di Carlotta Silvestrini*
Il personal branding è l'asset intangibile più prezioso per il professionista in primis, ma anche per lo studio stesso. Per il professionista parliamo di una lunga serie di benefici che partono dalla riconoscibilità per la preparazione su una data materia e arrivano al potere negoziale, passando per la possibilità di aumentare sensibilmente la propria parcella senza temere la concorrenza. Per capire cosa fa del personal branding un’arma così potente, dobbiamo fare un piccolo passaggio su come processa le informazioni il nostro cervello, per poi scendere nel vivo delle conseguenze che ciò ha sulla sfera professionale.
Fin dai primi momenti in cui aprono gli occhi, i neonati sono già programmati per compiere tre fondamentali operazioni rispetto al volto umano: detenzione (capacità di individuare le caratteristiche invarianti che definiscono un volto), discriminazione (capacità di decidere tra uguaglianza e diversità tra due volti), riconoscimento (ricordo di un volto già visto). Questo comportamento ci accompagnerà per il resto della vita, rendendoci atavicamente attratti dai lineamenti facciali al punto da vederli anche quando non esistono realmente. È un meccanismo di sopravvivenza che non possiamo eludere. Dove c’è un viso, ci può essere cibo o un pericolo. Prima ci assicuriamo di sapere a cosa andiamo incontro, prima siamo salvi.
La legge del percepito
Il mondo dell’informazione sta a noi come la jungla stava ai nostri antenati. Solo che al posto di rami e foglie crescono articoli e contenuti multimediali, tra i quali cerchiamo di districarci nella speranza di intercettare solo quelli davvero utili o funzionali alla soluzione dei nostri problemi. Ed è proprio qui che i volti tornano a fare la differenza. Nello scrolling infinito delle pagine – reali o virtuali – sono i volti che ci fanno soffermare qualche istante, ci incuriosiscono, ci spingono ad approfondire la lettura o la conoscenza del brand, iniziano ad associare a esso emozioni e sensazioni.
Nell’arco di pochi millisecondi, il nostro cervello ha già processato una marea di informazioni: microespressioni facciali, colore della pelle, stile dell’abbigliamento, possibili attributi caratteriali. in poche parole, si è generato un percepito che – come vedremo nei prossimi paragrafi – passerà dal brand persona al brand studio per associazione mentale. Il percepito sfugge dal controllo razionale. Difficilmente un volto burbero riuscirà a vendersi come gioviale o un abbigliamento inappropriato trasmetterà senso di coerenza in chi lo indossa. Proprio qui entra in gioco un’arma a doppio taglio potente e spietata: il fenomeno di distorsione cognitiva chiamato effetto alone.
Si tratta di un bias cognitivo per il quale tendiamo ad associare una serie di attributi generali partendo da un dettaglio che ci influenza positivamente o negativamente. Tenderemo a pensare che un uomo di bell’aspetto sia anche intelligente o che al contrario uno dall'aspetto trasandato sia poco preparato nella sua materia. Inevitabilmente, se la persona in questione rappresenta uno studio legale, per associazione mentale gli attributi a lei assegnati saranno estesi a esso. Questi esempi sono superficiali, ma potremmo spingerci oltre. Immaginiamo una materia legale molto complessa dove l’esperienza del professionista può fare davvero la differenza.
Avere come frontman dello studio un giovane potrebbe impattare negativamente sulla credibilità generale. Al contrario, nel caso di una materia più “moderna” come l’applicazione del diritto nel mondo digitale, potrebbe risultare più appropriato l’utilizzo di un volto privo di segni del tempo. Questa dinamica accende i riflettori su due punti chiave. In primo luogo, i volti attirano l’attenzione molto più velocemente di qualsiasi altro stimolo visuale e trasmettono all’istante un messaggio molto forte sull’identità di marca che difficilmente si rimette in discussione. Il secondo punto chiave è che il percepito non è controllabile a posteriori, ma è pianificabile a monte in gran parte, grazie a una strategia di personal branding.
La riconoscibilità di uno studio
Facciamo un esempio concreto. Poniamo il caso di un avvocato specializzato in diritto fallimentare che opera in una città molto grande collocata in una regione ad alta densità industriale, di conseguenza in un mercato altamente concorrenziale. Per scelta non si è associato a un grande studio generalista perché ambisce a fondarne uno altamente specializzato di sua proprietà.
Dopo la laurea ha subito acquistato un dominio con spazio web con il suo nome per aprire un blog nel quale tratta i problemi più comuni che affronta nella quotidianità lavorativa. Si è distinto sui social media perché ha attivato una rubrica di domande e risposte, dimostrando di essere competente nella sua materia e soprattutto cristallino nelle spiegazioni, dal momento in cui si rivolge a un pubblico di non addetti ai lavori.
Per essere sicuro di essere riconoscibile tra i competitor, ha scelto colori istituzionali che si distaccano dai classici blu e bordeaux dei colleghi, optando per una tonalità di verde che si cura di portare anche nell’abbigliamento attraverso un dettaglio, di solito la cravatta o la montatura degli occhiali. Nel tempo ha attirato l’attenzione di alcuni giornali locali che lo intervistano regolarmente e pubblicano estratti della sua rubrica di domande e risposte, avvicinandolo anche a chi non lo segue sui social network. Queste piccole operazioni costanti nel tempo fanno sì che il pubblico impari ad associare al nome dell’avvocato il posizionamento “diritto fallimentare”, accrescendo la possibilità che nel momento in cui si manifestano le condizioni per cercare uno specialista del campo, il richiamo (brand recall) vada direttamente a lui.
I sentimenti che è in grado di evocare un professionista con un personal branding forte sono caratterizzati dalla fiducia e dalla sensazione di ottenere una soluzione semplice a una situazione complessa come un fallimento. Chi ne avrà sentito parlare o chiedendo un consiglio avrà ricevuto il suo nominativo, difficilmente si perderà in ulteriori ricerche. Sarà però possibile che proceda in autonomia a verificare la reputazione online, ma a quel punto il lavoro fatto nel tempo ripagherà di tutti gli sforzi.
Le recensioni positive rinforzeranno la decisione e la lettura dei contenuti pubblicati infonderà nel futuro cliente un grande senso di affidabilità e preparazione. La concorrenza, anche da parte di un grande studio, a quel punto dovrà scontrarsi con il capitale intangibile che il nostro professionista ha costruito nel tempo e che non può essere in alcun modo intaccato. A meno che il grande studio non decida di fargli una buona offerta per inglobare questi asset.
*Intangible Assets Leader
L'articolo completo è stato pubblicato su TopLegal Review, nr. aprile/maggio 2021, disponibile su E-edicola.