Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione si è soffermata con utile chiarezza su di alcuni concetti e principi fondamentali in tema di giusta causa di licenziamento.
Innanzitutto, la Suprema Corte ha ribadito che la giusta causa di recesso del datore di lavoro implica una valutazione della gravità della condotta del dipendente nonchè del contesto delle circostanze fattuali del caso, per valutare la rilevanza disciplinare dei fatti addebitati al dipendente.
Nel caso concreto oggetto della pronuncia in commento, l’istruttoria processuale si era focalizzata su tenore e modalità dei comportamenti gestuali e verbali come anche sull’età del soggetto interagente col dipendente.
La Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare, viceversa, che l'assenza di effettive conseguenze pregiudizievoli per il datore o per terzi, ovvero di concreti vantaggi del dipendente o di terzi, così come comportamenti successivi volti ad eliminare o arginare gli effetti dannosi della condotta contestata, non valgono ad escludere la rilevanza disciplinare del fatto. Tali ulteriori elementi di fatto possono eventualmente concorrere, insieme ad ogni elemento del caso concreto, nella complessa valutazione giudiziale circa l'idoneità della condotta a giustificare la sanzione espulsiva (Cass., 29 agosto 2024, n. 23318, in Giustizia Civile Massimario 2024) e la proporzionalità del licenziamento (Cass., 5 settembre 2024, n. 23852).
L’ordinanza in commento ribadisce poi utilmente l’onere probatorio per cui, ai sensi dell’art. 2697 c.c., grava sul datore dimostrare la sussistenza degli addebiti contestati. In tema di oneri di prova, merita, tuttavia, ricordare anche il filone di giurisprudenza della Corte, per cui: <<il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione, sicché non è il datore di lavoro a dover provare di aver licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì la parte che ne ha interesse, ossia il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro>> (Cass., 5 aprile 2024, n. 9138).
La Suprema Corte sottolinea, altresì, che, come è noto, la nozione di giusta causa di licenziamento è una cosiddetta clausola generale dell’ordinamento, che ha la propria fonte normativa nell’art. 2119 c.c., ma necessita di specificazione interpretativa ad opera del diritto vivente.
L’ordinanza in commento si sofferma, inoltre, sulla distinzione tra sindacato dei giudici di merito e della Corte di legittimità in materia. Il sindacato del giudice di primo e secondo grado verte sui fatti, sulla selezione e valutazione delle risultanze istruttorie, sulla ricorrenza nei fatti degli <<elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni>> (cfr. la motivazione dell’ordinanza qui commentata). Il sindacato di legittimità ha ad oggetto, invece, i criteri di sussunzione a giusta causa ovvero l’operazione valutativa del giudice di merito nell’applicare la clausola generale. In particolare, la Corte di legittimità verifica la rilevanza di fattori quali la coscienza sociale e i principi dell’ordinamento, che costituiscono specificazioni del parametro normativo ed hanno natura giuridica.
Non ultimo, l’ordinanza in commento si sofferma ad evidenziare gli oneri di specificazione dei ricorrenti in Cassazione. Per contestare in Cassazione il giudizio valutativo e l’operazione di integrazione del precetto generale operati dal giudice di merito, il ricorrente deve individuare specifici motivi di incoerenza nelle motivazioni della decisione nel merito.
Nel caso concreto oggetto della pronuncia in commento, i motivi del ricorso in Cassazione non sono stati accolti, perché si è ritenuto che parte ricorrente non avesse specificato quali parametri integrativi della clausola generale di giusta causa fossero stati violati; il ricorso si era limitato a chiedere una diversa valutazione degli elementi di merito.
La sentenza cita espressamente alcuni arresti esemplificativi del proprio orientamento sia riguardo alla nozione di giusta causa sia in tema dei limiti e dell’oggetto del sindacato rispettivamente di merito e di legittimità. Può essere utile fare riferimento ad almeno due ulteriori arresti di poco precedenti sul tema.
Nel giugno 2024, la Corte di Cassazione ha statuito che, in seguito all’accertamento in sede di merito che quello commesso dal dipendente fosse un comportamento privo di valenza disciplinare, non era consentita in Cassazione <<una nuova valutazione degli elementi probatori allo scopo di pervenire ad una diversa ricostruzione dell'accaduto in contrasto con quanto affermato dai giudici di merito, ai quali sono conferiti dall'ordinamento i poteri di selezionare e valutare il materiale probatorio>> (Cass., 20 giugno 2024, n. 17032). Un ancor più simile e recente precedente della pronuncia in commento in tema di distinzione tra sindacato in sede di merito e di legittimità in materia di giusta causa è la pronuncia di Cass., 22 agosto 2024, n. 23029).
L’ordinanza in commento ripercorre, in conclusione, alcuni aspetti salienti degli elementi di cui tenere conto in tema di licenziamento per giusta causa e relativi oneri di allegazione e prova in sede processuale.
A cura di: Carlo Andrea Galli, avvocato in Milano, founder di Carlo Andrea Galli & Partners
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