basi la capacità di rispondere a precisi obiettivi quali la comprensione della storia e delle ragioni del mercato dei servizi legali e le sue esigenze. Dovrebbe inoltre disporre di un campione appropriato per assicurare che le affermazioni dei soggetti sondati siano rilevanti e fonte importante di conoscenza. Ci si vedrebbe quindi spinti per forza di logica a sondare i clienti, non solo per evitare inquinamenti e storture ma per stabilire gli standard intrinseci di eccellenza. Tuttavia, la mera somma di volontà espresse a favore di questo o quello studio non dovrebbe essere sufficiente per stabilirne il merito o il valore, i quali non coincidono con la quantità di consenso. Uno talvolta vale due o anche tre. I voti andrebbero pesati non contati. Servirebbe anche una segmentazione del mercato oggetto di analisi, per tipologia di domanda e di offerta, per garantire che ci sia una comparazione valida riguardo una stessa proprietà. Privo di questi accorgimenti, non potrà mai reggere un meccanismo di premio. Gli avvocati d’impresa lo hanno capito. Di fronte all’imbarazzo della scelta occorre rifiutare la scelta dell’imbarazzo. Incombenza che ha saputo abilmente distillare un semplice ma eloquente hashtag.

 


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