BonelliErede

Istituzionalizzazione parte seconda

Project management centralizzato, adozione di un lockstep puro e blindatura della partnership tra i cambiamenti già adottati dallo studio. Ora tutto è pronto per i passi successivi: conquistare il mercato di fascia media e stringere un secondo patto di fedeltà

31-01-2016

Istituzionalizzazione parte seconda

Certo di strada da fare ce n'è ancora. Il cammino, tuttavia, appare segnato: BonelliErede ha deciso di non sottrarsi alla sfida di un mercato in forte evoluzione e si sta attrezzando per intraprendere la strada dell’istituzionalizzazio­ne. Per l’insegna nata nel 1999 si tratta di una sfi­da anzitutto culturale poiché impone la necessità di far affermare per gradi una struttura di stampo aziendalistico, trovando tuttavia un equilibrio con l’identità di una professione che soprattutto in Italia ha poca propensione ad adeguarsi alle logiche del libero mercato. Un percorso tutt’oggi in fieri, i cui primi passi sono stati compiuti a partire dal 2010. E che per la sua realizzazione sta richiedendo un cambiamento di paradigma nell’organizzazione della struttura e del suo modus operandi.

L’ultimo passo è stato reso noto lo scorso giu­gno, con l’annuncio del cambio di denominazio­ne: Bonelli Erede Pappalardo lasciava il posto a BonelliErede, che desemantizzava e fondeva in un’unica parola per effetto di crasi il cognome di due dei soci fondatori, Franco Bonelli e Sergio Erede. Il rebranding dell’insegna, nelle intenzio­ni dello studio, rappresenta solo un dare veste formale alla riforma avvenuta dietro le quinte, che affonda le radici in cambiamenti concreti e strutturali. Mutuando le parole del co-managing partner Stefano Simontacchi: «Un cambiamento di marchio da solo ha ben poco valore. Quello che abbiamo inteso fare non è un mero cambio d’immagine, ma la sintesi comunicativa di un percorso intrapreso già da alcuni anni, che pun­ta alla semplificazione nel rapporto col cliente ». 

Il cliente al centro

Mettere il cliente al centro è un mantra che si ri­pete già da alcuni anni in tutte le comunicazioni ufficiali diffuse dallo studio. Lo slogan, tradotto in termini concreti, significa mettere a disposi­zione di ogni cliente l’assistenza migliore possi­bile, vale a dire i professionisti più competenti a gestire il mandato. Un risultato che può essere ottenuto a patto che si abbandoni la tradizionale logica personalistica – per cui il cliente appartie­ne a un socio – e si attivino meccanismi di con­divisione della clientela. Per arrivare al risultato, BonelliErede ha rivi­sto la struttura in senso matriciale, organizzan­dosi in 21 focus team divisi per industry (come alta gamma, private clients e real estate) e per prodotto (come danno ambientale, arbitrati in­ternazionali e transfer pricing), trasversali ai tradizionali dipartimenti. Da sei mesi, inoltre, ha introdotto uno « staffing centralizzato » che gestisce l’allocazione delle risorse per ogni man­dato. « Per mantenere una coesione tra la compo­nente professionale e quella strutturale dell’or­ganizzazione, è stato necessario realizzare un sistema che fosse in grado di gestire i flussi e la condivisione delle informazioni, documentare le attività svolte e mantenere uno stretto controllo sugli aspetti economici », illustra Simontacchi.

Tutto il sistema si articola sulla gestione del­la pratica. Quando un socio riceve un manda­to, non decide autonomamente con quale team di lavoro gestirlo, ma gira le coordinate della pratica allo staffing, che individua quale sia la squadra più adatta a condurre il mandato sul- la base, oltre che dei desideri del cliente, delle competenze e del track record di tutti i profes­sionisti, accuratamente registrati all’interno di un software. Successivamente, all’interno del team viene individuato un professionista chiave che diventa il responsabile della prati­ca, il project manager, che molto spesso non coincide con chi ha generato il mandato. In questo modo, prescindendo dai personalismi, si dovrebbe arrivare a individuare il team più efficiente ed efficace nell’interesse dei clienti. 

