È questa la settimana più calda per L'Ilva di Taranto. Gli occhi sono puntati sull'acciaieria a causa degli sviluppi dell'inchiesta giudiziaria della Procura che vede i vertici aziendali e societari indagati per disastro ambientale colposo e doloso, e che ha portato alla decisione del gip Patrizia Todisco di sequestrare (senza facoltà d'uso) gli impianti dell'area a caldo, disponendo gli arresti domiciliari per otto dirigenti ed ex dirigenti. Gli operai sono in rivolta, visto che sono oltre 11mila i dipendenti diretti del siderurgico che rischiano di restare a casa.
Adesso si attende il 3 agosto, giorno in cui è prevista la decisione del Tribunale del Riesame. In ballo ci sono interessi contrapposti e l'aut aut è tra i più fastidiosi. Da un lato, l'ipotesi che l'Ilva continui a lavorare, con ambiente e salute a subire ulteriori danni, visto che secondo i magistrati, «i dirigenti Ilva rispettavano le prescrizioni di giorno e le violavano di notte». Dall'altro, la soluzione di massima tutela per madre natura, ossia le ganasce agli impianti. La quale, tuttavia, di fatto lascia a casa gli operai.
Ci sono, però, strade meno drastiche. Secondo Luciano Butti, partner di B&P Avvocati e docente di diritto internazionale dell’ambiente, non è necessaria la scelta: «Esistono precisi strumenti giuridici - spiega - per consentire il proseguimento dell’attività produttiva con la garanzia che, contestualmente, il risanamento ambientale e quello degli impianti vengano velocemente portati avanti». Per far si che ciò accada e che tutto si svolga nel migliore dei modi ci vuole qualcuno che supervisioni le attività. «La responsabilità di individuare nei dettagli questo percorso può essere affidata a una commissione di periti indipendenti nominati dai Giudici - propone Butti -. È importante, però, che questi periti siano scelti non sulla base di mere conoscenze personali dei magistrati, ma nell’ambito dei migliori centri universitari nazionali e internazionali: sarà inoltre la collegialità del loro lavoro a escludere il rischio di condizionamenti».
Una volta, dunque, delineato il programma di misure da adottare, vi sono, a detta di Butti, una serie di passaggi tecnici per garantirne il perseguimento: «La prima consiste nell’adozione, da parte dell’Autorità giudiziaria, di un provvedimento di dissequestro, condizionato al preciso rispetto del programma definito dai consulenti». Qualora, poi, dopo il dissequestro condizionato, l'azienda non rispettasse il programma, allora, «si potrebbe prevedere la nomina di uno o più amministratori giudiziari all’azienda, cosa che consente di applicare il programma di risanamento indipendentemente dalle resistenze della proprietà o del consiglio di amministrazione, per poi tornare alla gestione normale».
Ultimo tema da affrontare è quello relativo alla messa in sicurezza e bonifica dell’area inquinata. Su questo è presumibile che arrivi uno stanziamento da parte del Governo per rimediare ai danni subiti dall'ambiente, ma «i soldi pubblici possono servire per rimediare a quella parte dell’inquinamento che non deriva da scelte illegali del privato», cioè per il fatto che «nei decenni scorsi, la produzione non poteva rispettare i moderni standard attualmente disponibili».
Per quanto, invece, concerne l'inquinamento generato dalle scelte dell'imprenditore, «esiste un preciso strumento giuridico - conclude Butti -, l’azione per danno ambientale oggi disciplinata dagli art. 301 e seguenti del Decreto legislativo n. 152/2006».
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