Il tema dell’esatta individuazione della natura giuridica del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ha un peso non marginale nelle scelte da compiere, nell’organizzazione dell’impresa, sul versante della sicurezza e salute sul luogo di lavoro.
Ed è assai più rilevante la “categorizzazione”, tenuto conto della responsabilità penale che deriva per colui che assume per legge o di fatto una posizione di garanzia sul bene giuridico oggetto di tutela.
La matrice normativa dell’assunzione di detta posizione si rinviene nell’articolo 5 comma 1 lettera a) del D.lgs. 231/01 ed essa si dirige sia verso la persona fisica che verso l’ente. La società è responsabile per i reati commessi “da persone che rivestono funzioni di rappresentanza amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione o il controllo dello stesso”.
È pacifico in giurisprudenza che lo RSPP sia un ausiliario, un consulente del datore di lavoro. Sul tema ha una funzione “didascalica “la sentenza n. 38343 del 2014 a Sezioni Unite della Cassazione Penale “Esphenhan” ed altri. Secondo i principi di personalità e colpevolezza in tema di responsabilità penale è indubbio che la qualità della persona fisica, autore del fatto reato importa una diversa “risalita” della responsabilità verso l’ente, a seconda che autore sia uno dei soggetti individuati appunto nel prima richiamato art. 5 comma 1 lett. a) del D.lgs. 231 /01 o una delle persone destinatarie dei loro poteri di direzione e controllo. E, dunque, l’ente nel caso in cui il reato sia commesso dai primi non è esonerato per il solo fatto dell’adozione di un efficace modello di gestione del rischio. È invece dispensato se il sistema di prevenzione è adeguatamente strutturato e la violazione corrisponde appunto ad un’inosservanza degli obblighi che ne derivano. La colpa da organizzazione ha così una sua esatta collocazione all’interno dei principi costituzionali e convenzionali in materia.
La delega al RSPP non importa la sua sussunzione in diritto nei soggetti che hanno rappresentanza, direzione; egli, per quanto ampia sia l’autonomia decisionale e la connessa autonomia finanziaria, non è un soggetto “apicale”. Aiuta quindi consiglia ma non sostituisce il datore di lavoro; non si attrae nella fattispecie dell’articolo 5 comma 1 lettera a) del D.lgs. 231/01.
Né come ovvio sulla base di una delega nel circoscritto ambito di tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, per quanta autonomia organizzativa possa implicare, resta in quel definito perimetro e per tale ragione non potrà mai assumere la qualità di datore di lavoro.
Ove si volesse pervenire ad un risultato diverso, occorrerebbe ricercare i marker di esercizio di fatto di un potere di gestione imprenditoriale “schermato” dalla contemporanea presenza di un legale rappresentante “testa di legno”. Ma si deve pur sempre trattare, come detto, di azioni imprenditoriali non collocabili nell’ambito della delega per la specifica cautela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro.
In definitiva quindi la corretta organizzazione dell’impresa importa una delega quanto più analitica possibile sulle funzioni delegate e sullo scopo che in concreto persegue. Da essa deriva l’individuazione in capo allo RSPP di una qualità di consulente del legale rappresentante e datore di lavoro. L’accertamento in fatto può smentire in sede penale questo ruolo ma il documento in sé e la connessa autonomia di poteri e di spesa non autorizza alcuna sussunzione della categoria dell’articolo 5 comma 1 lettera a) del D.lgs. 231 /01.
A cura di Avvocato Lelio della Pietra
Commento avv. della Pietra sentenza n. 34943_2022 Ottobre 22.pdf
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