di Marco Michael Di Palma
Il fallimento di Lehman Brothers dieci anni fa mette in ginocchio l’economia globale “finanziarizzata” generando effetti capovolgenti non solo per l’economia, ma anche per il diritto e la politica. La lunga crisi innescata la mattina del 15 settembre 2008 fa esplodere la regolamentazione finanziaria. Arrivano successivamente i tassi d’interesse vicini allo zero, lo spauracchio dello spread (quando la bufera si sposta sugli indebitamenti sovrani) e, infine, l’ascesa del populismo.
In Italia, la crisi finanziaria colpisce per primi i professionisti che assistono le banche, in sofferenza per la stretta del credito, e gli studi abituati alle maxi operazioni straordinarie. Man mano che il disfacimento si estende, diventando recessione prima e depressione economica poi, il ridimensionamento del comparto legale diventa inesorabilmente trasversale.
Secondo i dati del Centro Studi TopLegal, i primi 25 studi in Italia per ricavi hanno registrato una contrazione delle compagini di quasi un quarto, precipitando da un totale di 3.544 a 2.717 professionisti tra il 2008 e il 2013. Il prezzo più caro lo pagano i giovani collaboratori insieme al personale di supporto, in quanto principali costi fissi da tagliare. Con l’accorciamento della leva media tra socio e collaboratore, scesa da 1:6 a 1:4, si ridefinisce la struttura degli studi.
Per gli studi legali arriva al capolinea la crescita consistente e ininterrotta dei ricavi. I primi anni post-crisi fanno registrare un rallentamento marcato, poi uno stallo. Sempre secondo i dati del Centro Studi TopLegal, la crescita media annuale del fatturato dei primi 25 studi legali non supera lo 0,5% nel 2013 e si appiattisce allo 0% nel 2014.
Il mercato in flessione mette a dura prova gli assetti interni, intensificando le spinte individualistiche per colmare il vuoto di certezze. Si pensa di superare quelli che sono considerati ormai i limiti della collegialità con l’avvio delle proprie boutique iper specializzate in aree del diritto di punta (giuslavoro, amministrativo, contenzioso, fiscale e tributario). Il 2011 sarà l’anno record delle scissioni e degli spin off, ma c’è un limite alla capacità del mercato ad assorbire nuove insegne.
Mentre vengono messi a nudo i limiti degli assetti interni degli studi legali e la loro dipendenza dai grandi portatori di affari, per le aziende gli effetti della crisi sono devastanti. Tra il 2009 e il 2016 falliscono quasi 100mila imprese. Tra le direzioni legali si inizia a inseguire una politica di espansione finalizzata all’autogestione e all’efficienza. Emersa nella contingenza, questa politica porterà a un mutamento strutturale e permanente del mercato dopo cui nulla sarà più uguale.
Le società in difficoltà non hanno più tolleranza per la consulenza esterna sopravalutata. Si esige un’offerta distintiva a maggiore valore aggiunto e vengono imposti prezzi contenuti. Inizia così la forte normalizzazione del comparto legale che fa scoppiare la bolla degli avvocati d’affari.
L’ascesa delle direzioni legali ha come riflesso il declassamento della consulenza esterna standardizzata e ora ritenuta “commodity” (il termine viene sdoganato per la prima da TopLegal durante un convegno nel 2012). Colpa anche di una certa impreparazione, arrivano i tagli al budget legali ritenuti indiscriminati dai liberi professionisti. Viene a imporsi così una partita a somma zero dal quale il mercato italiano non è ancora uscito.
La rivoluzione si dipana con una logica causale impietosa. Il calo improvviso dei mandati aumenta il potere contrattuale dei clienti e la concorrenza degli studi costretti a ridurre le parcelle. I tagli alla spesa legale e la diffusione delle formule forfettarie fanno saltare il modello di affari basato sulla tariffa oraria. I costi della produzione si spostano a carico dello studio il quale, a sua volta, è costretto a tagliare la propria squadra.
Da allora, gli studi legali hanno riconquistato l’equilibrio ma le ripercussioni del disastro Lehman hanno riguardato solo in minima parte i numeri e la salute dei bilanci. La vera rivoluzione è stata quella dei valori sorta da un capovolgimento del potere tra domanda e offerta.