Quando c'è di mezzo la prevenzione del fenomeno criminale, attenersi a quanto previsto dalla legge non sempre è sufficiente. Bisogna spostare l’asticella un po’ più in alto. È questa la lezione che ha messo in evidenza il commissariamento di Italgas. L’azienda, controllata al 100% da Snam, è stata messa sotto “tutela” dal Tribunale di Palermo ai sensi del Codice antimafia, per verificare possibili infiltrazioni della criminalità organizzata.
A distanza di un anno dall’inizio del provvedimento, nel luglio 2015, l’amministrazione giudiziaria è stata revocata. Italgas è stata totalmente riconsegnata, nulla è stato confiscato, non c’è stata evidenza di alcun avviso di garanzia né tantomeno di licenziamenti di persone dell’azienda. Ma, al di là del risultato finale positivo, Snam – il cui principale azionista è Cassa Depositi e Prestiti (attraverso Cdp Reti) – ha subìto un danno reputazionale ed economico significativo. Un danno che, ai margini dell’accaduto, è stato quantificato agli analisti dal suo stesso amministratore delegato, Carlo Malacarne. Durante la presentazione della relazione semestrale, a distanza di appena quindici giorni dalla fine del commissariamento, l’Ad ha parlato di un impatto in termini di costi operativi corrispondente a una cifra tra i 6 e i 10 milioni di euro. È così che, «a causa di sospetti riguardanti un fornitore della società, che nel parco fornitori di Snam vale circa lo 0,16%, l’intero gruppo ne ha pagato lo scotto», commenta con una punta d’amarezza Marco Reggiani, general counsel di Snam e presidente di Italgas. Aggiungendo che «è di primaria importanza fare in modo che il fatto non si ripeta».
La Direzione affari legali, societari e compliance guidata da Reggiani in seguito al commissariamento di Italgas ha coordinato una serie di attività di verifica e miglioramento delle procedure di gruppo. Non solo per tutelare la società, ma soprattutto per creare una best practice che potesse durare nel tempo ed essere interiorizzata e conosciuta da tutti i soggetti che si relazionano col gruppo.
La posizione di Reggiani in merito è chiara: «L’etica di un’azienda è sì al suo interno, ma si riflette anche attraverso la condotta dei suoi stakeholder. Se l’azienda è etica ma non lo è un fornitore, a rimetterci è l’immagine e la reputazione di Snam. Bisogna, quindi, far sì che la trasparenza sia un asset trasversale a tutta la supply chain». Per raggiungere l’obiettivo, la direzione legale ha indirizzato il rapporto con i fornitori su un valore sempre più condiviso e rilevante nell’ottica di un buon governo aziendale, quello dell’etica. A tal fine, ogni fornitore per poter avere rapporti commerciali con il gruppo deve firmare un documento denominato “patto etico e di integrità”, in cui si impegna a conformare i propri comportamenti ai principi di lealtà, trasparenza e correttezza, a rispettare e mantenere nel tempo i principi previsti nel codice etico e a dichiarare tra l’altro eventuali pendenze processuali. Il sistema dovrebbe così tutelare l’integrità della supply chain e, in prospettiva, l’azienda stessa: al fornitore che non rispetta gli standard concordati, infatti, Snam può, sempre nel rispetto del principio di contradditorio tra le parti, mettere sotto osservazione, limitare, sospendere o addirittura revocare la qualifica.
Il nuovo progetto di gestione
Il patto etico e d’integrità rappresenta l’elemento culminante di un lavoro ben più articolato. A partire da un’analisi reputazionale massiva effettuata a tappeto sull’intero parco fornitori sulla base di fonti informative pubblicamente disponibili, il lavoro ha condotto alla creazione di un’imponente banca dati e di processi più efficaci per l’individuazione e la valutazione di informazioni rilevanti attinenti i fornitori, nonché per la determinazione di adeguate misure di tutela per la società.
Avvalendosi dell’assistenza di Transparency International Italia e della divisione Forensic di Deloitte Financial Advisory, specializzata in attività di business intelligence e di internal control system, è stata avviata un’analisi reputazionale estesa a tutte le fasi rilevanti del processo di procurement: qualifica, aggiudicazione e gestione contrattuale dei fornitori, nonché autorizzazione dei subappalti e gestione contrattuale dei subappaltatori. Il controllo, finalizzato a verificare se le singole controparti fossero in possesso dei necessari requisiti reputazionali per poter essere accreditati a operare con Snam, è stato esteso a oltre 2.000 controparti. Ai margini di questa analisi è stata creata una banca dati reputazionale, integrata con i sistemi informatici del gruppo e oggetto di un’attività periodica di aggiornamento, sia attraverso fonti interne – raccolte nell’ambito degli accertamenti di natura etica condotti da Snam sui propri fornitori – sia attraverso le informazioni collettate da fonti aperte quali organi di stampa, siti internet, social network e banche dati specializzate nella gestione di informazioni rilevanti ai fini reputazionali.
«Il progetto va oltre la piena compliance alla normativa di riferimento vigente in capo alla stazione appaltante prevista dal Codice appalti e dal Codice antimafia», precisa Reggiani per sottolineare la volontà del gruppo di adottare un approccio proattivo che sia in grado di minimizzare i rischi – non solo reputazionali – per l’azienda. Non è un caso che nel corso delle analisi condotte sia capitato di individuare casi in cui la legge fosse sì rispettata, ma da fonti aperte risultasse comunque il coinvolgimento in indagini o procedimenti penali di società appartenenti non solo al parco fornitori, ma anche di controparti con le quali il gruppo intrattiene rapporti commerciali. Ai margini delle attività sono emersi 422 segnali di allarme che hanno dato origine, nel rispetto del principio del contraddittorio tra le parti, a circa 70 provvedimenti che hanno avuto impatto sulla qualifica o sui contratti. Nei casi peggiori sono stati revocati alcuni contratti in essere e in due casi la revoca è finita al Tar, che finora ha dato ragione a Snam.
«Come imprenditore Snam ha deciso di mettere a punto un sistema che in maniera inconfutabile dimostri un reale impegno da parte dell’azienda alla costruzione di rapporti trasparenti con tutte le realtà con cui si relaziona come fornitori», conclude Reggiani. Un progetto ambizioso, all’avanguardia tra gli strumenti utilizzati in Italia per assicurare la legalità della vita imprenditoriale, che potrebbe costituire un benchmark per altre stazioni appaltanti.
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