Il 2014 in rassegna

L’OPERAZIONE DELL’ANNO

Alitalia-Etihad: salvataggio d’emergenza. L’ingresso di Etihad ha dato ad Alitalia una strategia per essere competitiva. Per raggiungere l’obiettivo, dagli importanti risvolti nazionali ed internazionali, gli advisor in campo hanno dovuto dare prova di ingegneria legale per trovare una sintesi tra tanti interessi in gioco

19-12-2014

L’OPERAZIONE DELL’ANNO

Dopo un anno di reciproca conoscenza, tra occhieggiamenti e corteggia­menti, Alitalia ed Etihad hanno convolato a nozze. Lo scorso 8 agosto, a distanza di due mesi dalla sigla della lettera d’inten­ti, i due vettori hanno finalizza­to un accordo da 1,758 miliardi che permetterà all’ex compa­gnia di bandiera italiana di trarre nuova linfa dall’unione con l’emiratina di Abu Dhabi. Un matrimonio atteso, che ha fatto tirare un sospiro di sol­lievo un po’ a tutti, dall’azien­da al Governo, passando per i sindacati. Tutti in prima linea a salutare con soddisfazione la firma dell’accordo, concordi nel ritenere che il salvataggio di Alitalia fosse imperativo per dare nuova dignità al trasporto italiano e rilanciare la crescita del sistema Paese. Un’opera­zione industriale dal valore si­stemico, quindi, che ha trovato il primo sponsor nella volontà politica di ben due governi, quello Letta prima e quello Renzi poi. E che agli studi legali in campo ha richiesto per esse­re vestita da un punto di vista legale una vera e propria opera di ingegneria giuridica, affian­cata da un consolidato track record di relazioni istituzionali non soltanto in Italia, ma anche a livello europeo.

Non bisogna dimenticare, infatti, che l’accordo ha un’im­portanza strategica per il mer­cato aeronautico internazio­nale, in quanto ha costituito una tappa dell’integrazione dei mercati arabi con quelli nordamericani, attraverso l’u­tilizzo di un hub europeo, l’I­talia. Dopo l’intesa con Etihad, il nostro è l’unico grande Pae­se del Vecchio continente in cui la maggioranza effettiva della compagnia di bandiera (seppure Alitalia, formalmen­te, non lo è più) è posseduta da un vettore di uno Stato extra­europeo. L’operazione, quindi, sul fronte antitrust si è giocata a Bruxelles, dove avrebbe po­tuto trovare un ostacolo nella mancata applicazione del re­golamento 1008/ 2008, in base al quale il controllo di una compagnia di bandiera deve restare in mano europea.

In un’operazione di tale por­tata sistemica, diventa chiaro che « gestire le problematiche connesse alla governance ha avuto egual peso dello stabilire le regole che dovevano soprain­tendere la partnership indu­striale », sottolineano Giam­piero Succi e Stefano Cacchi Pessani, coordinatori del team di Bonelli Erede Pappalardo che ha affiancato Alitalia Cai. Gli altri advisor schierati sul deal sono stati: Dla Piper e Chiomenti per Etihad; Lombardi Molinari Segni e Pedersoli e Associati con le banche (che in alcuni casi erano anche azio­niste di Cai); e Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners al fianco di Poste Italiane.

Il risultato delle trattative è stato che il 49% dell’ex compa­gnia di bandiera italiana è di­ventato di proprietà di Etihad, che si è impegnata a versare 560 milioni di euro per rilevar­la e altri 600 milioni di investi­menti futuri atti a cambiarne il volto. Il processo è stato com­pletato da un ulteriore apporto di capitale, pari a 300 milio­ni di euro, da parte degli altri azionisti di Alitalia, tra cui In­tesa SanPaolo, Poste Italiane e Unicredit. In aggiunta, le ban­che hanno supportato l’opera­zione con 598 milioni di euro sotto forma di ristrutturazione del debito a breve e medio ter­mine. Mentre 300 milioni di euro sono stati accordati come nuove linee di credito.

Se questo è stato il risul­tato, arrivarci è stato tutt’al­tro che semplice. L’avventura con Etihad, iniziata nell’ago­sto 2013, ha trovato il nodo principale per gli arabi nelle pendenze passate di Alitalia. L’approccio di Etihad è stato chiaro fin dall’inizio: voleva investire sul futuro, lascian­do indietro il passato, rima­sto sulle spalle degli attuali soci. “ Un approccio, che per essere accettato dai soci, ha richiesto grandi sforzi », sot­tolinea Carlo Pedersoli, alla guida del team che ha affian­cato Intesa SanPaolo ( storico cliente dello studio), che ap­pena in febbraio aveva inve­stito soldi per sanare i conti di un soggetto, Alitalia, che così com’era strutturato ave­va scarse chance di soprav­vivenza, indipendentemente dalle finanze dissestate.

