Compensi alternativi / Scenario

La grande occasione mancata

Rendere vantaggiosi le tariffe alternative rimane un'impresa

17-05-2015

La grande occasione mancata


Il think thank rivolto alle professioni intellettuali, VeraSage Institute, sul suo sito elenca 23 motivi per cui la rendicontazione oraria sarebbe dannosa per consulenti e clienti. Generalmente, afferma la società di consulenti statunitensi, la tariffa oraria crea incentivi sba­gliati mettendo il consulente in conflitto con il cliente. In particolare, penalizza il consulente produttivo senza favorire l’uso delle tecnologie, e accantona qualsiasi disciplina di mercato fina­lizzata ad aumentare l’efficienza. Si condiziona in questo modo tutta l’attività e il percorso profes­sionale – dall’ottenimento del mandato alla pro­mozione e ai compensi dei consulenti – indipen­dentemente dal valore che tale fatturazione possa creare. Concentrandosi, pertanto, esclusivamen­te sulle ore da fatturare si ostacola ogni innova­zione e dinamismo della professione, andando a scapito dello spirito imprenditoriale. All’interno dello studio, la tariffa oraria favorisce altresì la proliferazione della burocrazia nonché le figure chiamate a gestirla: i vari funzionari, ragionieri e neofiti dei costi. Tuttavia, i mali recati ai clienti sono altrettanto se non più seri. La tariffa ora­ria costringe il cliente a pagare le inefficienze del consulente e, dato che non si può conoscere il prezzo finale del servizio che viene acquisito, il cliente è inoltre costretto ad assumersi tutti i rischi della transazione. La fatturazione oraria sancisce inoltre un sistema di sussidi attraverso il quale la formazione degli avvocati meno esperti è a carico del cliente, come lo sono anche i costi e le inefficienze di produzione dello studio legale.


Nonostante tutti questi inconvenienti, la tariffa oraria ha sempre avuto un ruolo domi­nante per le professioni intellettuali. Il motivo è semplice: la tariffa oraria fornisce un’unità di misura facile da comprendere per chi l’acquiste­rebbe e tutti sono abituati a utilizzarla. I clienti dispongono in tal modo di una misura oggettiva e analizzabile del lavoro effettuato, mentre per gli studi la tariffa oraria consente di monetiz­zare di più a discapito degli interessi dei primi.

Durante gli anni di mercato florido, gli stu­di assumevano sempre più professionisti come unico modo per aumentare il fatturato. Ma la crescita interna richiedeva un aumento del nu­mero di ore da fatturare per raggiungere il pa­reggio. Tuttavia, più aumentava l’efficienza dello studio, meno ricavi si generavano. Per aumenta­re il fatturato, si ricorreva di nuovo ad una po­litica espansiva e il meccanismo così si autoali­mentava. Fin quando il mercato tirava, gli effetti negativi della spirale generata dal meccanismo perverso della tariffa oraria si attenuavano.

Il cortocircuito, come si sa, è avvenuto con la crisi economica a partire dal 2008. L’incontro tra aziende costrette a rivedere costi ed efficienza e studi legali irriducibili che avevano fatto pres­soché nulla per la propria ristrutturazione crea­va un divario insostenibile. Il risultato è stato la pesante normalizzazione del comparto legale e il ridimensionamento del potere degli studi legali. Da questo ribaltamento sono scaturite nuove for­mule negli accordi tra consulenti e clienti per al­lineare la spesa legale alla forte revisione dei costi e i tagli lineari al budget imposti dalle aziende. Questi accordi, declinati a favore dei compensi alternativi, si sono moltiplicati negli ultimi anni.

Eppure, nonostante la notevole spinta rifor­matrice arrivata con la crisi economica, è come se la transizione avvenuta nel comparto lega­le, non appena iniziata, si fosse già bloccata. I clienti hanno ottenuto una conquista impor­tante ma del tutto circoscritta. Una volta strap­pato il ribasso dei prezzi, è finita l’attenzione sull’efficienza e sui processi di lavoro degli stu­di legali i quali, da parte loro, hanno semplice­mente compiuto una ritirata strategica che ha lasciato il loro approccio di fondo immutato.

