Scenari

La delega di funzioni nel diritto penale

Durante la tavola rotonda organizzata da Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi, le tre parti del processo penale si sono espresse sullo stato dell’arte in Italia

27-02-2017

La delega di funzioni nel diritto penale

L’individuazione del soggetto responsabile nell’attività d’impresa e l’imputazione del fatto di reato sono stati i temi affrontati durante l’incontro organizzato da Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi in partnership con TopLegal. Presenti all’evento, intitolato “Obblighi di garanzia e delega di funzioni nel diritto penale di impresa”, erano Alessio Scarcella, consigliere della Corte di Cassazione, sezione Terza penale, Ciro Santoriello, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino e Massimo Dinoia, socio fondatore dello studio Dinoia Federico Pelanda Simbari Uslenghi.

L’obiettivo della tavola rotonda è stato quindi quello di dar voce alle tre parti del processo penale (la difesa, l’accusa e il giudice) e ascoltare la loro testimonianza acquisita direttamente “sul campo”.


La difesa
Il principio di “certezza del diritto” (che impone un’applicazione prevedibile delle norme) è spesso messo in discussione da prassi eccessivamente ondivaghe e non sempre rispettose del dettato costituzionale. Massimo Dinoia ne ha fornito un esempio nel diritto penale per la sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento al problema dell’individuazione del responsabile. L’individuazione del titolare di posizione di garanzia è in effetti il problema centrale del diritto penale di impresa ed è il primo passaggio fondamentale per l’applicazione del canone costituzionale della personalità della responsabilità penale; tuttavia, le Procure e i Giudici hanno spesso dimostrato una tendenza a semplificare questo passaggio, attraverso modalità di imputazione del fatto basate unicamente sulla carica formale ricoperta.

Nello specifico, Dinoia, soffermandosi e analizzando l’intervento delle Sezioni Unite nel caso ThyssenKrupp, ha messo in luce la necessità di adottare un principio di effettività che consenta un’adeguata ripartizione delle competenze anti-infortunistiche tra i vari soggetti obbligati lungo tutta la catena decisionale. Principio non sempre applicato dalla giurisprudenza successiva alla Thyssen, che, in alcuni casi recenti, pur dichiarando la propria adesione ai principi espressi in quella sentenza, ha riproposto superati modelli di accertamento della responsabilità.
 

Il giudice
Alessio Scarcella ha invece discusso sullo stato dell’arte in materia di obblighi di garanzia e delega di funzioni intervenendo su più punti. In primo luogo, ha evidenziato come in capo al datore di lavoro incombano obblighi indelegabili, tra cui quello di valutare i rischi connessi all’attività d’impresa e di individuare le misure di protezione, ontologicamente connesse alla funzione e alla qualifica propria del datore di lavoro e, quindi, non utilmente trasferibili. In secondo luogo, collegandosi all’obbligo di vigilanza, ha trattato il rischio interferenziale e la responsabilità del committente. Ha evidenziato come in casi in cui più aziende si trovano a condividere lo stesso spazio lavorativo, in virtù ad esempio di un contratto di sub appalto di un servizio, sorgano nuove tipologie di rischio (i cd. rischi interferenziali) e come, nonostante la normativa preveda una limitazione alla responsabilità del committente allorquando il rischio sia “specifico”, la giurisprudenza di Cassazione abbia nondimeno individuato una sua responsabilità anche in relazione a tale tipologia di rischio.


L’ accusa
Infine Ciro Santoriello è intervenuto concentrandosi sul concetto di delega di funzioni in materia anti-infortunistica. Valorizzando l’importanza della delega non come forma di scarico di responsabilità ma come strumento di efficienza organizzativa, ha rilevato come le problematiche legate all’istituto della delega siano di natura squisitamente fattuale, prima che giuridica.

Le condizioni per il rilascio della delega per la sicurezza sul lavoro, quindi, devono considerarsi le stesse, unanimemente riconosciute in ambito imprenditoriale, per incaricare efficacemente qualsiasi professionista di gestire un determinato settore (commerciale, finanziario...). E quindi l’imputazione per il fatto di reato direttamente ai soggetti apicali non avverrà sulla base di un criterio “formalistico”, ma valutando se abbiano colpevolmente omesso di dotarsi di una struttura aziendale tale da prevedere e prevenire l’infortunio o l’atto illecito.

Il secondo tema trattato durante la discussione ha riguardato la responsabilità dell’amministratore privo di deleghe e del sindaco. Questi, secondo le norme del codice civile (art. 2392 c.c.), sono tenuti a impedire gli atti illeciti di cui siano venuti a conoscenza. Contrariamente al passato, in cui, per la prova del dolo, era sufficiente il richiamo al discutibile principio del “non poteva non sapere”, oggi, grazie a due sentenze della quinta sezione della Corte di Cassazione, ai fini della configurabilità del concorso per omesso impedimento dell'amministratore privo di delega è necessaria la prova della sua concreta conoscenza del fatto pregiudizievole per la società o, quanto meno, di "segnali di allarme" inequivocabili, dai quali è desumibile una volontaria omissione di attivarsi per scongiurare il reato.

Proprio sul rapporto tra consapevolezza e intervento si è conclusa la discussione, con una riflessione sui limiti di applicabilità e legittimità del diritto penale e sull’importanza del principio di frammentarietà nel diritto penale di impresa.

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DFS Dinoia Federico Simbari MassimoDinoia ThyssenKrupp, Corte di Cassazione, Procura della Repubblica di Torino


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