Premiati tutti. O nessuno
Una tale trasformazione richiede un passo in­dietro da parte dei soci generatori di business, che si trovano nella condizione di non essere più i referenti per il committente, a scapito delle re­lazioni personali. Per favorire un progetto così ambizioso si è reso necessario un cambiamento al sistema remunerativo dei vertici della strut­tura, con l’introduzione di un lockstep puro per i dieci soci maggiormente apportatori di busi­ness. I dieci rainmaker, suddivisi in tre classi di lockstep, oggi vengono remunerati stabilmente in base ai punti predefiniti che spettano loro sull’utile complessivo dello studio, indipenden­temente dalla performance individuale. Una po­litica che si colloca agli antipodi rispetto all’in­dividualistica logica dell’eat what you kill e che « punta a neutralizzare la competizione interna, rendendo indipendenti i compensi dal risultato individuale », spiega Simontacchi.

I bonus tradizionali legati ai deal sono stati eli­minati e, come formula incentivante, si è optato per l’attribuzione di punti incrementali assegnati non in base alle performance dei singoli, ma del gruppo. Si è premiati soltanto se tutti i dieci soci raggiungono gli obiettivi istituzionali fissati dal Cda, tra cui – come TopLegal ha potuto appu­rare visionando personalmente la griglia degli obiettivi – si leggono voci come “penetrazione in nuovi mercati” e “condivisione delle proprie relazioni estere”. In tal modo si vincolano tutti alla performance dell’intera associazione, facen­do diventare l’interesse dello studio strumentale anche per il perseguimento dell’interesse dei sin­goli. Per la prima volta, quindi, sono le dinami­che di gruppo a incidere sulle remunerazioni e non il comportamento individuale.

Dopo aver implementato il sistema e averne visto i possibili nervi scoperti, adesso BonelliE­rede è pronto a un ulteriore passo verso l’azzera­mento delle dialettiche competitive. « Perseguire i risultati istituzionali, che nel lungo termine si trasformeranno in maggiori profitti, nel breve periodo può portare al decremento dei singoli apporti economici al business. Per questo motivo – svela Simontacchi – abbiamo deciso che a par­tire da quest’anno fiscale i professionisti non sa­ranno più messi a conoscenza delle performance economiche degli altri, ma soltanto delle proprie e di quelle dello studio nel complesso ».

Tale percorso, a tendere, dovrebbe porre lo studio al di sopra degli interessi dei singoli. Ma, come tutte le rivoluzioni, anche quella avviata da BonelliErede al momento non è priva di resi­stenze. « Ci vuole del tempo perché un cambia­mento del genere entri nel dna dei professioni­sti, ma siamo tutti consapevoli della necessità del processo in corso », commenta con convin­zione Simontacchi. 

Quale successione?

Come ribadito dal co-managing partner, i cam­biamenti per essere digeriti hanno bisogno di tempo. Non soltanto internamente, ma anche in termini di percezione esterna. A distanza di appena un mese dal rebranding dell’insegna, in agosto lo studio ha subito la perdita del co-fonda­tore Franco Bonelli. Una notizia che qualcuno ha accolto persino domandandosi se lo studio pen­sasse a un nuovo restyling del nome. Non tutti, quindi, hanno compreso il lavoro di deseman­tizzazione, « ma anche questo era prevedibile e nell’ordine delle cose », commenta Simontacchi. Al di là del caso specifico, che tuttavia è indice dei limiti culturali del mercato italiano, la vera domanda che in tanti si sono posti è se i clienti di Bonelli rimarranno clienti dello studio o saranno aggrediti da nuovi rainmaker. Soltanto il tempo potrà rispondere. Fatto sta, però, che « lo studio è stato riorganizzato proprio per fronteggiare, attraverso l’istituzionalizzazione, il fisiologico ricambio generazionale », risponde Simontacchi.

