Nonostante condizioni floride per gli avvocati d’affari, verso la fine del 2007 due protagonisti del comparto legale italiano all’improvviso si scoprono in difficoltà. Secondo alcuni, i travagli annunciano addirittura un’inversione di tendenza che rovescia gli assetti del mercato e lascia intravedere nuove possibilità per chi, fino a quel momento, si è tenuto ai margini dei giochi.
A novembre arriva la prima scossa. Bonelli Erede Pappalardo registra il suo primo storico spin off con l’uscita di cinque soci: Andrea Novarese, Maria Cristina Storchi, Fabio Coppola, Tommaso Amirante e Simone Monesi. A catturare la squadra in fuga è lo studio statunitense, Latham & Watkins, il quale avvia con i nuovi ingressi la sua practice italiana. A distanza di qualche settimana arriva un colpo da primato per un altro colosso italiano. Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners subisce la più grande defezione della sua storia: oltre 90 avvocati che portano in dote una trentina di milioni di fatturato e la tradizione di un grande studio lanceranno a dicembre la newco legale denominata Legance.
Oltre allo scalpore, emergono due nuovi fenomeni dalle uscite in casa Bonelli e Gianni. Il primo riguarda la possibilità per alcuni soci di abbandonare gli studi italiani di prima fascia e sottrarre i clienti ai propri celebri fondatori. Già nel 2006 era accaduto un precedente con il primo grande distaccamento da Gianni e l’avvio di Labruna Mazziotti Segni, antefatto che ora appare come un punto di svolta.
Il secondo fenomeno parte da quello che viene ritenuto una doppia bocciatura del modello indipendente italiano che sembra ora giunto al suo crepuscolo. Bonelli derubrica la perdita dei suoi soci come «evento fisiologico», ma la squadra in uscita costituisce parte di quella seconda linea di talenti emergenti, una nuova generazione di soci senza di cui gli studi italiani non possono costruirsi un avvenire. I malumori di tali soci inducono a ipotizzare che a cedere sia niente di meno che l’eccezione italiana grazie a cui i protagonisti indigeni del mercato per un decennio abbiano resistito al vento della globalizzazione arrivato con l’ingresso degli studi internazionali. In altri Paesi europei, i maggiori studi statunitensi ed inglesi travolgono la concorrenza locale per stabilirsi come protagonisti del mercato; in Italia, grazie a un modello personalistico, il predominio del rainmaker e un capitalismo clientelare, gli indipendenti riescono a respingere le pressioni verso l’uniformità del mercato. Ma allontanato il pericolo straniero, sorgono debolezze all’interno di queste strutture che avvertono tutta la carenza organizzativa in termini di piani di successione.
Queste debolezze emergono anche per motivo dei cambiamenti avvenuti al panorama economico- finanziario italiano verso la metà degli anni 2000. La governance sciatta di un Parmalat e il protezionismo ad oltranza simboleggiato da società come Fiat ed istituzioni come Banca d’Italia, sono per fortuna alle spalle. L’economia italiana è sempre più consolidata e globalizzata. Questi fattori, insieme alla costante evoluzione delle direzioni legali e le remunerazioni in aumento dei collaboratori, rende più acuta la stretta della modernizzazione sugli studi italiani. E non è un caso se i protagonisti che subiscono il malcontento sono in quel momento alle prese con delicate riforme interne. A partire dal 2006 si inizia il processo di istituzionalizzazione di alcune insegne per via di nuovi patti associativi e di politiche di corporate governance – gestione spersonalizzata, democrazia interna, trasparenza sulle retribuzioni – volti anche a placare i soci più giovani in ribellione.
A guardare con interesse le peripezie e auspicandosi l’arrivo di nuovi equilibri sono gli studi internazionali i quali si interrogano sul futuro del mercato. In un’intervista all’indomani dell’impresa Bonelli, il managing partner della sede milanese di Latham, Michael Immordino, dichiara: «Noi abbiamo le nostre opinioni in merito alla capacità dei grandi studi legali italiani di compiere un salto generazionale, soprattutto considerando la qualità e la visione a lungo termine dei soci più giovani. Pensiamo che il mercato italiano alla fine prenderà la strada del mercato francese e tedesco. Ci saranno uno o due campioni nazionali e tanti studi internazionali. Potrebbero volerci dieci anni, cinque anni o due anni, ma è così che alla fine ne vediamo l’andamento». Come dire: se non sarà oggi, sarà domani; questione di tempo ma il processo è ineluttabile. Ciononostante, Immordino conclude con cautela: «Si finisce per pensare provvisoriamente che ci hai capito bene quando si vedono cose come la scissione di Gianni. Tuttavia, non abbiamo alcuna illusione che i grandi studi italiani non rimangono gli apripista nel mercato di oggi».