Oltre ai conti, infatti, il vero problema del vettore era la mancanza di una strategia per il futuro. Alitalia non è strutturata per competere con le com­pagnie low cost, che avevano la meglio sul fronte dei voli na­zionali. D’altronde, già da anni aveva man mano perso terreno anche sui voli a lungo raggio. Mancava, quindi, di compe­titività e, soprattutto, di una strategia su come affrontare il futuro. Etihad, invece, aveva un piano strategico ben pre­ciso: rilanciare il lungo raggio di Alitalia, facendo diventare l’Italia hub per lo sviluppo emi­ratino in Occidente.

« La scelta di Etihad come partner è stata una scelta di bu­siness nata da considerazioni di natura industriale. Per questo, tanto la direzione legale interna quanto noi consulenti abbiamo avuto il compito di supportare il management di Alitalia nel realizzare il framework in cui questa scelta doveva muoversi », sottolineano Succi e Cacchi Pes­sani. E poiché Etihad era stata chiara nelle premesse, per por­tare a buon fine l’operazione il business profittevole doveva es­sere scisso da quello gravato da inefficienze. Così è stata costi­tuita una newco nella quale l’e­miratina è entrata al 49%. Nella bad company, ovvero ‘Old Alita-l­ia’, invece, sono andati a finire debiti ed esuberi strutturali.

« La parte più complessa dell’operazione come advisor delle banche è stata quella di individuare una struttura delle fonti all’interno della Old Ali­talia che, consentendo le mi­gliori prospettive di recupero in base a quello che sarà l’ef­fettivo andamento di New Ali­talia, contemperasse in modo equo gli interessi di tutti gli stakeholder », spiega Ugo Mo­linari – alla guida del team di Lombardi Molinari Segni che ha affiancato le banche – che sottolinea la centralità nell’o­perazione dell’atteggiamento collaborativo degli istituti.

Ma il rapporto con le ban­che non è stato l’unico nodo da sciogliere. L’altro grande impasse da superare erano gli esuberi. All’inizio della negoziazione con Etihad, Alitalia presentava più di 5mila perso­ne coinvolte in programmi di solidarietà e/o cassa integra­zione. Il tutto nel contesto di una situazione sindacale sin­golare, caratterizzata da una molteplicità di sigle sindacali superiori rispetto agli altri set­tori (confederali, sindacati au­tonomi, associazioni dei piloti e degli assistenti di volo). « Il General counsel di Etihad, Jim Callaghan (ex senior associa­te di Linklaters ndr), ha posto da subito la definizione della parte lavoristica come condi­zione essenziale e prioritaria per procedere all’acquisizio­ne » , precisa Annalisa Reale, socio di Chiomenti che ha avu­to il compito di seguire le trat­tative sindacali per Etihad. Il piano predisposto ha previsto l’apertura di una mobilità per 2.271 unità, la conversione/ ri­definizione della Cigs in essere, l’attivazione di nuovi e diversi contratti di solidarietà e la re­visione del Fondo Volo presso l’Inps ai fini dell’incentivazione dei dipendenti in esubero.

La complessità, naturalmen­te, risiedeva nel numero di in­terlocutori al tavolo ( Alitalia, Etihad Airways, Air France, banche, società di factoring, parti politiche e sindacati) e nella necessità di coordinare le diverse istanze negoziali verso un unico obiettivo, il tutto nei tempi e alle condizioni econo­miche e finanziarie richieste da Etihad. « La parte difficile è sta­ta illustrare e far comprendere all’establishment burocratico e finanziario il diverso modo di fare business di Etihad » , pre­cisa Matteo Mancinelli, socio coordinatore assieme a Micha­el Bosco del team di Dla Piper che ha agito al fianco di Etihad. L’operazione rappresenta l’ulti­ma delle collaborazioni tra i due soggetti, dato il rapporto istitu­zionale che lega Dla Piper alla compagnia di Abu Dhabi. Lo studio angloamericano, infatti, ha seguito tutta l’espansione del vettore nel mondo.

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BonelliErede, Pedersoli, Dla Piper, Chiomenti, Molinari Agostinelli, Gianni & Origoni Poste italiane, Intesa Sanpaolo


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