Ripercorrendo la storia dell’insegna, la tra­sformazione di BonelliErede orientata al pas­saggio generazionale e all’istituzionalizzazione parte dal 2010, quando venne annunciato l’ac­corciamento della scala del lockstep con l’aboli­zione dei soci junior. Nel febbraio del 2012, l’allo­ra managing partner Alberto Saravalle faceva un passo avanti e spiegava per la prima volta sulle pagine di TopLegal la necessità di andare oltre i singoli professionisti e i soci fondatori per acqui­sire una identità come studio « speaking subject », capace di interloquire sul mercato non tramite le grandi conoscenze dei suoi avvocati, ma come entità studio. Tra le innovazioni targate Saraval­le anche una nuova politica retributiva, con una valutazione dell’apporto dei professionisti che andava oltre il fatturato, premiando le attività non monetizzabili fatte a favore dello studio.

Successivamente, nel maggio del 2013 viene annunciato il piano triennale 2013-15 con un importante cambiamento lato governance. Il presidente Alberto Saravalle lasciava il posto ai co-managing partner Marcello Giustiniani e Ste­fano Simontacchi. La governance diventava così duale, retta da due professionisti attivi in practi­ce (Giustiniani nel labour e Simontacchi nel tax) diverse dal core business tradizionale dell’inse­gna, basato sul corporate. Un passo importante per uno studio spesso criticato per non riuscire a trovare una quadra per governare le diverse ani­me forti che lo componevano. E tra le anime forti, è innegabile, c’erano proprio i soci fondatori e il loro prestigio. Anziché perdere questo patrimo­nio, che in un mercato come quello italiano si sa­rebbe risolto probabilmente in un passo falso in termini di relazioni, clienti e fatturato, « lo studio – spiega Simontacchi – ha deciso di renderli par­te attiva nel processo di istituzionalizzazione». Il che significa lavorare affinché anche i clienti dei fondatori diventino patrimonio dell’insegna. 

Verso il secondo patto

«Stiamo lavorando per il futuro», ripete Simontac­chi, in prossimità del compimento del piano di rior­ganizzazione triennale 2013-15 e a pochi mesi dal lancio del nuovo piano 2016-18, anticipando che le novità non mancheranno anche nei prossimi mesi. Cogliendo gli spunti forniti da altre esperienze di successo, come quelle percorse già da anni delle società di consulenza, lo studio intende implemen­tare nuove best practice nell’offerta, adattandole al mondo legale. E vuole farlo non in ordine sparso, ma attraverso un piano strategico chiaro e coerente.

Un tassello è già stato posto. Simontacchi rac­conta che con l’aiuto del bocconiano Marco Aglia­ti è stato introdotto un sistema di contabilità che consente oggi allo studio di calcolare tutti i costi reali della struttura. «In tale modo è possibile ra­gionare non più in termini di ore fatturate, ma al pari di qualunque altra azienda, in termini di costi e ricavi», sottolinea Simontacchi. Una rottura con la tradizione che potrebbe gettare le basi per altri cambiamenti più strutturali nei prossimi anni. Dopo aver guardato alla governance e alla struttura, per lo studio potrebbe essere giunto il momento di agire in maniera organica sull’offerta, rimodulando il prezzo del servizio in modo tale da scendere la ca­tena del valore e conquistare un mercato che fino a oggi non guardava, quello di fascia media. Ciò ga­rantirebbe di avere uno zoccolo duro di ricavi pre­vedibili, facendo diminuire l’aleatorietà di un busi­ness che, al momento, deriva quasi esclusivamente dalle operazioni straordinarie.

A differenza di altre aziende, però, lo studio deve fare i conti anche con un altro tipo di imprevedibil­ità: quella legata al comportamento del suo fattore di produzione, il capitale umano. E, d’altronde, blin­dare la partnership serve proprio a questo. In attesa che il dna dei singoli si modifichi, infatti, l’organiz­zazione nel 2014 ha richiesto una scelta radicale ai soci. Essere dentro o fuori. Abbracciare o meno il nuovo disegno vincolandosi al progetto di istituzio­nalizzazione attraverso la sottoscrizione di un patto di fedeltà triennale. Ma tre anni trascorrono in fret­ta e i cambiamenti, invece, hanno bisogno di tempo. Così, non ci sarebbe da stupirsi se fosse già al vaglio un’ipotesi di rinnovo dell’accordo. 


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