di Paola Pignataro
Il tema della circolazione delle aziende in crisi è di grande rilievo considerato che l’azienda, ovvero un suo ramo, se trasferita può evitare la cessazione dell’attività produttiva e garantire anche la salvaguardia di almeno parte dell’occupazione. Il nostro ordinamento, in ragione del valore costituzionalmente riconosciuto all’impresa attiva ex art. 41 Cost., sostiene tale soluzione pur premurandosi di contemperare gli interessi, talvolta anche confliggenti, di tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti. Le norme giuslavoristiche disciplinano il trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi secondo criteri del tutto autonomi e distinti rispetto a quelli previsti nel caso di circolazione di un’azienda in bonis e, in ciò, devono rispettare i vincoli posti dalla normativa europea. Ed, invero, la disciplina generale del trasferimento d’azienda è fondata sul principio della prosecuzione automatica del rapporto di lavoro dei dipendenti coinvolti nel trasferimento i quali continuano a lavorare presso il cessionario conservando tutti i loro diritti. L’elemento che caratterizza, invece, la normativa speciale sul trasferimento d’azienda nell’impresa in crisi è rappresentato dal fatto che le tutele normalmente accordate ai lavoratori impiegati nell’azienda ceduta sono derogate o, comunque, derogabili per effetto di un accordo sindacale che garantisca la salvaguardia almeno parziale dei livelli occupazionali (art. 47, comma 4-bis e 5, legge n. 428/1990).
L’art. 47 della legge n. 428 del 1990, riformulato all’esito delle censure mosse dalla Corte di Giustizia Europea, anche nella sua attuale formulazione evidenzia rilevanti incertezze interpretative sull’effettiva portata delle deroghe alla disciplina generale contenuta nell’art. 2112 c.c. Nello specifico, parte della giurisprudenza ha ritenuto che i due commi del sopra richiamato art. 47 legge n. 428/1990 (4bis e 5) si riferiscano a situazioni tra loro diverse e stabiliscano una diversa disciplina. In particolare: il comma 4-bis, per le aziende in stato di crisi, e le altre situazioni previste dalla norma, consente solo una parziale deroga all’applicazione dell’art. 2112 c.c. (ad esempio: modifiche peggiorative alle condizioni di lavoro dei lavoratori passati al cessionario; esclusione della solidarietà tra cedente e cessionario per i debiti che i lavoratori avevano al momento del trasferimento) ma presuppone che i lavoratori transitino al cessionario in piena applicazione del principio di continuità; il comma 5, applicabile alle sole procedure di insolvenza liquidatorie, consente invece all’accordo di derogare sotto ogni profilo all’art. 2112 c.c..
Una tale interpretazione – di dubbia conformità rispetto alla lettera ed alla ratio della norma di diritto interno, ma anche non coerente con le finalità di agevolare la circolazione del patrimonio aziendale - ha di fatto disincentivato, nella pratica, il ricorso a tale apparato normativo o, quanto meno, ne ha reso assai aleatore la applicazione.
La situazione, allo stato, richiede pertanto ai professionisti del settore un livello di specializzazione particolarmente elevato ed un aggiornamento costante sull’evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza.