Sono due le principali sfide per il tax manager di domani. La prima riguarda l'integrazione dell’area tax delle aziende nel mondo digitale; la seconda, l’evoluzione di questo ruolo alla luce del diverso rapporto tra contribuente e autorità finanziaria, a seguito dell’entrata in vigore, nell’agosto 2015, del regime dell’adempimento collaborativo (cooperative compliance). È quanto emerge dalla seconda edizione dell'Osservatorio Tax del Centro studi TopLegal in collaborazione con l'Associazione fiscalisti d'impresa (Afi).
I risultati sono stati presentati in esclusiva in occasione del webinar del 28 ottobre 2020 destinato a tax director, Cfo, direttori finanza e amministrazione, Ceo, direttori generali e Coo, realizzato in collaborazione con Baker McKenzie, Dentons, Ey e Gatti Pavesi Bianchi Ludovici. L'edizione dell'Osservatorio Tax del 2020 segue quella del 2018, che per prima ha acceso i riflettori sui protagonisti del settore fiscale italiano con lo scopo di fornire una fotografia chiara dell’ecosistema fiscale nazionale, indagando la dinamica tra domanda e offerta dei servizi in ambito tributario.
La ricerca ha raccolto le opinioni dei fiscalisti d’impresa italiani all’interno di una ricerca qualitativa e quantitativa, a cui hanno partecipato 48 responsabili tax delle maggiori imprese del nostro Paese. I tax manager intervistati hanno fornito un quadro preciso e articolato delle loro esigenze, del rapporto con i consulenti, con il top management delle imprese e dei modelli di studio ritenuti più idonei per le diverse tipologie di servizio.
La cooperative compliance
La normativa italiana sulla cooperative compliance è a un livello avanzato rispetto ad altri Paesi europei, anche se una maggiore flessibilità sui requisiti di ingresso – a oggi il regime è accessibile solo da aziende con un fatturato superiore a 5 miliardi – potrebbe spingere un numero maggiore di imprese strutturate verso l’adozione di questo istituto. Di recente, i vertici dell’Agenzia delle entrate stanno lavorando all’ipotesi di un ulteriore abbassamento della soglia, per permettere di entrare anche alle Pmi più virtuose.
Dalla ricerca è emerso un ampio utilizzo della tecnologia, diventata un elemento imprescindibile dell’attività del tax director. L’It rappresenta, inoltre, un arricchimento del comparto fiscale: consente di dedicarsi ad attività ad alto valore aggiunto e di gestire con una maggiore sicurezza e controllo i dati e le procedure, assicurando una maggiore efficienza dei processi operativi. L’adozione di strumenti tecnologici per il fisco – il 63% delle aziende analizzate nel campione se n’è già dotato – richiede, tuttavia, una trasformazione delle competenze del tax manager, oltre a un grande impegno di tempo in fase di implementazione con possibili criticità sui costi. L’investimento richiesto per questi software (tax planning, intelligenza artificiale per la compliance fiscale e contabilità, tax rate, tax control framework) va da 20mila a un milione di euro.
Il rapporto con il consulente esterno
La trasformazione digitale non sembra determinare, invece, evidenti cambiamenti nel rapporto con i consulenti fiscalisti esterni. In risposta a un’esigenza qualificata, infatti, non si modificheranno i volumi della domanda di consulenza, interrogata piuttosto su temi considerati di maggiore complessità e selezionati su criteri che prescindono la digitalizzazione.
Dal consulente esterno, le direzioni fiscali si aspettano, accanto a una forte specializzazione verticale e a una maggiore proattività nell’interpretazione della produzione normativa, anche il possesso di competenze sul fronte digitale. Ai fiscalisti esterni sono richiesti spunti per anticipare i cambiamenti che possono essere molto impattanti sul business delle imprese.