Succedeva: aprile 2004

LA LEGGE DELLE CONSEGUENZE NON INTENZIONALI

Esito di un tentativo di disinnescare le tensioni in Allen & Overy, l’addio del suo senior partner Roberto Casati nel 2004 influì sulle sorti di tre studi internazionali in Italia

03-04-2014

LA LEGGE DELLE CONSEGUENZE NON INTENZIONALI

In un mercato fluido e sempre più saturo di avvocati- agenti liberi, sono pochi i passaggi laterali che incidono davvero sulle sorti di un’insegna. Dieci anni fa, si consumò una rottura che segnò il destino di ben due studi internazionali in Italia e contribuì in gran parte a ridestare le fortune di un terzo.

Era l’aprile del 2004. Roberto Casati, già socio fondatore di Brosio Casati e senior partner di Allen & Overy (A&O), usciva clamorosamente dallo studio inglese. Sarebbero passati altri sette anni prima che arrivasse una defezione singola con conseguenze altrettanto significative. Già prima dell’addio di Casati i fermenti di mercato facevano presagire un possibile sconvolgimento anche in casa A&O. Quando, all’inizio del 2004, fu ventilata la partenza di Casati, già tre su quattro studi magic circle presenti in Italia si stavano trovando a fare i conti con una strategia in rovina. Due di questi, Clifford Chance e Freshfields, dovevano gestire il divorzio con i soci fondatori italiani; il terzo, Linklaters, dopo un lungo corteggiamento con l’alleato italiano, aveva incassato un rifiuto alla proposta di fusione e si trovava costretto a ripartire da capo nella Penisola.

Eppure, in un primo momento, sembrava che A&O potesse evitare un simile fallimento. Dopo l’integrazione con Brosio Casati nel 1998, lo studio annunciò il suo rebranding nel maggio del 2002, cancellando il nome italiano per trasformarsi in Allen & Overy. Con questa decisione, che Casati volle addirittura anticipare, si cercava di dare il segnale di una fusione compiuta con successo. Da lì a poco emersero tensioni, soprattutto all’interno della practice corporate di Milano.

Come i suoi omologhi internazionali, A&O fu costretto a gestire le difficoltà che emersero dall’incontro di due culture legali troppo diverse come quella inglese e italiana. Il modello aziendalista della City focalizzato sul servizio al cliente si scontrava con quello personalistico all’italiana incentrato sul rainmaker capace di fare piovere gli affari e per cui prevalevano i clienti del singolo avvocato. All’interno di A&O, Casati occupava una poltrona strategica in quanto membro del triunvirato a capo della practice globale di corporate. Per di più, e grazie a clienti di peso quali Fiat, Enel, Lehman e Deutsche Bank, si stimava il suo fatturato personale intorno al 60% sul totale del corporate italiano di A&O.
Ma ad accrescere le complessità fisiologiche del rapporto, ci pensarono gli stessi dirigenti di A&O.

Non per la prima volta le fortune di A&O in Italia furono congiunte alle gestione e alle decisioni strategiche provenienti dalla City. Per scongiurare i dissidi interni, da Londra si pensò bene di intervenire direttamente per ristrutturare la gestione italiana, imponendo la presenza del managing partner europeo Stephen Denyer, come managing partner in Italia; ruolo che condivise con Massimiliano Danusso, il socio della sede romana.
Al contempo, Casati venne designato come senior partner dello studio ma la nomina di Denyer e Danusso effettivamente portò alla sua emarginazione dal potere. Già insofferente per il moltiplicarsi degli strati di gestione che viveva come un limite alla sua attività di avvocato, Casati rigettò il nuovo corso di A&O per approdare in Cleary Gottlieb Steen & Hamilton.

La scelta di destinazione sorprese tanti osservatori. Cleary Gottlieb era da sempre (e rimane tuttora) ostile ai lateral hire. Inoltre, Casati rimane tra i pochi consigliori a scegliere di legarsi a uno studio internazionale (l’altro fu Bruno Gattai che approdò in Dewey Ballantine nel 2003). Col suo ingresso in Cleary, Casati si collocò da subito in cima al lockstep puro dello studio americano.
Il giornali all’epoca parlavano di una remunerazione intorno al milione di sterline all’anno, somma relativamente contenuta per un rainmaker italiano.
L’arrivo di Casati in Cleary avvenne in un momento di transizione per il mercato italiano.

A partire dalla metà degli anni Duemila, iniziava un’intensa seppur breve stagione di mega-fusioni. Da lì a poco sarebbe iniziata la normalizzazione con il crac di Lehman Brothers nel 2008. Con la sua nuova squadra, Casati seguì Finmeccanica per l’acquisizione di AgustaWestland da Gkn per 1 miliardo di euro. Successivamente, fu protagonista di due importanti integrazioni transfrontaliere nel settore bancario. Affiancò gli olandesi Abn Amro nell’acquisizione da 7,5 miliardi di euro di Banca Antonveneta, la prima banca italiana a finire  sotto il controllo straniero. In seguito fu chiamato ad assistere UniCredit nell’acquisizione della tedesca Hypovereinsbank per 15,4 miliardi di euro.

Per A&O, le perdite non si limitarono alla sola uscita di Casati. Sperando, con una nuova governance, di porre fine alla lotta al potere, lo studio innescò una spirale di defezioni. Paradossalmente, la squadra a farne da subito le spese non fu il corporate bensì il banking, practice di punta in cui A&O poteva vantare figure di assoluto spicco. I primi effetti di questa crisi si fecero sentire con la partenza di Andrea Arosio e Dario Longo ad inizio 2005, due addii significativi perché fino ad allora i giovani talenti non abbandonavano gli studi internazionali. Furono seguiti da Franco Vigliano nel 2006, Paolo Castorino e Davide Mencacci (entrambi nel 2007), e infine da Catia Tomasetti (2010).
Le perdite, pur con qualche ritardo, si allargarono inevitabilmente ai soci del dipartimento corporate, che fu progressivamente ridimensionato. Tra i primi a separarsi dall’insegna fu Carlo Pavesio nel 2006. A seguire toccò a Paolo Cerina e Paolo Esposito nel 2008, a cui si aggiunsero Lorenzo Parola e Mario Colombatto (2009) e Roberto Donnini (2011). A differenza del banking, settore in cui A&O è tornato ad occupare una posizione di rilievo per le operazioni di debito, lo studio rinunciò alla velleità di primato nel corporate abbandonando l’ambizione di cercare un successore a Casati.

Con il passaggio di Casati, giunse al capolinea una strategia decennale su cui gli studi internazionali tentarono di costruire il proprio sviluppo in Italia. Dopo Casati, finì la caccia al rainmaker italiano per arrivare ai grandi clienti corporate, mentre la supremazia delle grandi insegne italiane nell’ambito societario fu assicurata. Sul fronte banking, la diaspora di A&O garantì all’intero magic circle il predominio nel finance italiano grazie al ricongiungimento di Arosio, Longo e Mencacci in Linklaters.


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