Lo scorso 10 settembre è stato presentato a Washington l’International Property
Right Index 2013 (Ipri) elaborato dalla Property Right Alliance, organizzazione dedicata alla protezione dei diritti di proprietà fisica e intellettuale. Per trovare l’Italia è però necessario scorrere lungo la classifica, giù fino al 47° posto, in coda a tutti i paesi avanzati. Si parla spesso delle “3 F – Food, Fashion and Furniture”, in riferimento alle eccellenze del nostro tessuto economico. È chiaro come i diritti di proprietà, pensiamo al marchio, rappresentino un asset strategico in questi settori. Quali sarebbero, allora, le ragioni di un tale ritardo nella tutela dei diritti di proprietà nel nostro paese? TopLegal ha raccolto i pareri di alcuni avvocati specializzati in proprietà intellettuale.
Secondo Elena Martini, socio fondatore di Callegari & Martini, specializzato in diritto industriale, l’Italia non soffrirebbe alcun ritardo nel riconoscimento della tutela ai diritti di proprietà intellettuale. Al contrario, rappresenterebbe un fiore all’occhiello del nostro sistema giudiziario. “Questo – spiega Martini - a dire il vero emerge anche dall'Ipri, dove, se si guarda strettamente al settore Ip (senza cioè tenere conto delle altre variabili "generali" prese in considerazione quali stabilità politica, corruzione, efficienza e indipendenza dell'intero sistema giudiziario, velocità nel completamento delle pratiche amministrative, facilità di accesso ai prestiti bancari) siamo in realtà al 24esimo posto.
Giovanni Galimberti ed Elisabetta Bandera, rispettivamente partner e senior associate di Bird & Bird, riconoscono invece un certo ritardo nella tutela dei diritti di proprietà industriale attribuibile alla mancanza di consapevolezza (soprattutto nell'ambito delle piccole medie realtà imprenditoriali) dell'importanza di tali asset e dunque della necessità di un’adeguata tutela. Galimberti e Bandera sottolineano come “a fronte di investimenti tutto sommato modesti (registrazione di un marchio o di un modello, adeguate misure di protezione delle informazioni aziendali e commerciali) il ritorno anche in termini economici possa essere davvero sorprendente”.
Galimberti, Bandera e Martini concordano nel riconoscere che negli ultimi anni di passi in avanti certo ne sono stati fatti, cercando un allineamento della tutela in via giudiziaria dei diritti Ip agli standard europei. Tuttavia, sono altrettanto concordi nell’affermare la necessità di ulteriori interventi atti a mettere le imprese tricolore nelle condizioni di competere ad armi pari con le concorrenti internazionali.
“Una maggior tutela potrebbe essere garantita agendo sul sistema giudiziario – spiega Martini - attribuendo ad esso maggiori risorse economiche e stabilendo meccanismi premiali per i giudici: ciò aumenterebbe ulteriormente l'efficienza del sistema. Inoltre, è importante continuare a puntare sulla specializzazione dei giudici; a questo proposito, si richiede naturalmente uno sforzo in più ai giudici delle 8 nuove sezioni specializzate, che devono in breve tempo colmare il gap che li divideva dai colleghi già specializzati.
D'altro canto, è anche importante però una maggior consapevolezza e organizzazione in merito da parte delle aziende italiane, che dovrebbero pianificare per tempo strategie di registrazione e tutela dei loro diritti di proprietà intellettuale anziché - come purtroppo spesso accade - correre ai ripari solo in situazioni di emergenza, sostenendo così alla fine costi ben più alti di quelli che avrebbero sostenuto seguendo una strategia ben pianificata.”
Un punto su cui pongono l’accento anche Galimberti e Bandera: “occorre rafforzare il processo di educazione delle aziende in merito alla tutela dei propri asset Ip. In questo senso tutti gli operatori del settore possono svolgere un ruolo importante e significativo di informazione e formazione volto a delineare strategie efficaci che consentano alle aziende di prevenire o quanto meno limitare i danni di una possibile contraffazione”.
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