Per questo motivo, sia gli studi legali che le imprese hanno ancora molta strada da fare pri­ma che tali accordi possano essere pienamente vantaggiosi e restano problemi fondamenta­li ancora da affrontare. In particolare, per gli studi legali i compensi alternativi continuano a rappresentare un compromesso indesiderato imposto dai clienti. Troppo spesso, i consulenti esterni fanno semplicemente un passo indietro di fronte alla richiesta del cliente senza ragiona re sull’efficienza della propria organizzazione né sulla propria redditività. Al contrario, molti studi legali continuano tuttora a comportarsi come se nulla fosse, reclamando una diversità rispetto alla concorrenza – questa ecceziona­lità si declina in vari modi ma è soprattutto ri­conducibile alla presunta « qualità » che sarebbe offerta – e questo nonostante l’impossibilità in cui si trovano i clienti nel poter riscontrare una distinzione nell’offerta dei servizi legali.

Qual è il motivo di questa resistenza? In parte, questo atteggiamento è un retaggio del passato, quando gli studi esercitavano una forza contrattuale notevole durante gli anni di forte crescita quando era possibile raggiunge­re fatturati e utili smisurati. La crescita è ora assai diminuita ma rimane inalterato un mo­dello di business su cui regge tutta la struttura dei compensi ai soci. In altre parole, la tariffa oraria consente maggiori guadagni e mancano incentivi per abbandonarla.

I cambiamenti solo limitati e superficiali in­trodotti dagli studi legali al loro interno non solo penalizzano gli stessi studi ma soprattut­to i loro clienti. Nell’assenza di maggiori effi­cienze dell’offerta, il beneficio per il cliente è di conseguenza minimizzato. Per le imprese i compensi alternativi sembrano garantire qua­si esclusivamente una programmazione della spesa – un bene, senza dubbio – ma il rispar­mio rimane contenuto. Per i clienti, questo esito sembra essere soddisfacente: quando la prevedibilità della spesa prevale sul risparmio, si è disposti ad accettare economie minori per assicurare un tetto massimo alla spesa legale durante un periodo di tempo definito.

In ultima analisi, quindi, sia le aziende che gli studi legali difficilmente hanno la possibili­tà di rendere gli accordi sui compensi alterna­tivi pienamente e reciprocamente vantaggiosi. Anzi, si protrae in realtà una situazione per cui i compensi alternativi fungono semplicemente da « sconti » alla tariffa oraria che continua ad essere la base e l’unità di misura per un approc­cio creativo al pricing, nonostante sia stata in gran parte superata dagli accordi alternativi. Se alla base degli accordi forfait vi è sempre e comunque la tariffa oraria, il motivo risiede nella difficoltà di creare un metro oggettivo al­ternativo. Parametrare il prezzo del lavoro alle ore significa semplificare e ridurre le varianti in gioco. E qui si torna al punto di partenza.

I dati raccolti da TopLegal dimostrano che l’aumento sensibile del numero di soci equity nei primi 25 studi legali per fatturato non ha frenato l’erosione degli utili, diminuiti del cir­ca 20 per cento negli ultimi cinque anni. Con la loro dipendenza della tariffa oraria, gli stu­di perdono l’opportunità di ridurre i costi ai clienti, privandosi così della possibilità di as­sicurarsi una maggiore efficienza interna per migliorare la propria redditività. Ma se i clienti vogliono ottenere risparmi significativi, do­vranno insistere in un certo modo sulla ripro­gettazione dei meccanismi interni degli studi (e forse anche aiutarli a farlo). Altrimenti, si continuerà a giocare una partita per cui se tal­volta uno guadagna, perde l’altro. Partita alla lunga insostenibile per tutti gli attori.


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