Una lunga battaglia legale, senza esclusione di colpi e di colpi di scena, si profila intorno all'eredità di Carlo Caracciolo, editore del gruppo l'Espresso-La Repubblica scomparso lo scorso 15 dicembre.
A contendersi il patrimonio, stimato in circa 100 milioni di euro, sono la figlia Jacaranda Falck Caracciolo (figlia naturale adottata dal principe nel 1996), unica erede riconosciuta, assistita da un pool legale formato da Carlo d'Urso, Guido Alpa e Floriano D'Alessandro e i due fratelli Carlo Edoardo e Margherita Revelli, che rivendicano, invece, la paternità di Caracciolo.
Al loro fianco, ci sono i legali Natalino Irti e Francesco Arnaud, impegnati in primo luogo nel disconoscimento di paternità nei confronti di Carlo senior Revelli, un passo necessario per procedere nella rivendicazione dei beni ereditari.
Cruciale è la data in cui Carlo Edoardo e Margherita (figli inoltre di Maria Luisa Bernardini), hanno scoperto la reale paternità.
Il codice civile, infatti, dispone che il disconoscimento possa essere avviato entro un anno da quando si scopre di non essere realmente figli del genitore legittimo.
I fratelli, che hanno intentato due cause gemelle, sostengono di aver appreso la notizia nell'ottobre 2007 e solo in quella data di aver ottenuto la conferma dell'editore.
Per confutare questo, Alpa, d'Urso e D'Alessandro hanno presentato un esposto in cui alcune testimonianze dimostrano che i Revelli erano a conoscenza della reale paternità da un periodo di tempo maggiore.
La prossima udienza è fissata ad Aprile quando il giudice Rosaria Ricciardi sarà chiamata a decidere l'ammissibilità di queste testimonianze.
Resta intanto in sospeso l'altra causa relativa alla vicenda. Quella relativa al riconoscimento di paternità di Caracciolo, iniziata prima della morte dell'editore.