Commento

La quadra impossibile

Le rivendicazioni degli associate mettono in discussione il modello stesso di studio legale

19-07-2022

La quadra impossibile

 

di Marco Michael Di Palma

L’ultima indagine sugli associate svolta dal Centro Studi TopLegal (che sarà pubblicata su TopLegal Review, nr. agosto/settembre 2022) restituisce un quadro più rassicurante della vita professionale nei primari studi legali. Nonostante sia diminuito il malcontento, tuttavia, ci sono pochi motivi per festeggiare. Semmai, i rischi per gli studi legali aumentano. La più ampia rilevazione dell’opinione dei giovani avvocati mai realizzata in Italia indica che le aspettative e le delusioni rimangono alte. Mentre l’insoddisfazione continua a cristallizzarsi attorno una cultura del lavoro ritenuta arretrata e controproducente. Si accusa, in particolare, frenesia e pessimo bilanciamento vita-lavoro, disorganizzazione, gestione non trasparente, visione a breve termine, criteri di avanzamento poco meritocratici e assenza di coinvolgimento nelle decisioni dello studio. Si salvano, ma non sempre, il compenso, lo stimolo intellettuale e il rilievo delle pratiche.

I problemi appaiono più acuti negli ambienti evoluti. Più lo studio è strutturato, più emergono con nitidezza le diversità e gli attriti tra collaboratori e soci. Sullo sfondo di uno studio legale apparentemente moderno, staccano di più gli atteggiamenti anacronistici dei suoi dirigenti e gli approcci organizzativi non al passo con i tempi. Poiché collaboratori e soci vivono realtà diverse, hanno inevitabilmente valutazioni contrastanti sulla professione legale e sulle sue prospettive. Gli associate lamentano che non lavorano per sé stessi ma per i soci, i quali accentrano incarichi, rapporti, clienti, incassi e successi. Non solo. Di fronte a prospettive limitate, vengono richiesti livelli di fatturato ritenuti incompatibili con la saturazione di mercato. Mentre i carichi di lavoro rendono difficile, per non dire impossibile, farsi i propri clienti per diventare socio. 

La disparità fondata sul potere aiuta a mantenere e intensificare un divario generazionale che rende complicate le relazioni interne, condizionando il valore percepito della professione. Questo divario trova la sua massima espressione nel diverso modo di concepire la realizzazione della persona. Se le recenti crisi economiche, politiche e sanitarie hanno capovolto la visione che i giovani hanno maturato del lavoro, sembra che i soci più anziani concepiscano solo una vita incentrata sull’attività professionale. Coltivare altre passioni e variare i propri obiettivi sono considerati una perdita di tempo. Dal canto loro, molti senior continuano a essere convinti che i giovani siano disposti a seguire il loro modello. La maggioranza degli associate sondati, invece, non si riconosce nell’interpretazione della professione data dai soci. Il motivo è semplice: il modo in cui i soci intendono la professione non esiste più. Venendo meno ogni velleità e mistificazione corporativa, i giovani riportano la professione legale alle sue vere dimensioni e proporzioni. Lo studio viene quindi equiparato all’impresa e l’attività professionale all’attività di consulenza, almeno nella migliore delle ipotesi. La distinzione è d’obbligo perché le attività rutinarie e la posizione fortemente subordinata alla volontà dei soci avrebbero di per sé poco di professionalizzante.

Raccogliendo le esigenze e schematizzandole in un’ipotesi di studio legale futuro, si potrebbero individuare quattro riforme da attuare. Primo, riorganizzare il lavoro con una maggiore ripartizione dei carichi su più persone e l’introduzione di sistemi di rotazione. Secondo, cambiare politica per la gestione dei clienti per evitare l’asservimento a richieste reputate irragionevoli e senza limiti. Terzo, una formazione puntuale per preparare al passaggio da collaboratore senior a socio e lo sviluppo della clientela. Infine, una migliore conduzione dello studio basato su principi e prassi vicini alla realtà aziendale. Criteri meritocratici e trasparenti. Uniformità nel trattamento economico tra i pari fascia. Sensibilità verso la comunicazione esterna per promuovere i risultati ottenuti da tutti, non solo dai lead partner. Infine, collegialità contro individualismi che esasperano la concorrenza fra soci, facendo venire meno le relazioni con clienti originati da altri soci, anche quando questi ultimi appartengono a practice diverse.

Vale la pena riflettere su questo programma ideale. Per affermarsi, tale programma dovrebbe inevitabilmente far venire meno le fondamenta dello studio legale associato così come lo conosciamo. In realtà, le criticità riportate dai giovani avvocati sono tutte riconducibili al modello imprenditoriale dell’associazione professionale, quel punto archimediano dello studio legale che sia chiama "leva". La leva tra collaboratori e soci determina che chi sta in cima alla piramide beneficia del lavoro di chi la costruisce dal basso. I presupposti essenziali di questo modello sono in crisi. Lo hanno reso insostenibile la politica del taglio ai costi fissi, le partnership blindate e soprattutto la minore disponibilità degli associate a sacrificarsi nel medio termine per la possibilità di diventare socio. In altre parole, servirebbe un nuovo modello di studio.

 


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