La prudenza è d’obbligo. A seguito dei tormenti all’interno degli studi italiani, la concorrenza internazionale è costretta a tentare un approccio nuovo. Sui rainmaker italiani e sul predominio dell’area societaria, gli studi stranieri ormai non puntano più. Questa partita è stata abbandonata a seguito del passaggio di Roberto Casati da Allen & Overy a Cleary Gottlieb nel 2004. Invece si scommette su una nuova generazione di soci per incidere sul mercato legale italiano. Emblematico in questo senso è il caso Linklaters che nel 2007 muove diversi passi – tutti a spese degli studi italiani – nella direzione di fondare una grande insegna fatta di giovani avvocati. La campagna italiana inizia con il futuro managing partner Andrea Arosio, insieme a Dario Longo, riusciti a costituire una task force in Pedersoli che aveva consentito allo studio italiano di macinare mandati e fatturato sul lato finance. Nel luglio del 2007, anche Giovanni Pedersoli passa dallo studio di famiglia alla law firm inglese per costruire la practice di corporate, mentre Claudia Parzani interrompe il sodalizio con Cba per rafforzare il capital markets. Li seguirà l’anno successivo Francesco Stella da Giliberti Pappalettera Triscornia e Associati.
Da parte sua, Latham intraprende la stessa scommessa a seguito di una inversione a U sulla sua strategia italiana. Dal 2002, quando aveva inaugurato la sede milanese, Latham si limitava agli aspetti di diritto statunitense delle operazioni straordinarie italiane a favore di clienti gestiti dalla sede londinese. Nell’occuparsi anche di diritto italiano Latham ha due obiettivi: sviluppare e rafforzare la propria presenza in Italia e dotarsi dell’anello mancante nella rete europea. A partire dal 2008, tornano i tempi duri soprattutto per gli studi di matrice anglosassone; eppure in Italia, Latham vive una stagione in controtendenza grazie all’attività in ambito mercati dei capitali, practice di punta che in quel momento sfrutta al meglio la stretta creditizia. La crisi fa bene allo studio: la mancanza di credito bancario fa lievitare la domanda per le obbligazioni e i prestiti ad alto rendimento con strutture di debito statunitense ed emesse da enti governativi e società private.
Si sa, però, che le trasformazioni del mercato legale italiano obbediscono a logiche lontane dalla razionalità, e che prevalgono opportunismi del momento radicati non nella ricerca di maggiori efficienze ma nel consolidamento di interessi e poteri personali. Assicurando così la costante possibilità di trasformare il fallimento in successo, nonché il rischio di ritrasformare il successo in fallimento. Non dovrebbe quindi sorprendere se alcuni vincitori del biennio 2007- 2008 saranno incapaci di incarnare il cambiamento che avevano annunciato. Altri, nel frattempo, spariti dal mercato torneranno come una nemesi, attori predestinati alla compensazione secondo una legge di armonia per cui il trionfo o la disfatta debbano essere compensati dai loro opposti.
Basta considerare gli osservati speciali del mercato italiano all’inizio del 2008 i quali, oltre a Latham e due altri studi internazionali, Linklaters e Bryan Cave, includono gli italiani di Legance e Lms. Di questo gruppo, solo Linklaters e Legance, entrambi consolidatosi dall’avvio, rimarranno compatti. Bryan Cave tenterà di far aderire un modello di business internazionale alla realtà locale italiana ma, dopo il passaggio di quasi tutta la squadra milanese a Grande Stevens, lo studio si ritira dal mercato italiano dopo quattro anni di vita. Lms si troverà eventualmente ad affrontare lo spin off dei propri soci fondatori. A metà del 2011 arriva il terremoto anche per Latham. Dopo quasi tre anni di assenza dall’Italia, White & Case riapre i battenti a Milano e attinge a Latham per guidare il suo rilancio portandosi via Immordino il cui portafoglio di mandati è stimato fino a una ventina di milioni di dollari annui. Un’ulteriore perdita significativa per Latham arriverà con l’uscita di Riccardo Agostinelli verso Gattai Minoli. Latham corteggia Gattai per tentare una fusione inversa e impedire l’uscita di Agostinelli ma la mossa non ha successo. Al posto di un rilancio di Latham sul versante societario, Gattai Minoli diventa Gattai Minoli Agostinelli.
Al contrario, i presunti perdenti della stagione delle scissioni torneranno alla ribalta, anche se nulla sarà uguale come prima. Gianni Origoni Grippo si ricompatterà in pochi anni dal terremoto Legance per ridiventare lo studio più numeroso d’Italia mentre Bonelli Erede Pappalardo arriverà ad arginare la minaccia diaspora attraverso la sottoscrizione di un patto economico del tutto inedito che li vincolerà all’associazione per tre anni. Chi perde vince ma – grazie alla stessa dialettica del rovesciamento – è altrettanto vero che vince chi perde. Gianni rimane sguarnito di seconde e terze linee confluite nei ranghi dei concorrenti mentre Bonelli è costretto a costruire il vincolo associativo non sulla base del consenso ma l’interesse economico dei suoi soci. Per tutti e due gli studi, il compito di ricreare la classe dirigente del futuro rimane un progetto ancora in divenire. L’aut-aut previsto da Immordino delineava un futuro che doveva per forza mettere in contrasto italiani e stranieri in un’evoluzione per selezione naturale. A prevalere invece è stato l’entropia di un sistema.
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