La diffusione di strumenti di comunicazione digitale e l’ampio accesso ai social network stanno configurando un nuovo modo di relazionarsi tra gli individui. È un dato di fatto, inoltre, che oggi i quotidiani, i ministeri, i tribunali, gli ordini professionali e le camere di commercio – per fare solo alcuni esempi – hanno un sito web contenente le stesse informazioni precedentemente acquisibili mediante l’accesso diretto agli uffici.
Gli effetti sulle dispute legali di questa trasformazione sono ancora da disciplinare. In quale modo, per esempio, le nuove forme di comunicazione possono concorrere in giudizio alla formazione delle prove digitali? Per dare una risposta, TopLegal in collaborazione con il Consiglio notarile di Milano, ha organizzato il convegno ‘ La formazione della prova informatica. Il mondo digitale e la sua certificazione’, che si è svolto lo scorso 4 marzo a Milano. All’evento sono intervenuti in qualità di relatori: Antonino Mazzeo, docente di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università di Napoli Federico II e responsabile del Polo di cybersecurity; Sabrina Chibbaro, membro del Consiglio notarile di Milano e della Commissione Informatica del Consiglio nazionale del notariato; Francesco Cajani, sostituto procuratore della Repubblica; Enrico Consolandi, referente per informatica civile del distretto di Milano; Giovanni Galimberti, partner di Bird & Bird; e Carmelo Fontana, Corporate counsel di Google.
Con l’avvento di internet e delle nuove tecnologie informatiche e telematiche sono cambiati radicalmente i concetti di comunicazione e informazione. Tale sviluppo ha favorito l’acquisizione di una nuova tipologia di prove informa-tiche. Creando qualche problema agli operatori del diritto, che hanno dovuto tentare di regolamentare questa nuova realtà in continua e rapida evoluzione riconducendola nell’alveo del quadro giuridico a disposizione. Senza, però, che vi sia alcuna specifica regolamentazione a riguardo.
La domanda a cui ha cercato di dare risposta il convegno è se, nell’era di internet, il giudice può porre a fondamento della decisione fatti e notizie reperiti in rete, assumendoli come «fatto notorio», così come disciplinato dall’art. 115 del Codice di procedura civile. Il Tribunale di Mantova, con ordinanza del 16 maggio 2006, dava una risposta negativa affermando che «le notizie acquisite attraverso internet non possano definirsi nozioni di comune esperienza, a mente dell’art.115 ultimo comma c. p. c., dovendo la norma essere intesa in senso rigoroso, comportando la stessa una deroga al principio dispositivo, per cui «notorio» deve intendersi solo il fatto che una persona di media cultura conosce in un dato tempo e in un dato luogo, mentre le informazioni pervenute da internet, quand’anche di facile diffusione ed accesso per la generalità dei cittadini, non costituiscono dati incontestabili nelle conoscenze della collettività ».
Tuttavia da allora lo scenario è cambiato e alcune sentenze successive hanno rimestato le carte in tavola. In particolare, una decisione del Tribunale di Genova del 2013 ha stabilito che le visioni satellitari ottenute per mezzo di Google Maps rientrano nell’ambito del notorio perché sono «dati di conoscenza per tutti disponibili che […] godono del carattere della sufficiente certezza ».
In questo caso – come hanno messo in luce Galimberti e Fontana nel corso del dibattito – il giudice, utilizzando il potere discrezionale che la legge gli attribuisce, è giunto a qualifi¬care come notori, cioè conoscibili da chiunque o conoscibili con mezzi accessibili a chiunque, fatti reperiti su internet. In tal modo si stanno creando precedenti che allargheranno la casi¬stica di circostanze per le quali i legali non dovranno produrre prove in tribunale in quanto costituiranno « fatti notori ». Basterà collettarle attraverso un clic.
Certificazione digitale