IL TRIONFO DEL CINQUECENTO

04-12-2014

Il recente accostamento tra il Galateo e il nuovo codice deontologico forense proposto da Alessandro De Nicola colpisce per il suo acume. In innumerevoli modi si vede il permeare e il permanere del Cinquecento nell’Italia odierna. Il sistema impresa che poggia sull’imprenditorialità soggettiva e individualistica delle pmi e i distretti industriali richiamano l’economia delle città nel Medioevo e nel Rinascimento. Le oligarchie del potere politico ed economico incrociato echeggiano le signorie d’epoca. In questa prospettiva gli odierni artigiani del diritto sono semplicemente ulteriori fantasmi sopravvissuti alla storia. Al posto di una regolamentazione per un comparto in cui hanno interessi più stakeholder, ci si limita a fissare le regole dell’etichetta individuale. E per perpetuare il proprio potere, la corporazione vorrebbe tornare all’epoca in cui il cliente si presentava in studio togliendosi il cappello e aspettando in anticamera dopo aver fissato l’appuntamento mesi in anticipo.

Tutto vero. Ma a questo progetto antistorico doveva fare da contraltare, nell’ambito degli organismi istituzionali nazionali, la promozione e diffusione della cultura dell’esercizio della professione in forma associata. Questo programma sembra ora venuto meno, colpa senz’altro dell’esclusione e del disinteresse mostrato dagli ambiti istituzionali. Eppure un avvertimento questo giornale lo aveva dato oltre due anni fa in occasione del primo TopLegal Summit. L’alternativa all’inerzia degli avvocati d’affari era quella di un’ulteriore degenerazione corporativa e il rischio di subire una riforma «dall’alto». E così si è consumato lo stravolgimento delle regole che antepongono le norme del galateo ai moderni principi della libera concorrenza.

Eppure in fondo questo esito fa poca differenza. Le forze della controriforma si rivolgono e continueranno a rivolgersi principalmente alla propria base ma guardandosi bene dall’inimicarsi gli avvocati d’affari (anche perché basta ignorarli). Questi ultimi, a loro volta, continueranno a proseguire con le loro attività senza dare troppo retta agli assurdi divieti promulgati. Quindi, sembrerebbe tutto come prima. Il Rinascimento contro la Modernità. Palla al centro.

Non è proprio così. Per gli studi legali associati le botteghe rinascimentali sono più vicine di quanto si possa pensare. Basta considerare la difficoltà di tante insegne a raggiungere la terziarizzazione dei propri servizi – fermi alla «catena di montaggio» di pareri e lontani dall’accompagnare il cliente il quale va monitorato e studiato per anticipare le sue esigenze – per non parlare dell’arretratezza della cultura organizzativa e del lavoro. Tutti fattori, questi, che marcano il divario generato dalle esigenze dell’attualità. La normalizzazione dovuta alla crisi ha costretto al riposizionamento opportunistico e all’affollamento verso il basso, affievolendo le velleità di presidiare i segmenti redditizi del mercato. Vi sono troppi studi e troppi avvocati in un mercato appiattito in cui tutti fanno concorrenza a tutti. Diventa sempre più difficile emergere per la propria qualità distintiva e il valore del servizio legale viene sempre più eroso.

Non è pertanto l’accomunamento dovuto al codice deontologico che dovrebbe impensierire gli avvocati d’affari, piuttosto la capacità di un’élite, da sempre la costola privilegiata della professione, ad affrontare problemi che iniziano ad assomigliare a quelli dei colleghi più tradizionali.



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