LA RAGNATELA E LA TRASPARENZA

30-04-2015

LA RAGNATELA E LA TRASPARENZA


Mentre le imprese private italiane stanno compiendo sempre più sforzi per avvicinarsi agli standard internazionali di trasparenza, per i loro consulenti legali il deficit di questo valore è spesso evidente. Per questo motivo, si allontana l’auspicata e progressiva moralizzazione degli avvocati d’affari da parte dei loro clienti che dovrebbe condurre a un nuovo modello di business e di relazioni sociali finalizzato a fondare lo studio-istituzione.

Da sempre i fatturati dei maggiori studi legali sono considerati informazioni inaccessibili, ma la mancanza di trasparenza si registra negli ambiti più inaspettati. Persino un chiarimento rispetto alla carica degli spostamenti laterali dei soci, anche quando questo dato non fosse destinato alla pubblicazione, può provocare un rifiuto secco. Troppi studi si limitano a segnalare un’approssimazione delle categorie interne e per alcune insegne i livelli di seniority diversi rimangono custoditi come segreti industriali.

In qualsiasi altro ambito sarebbe bizzarro che non venissero resi noti i proprietari e gestori di un’attività economica. Perché tanta delicatezza? Perché da questo dato solo apparentemente di poca rilevanza dipende molto più di quanto non sembrerebbe a prima vista.

In uno studio legale tutto è collegato: come una ragnatela, non si può toccare un filo senza che questo non ne smuova un altro. L’opacità di un meccanismo interno ne implica automaticamente altri. I soci equity rappresentano il capitale intellettuale e monetario di uno studio e, come patrimonio di base, ogni disclosure che li riguarda non può che toccare da vicino l’essenza organizzativa e finanziaria dell’associazione.

Trattare per esempio come riservato il numero di soci equity allontana la possibilità di risalire alla misurazione della profittabilità di uno studio, come avviene con il parametro del profit per equity partner (Pep). Il guadagno dei soci equity a sua volta è significativo perché rappresenta il ritorno sugli investimenti e, in quanto dato comparabile tra più studi, può determinare gli ingressi e le fuoriuscite degli stessi soci. Ma non finisce qui. In questi anni, l’opacità sugli equity ha accompagnato la forte normalizzazione del mercato dei servizi legali, servendo a nascondere le operazioni di «de-equitizzaazione» e di ridimensionamento delle compagini con le quali alcuni studi hanno dovuto realizzare pesanti ristrutturazioni interne.

Al di là delle riservatezza sulle compagini e i budget, la questione della mancata trasparenza degli studi legali parte da lontano ed è stata espressione permanente di quell’asimmetria delle informazioni nel rapporto con i clienti. E questo con due conseguenze che hanno danneggiato sia clienti che studi.  Si è sempre rivelato molto difficile per i clienti formulare in anticipo una valutazione delle prestazioni dell’avvocato esterno perché il suo mandato spesso richiede conoscenze e capacità specializzate che i clienti stessi non avevano. Questa stessa difficoltà ha contribuito a creare un baluardo contro ogni possibile effetto dirompente capace di apportare un cambiamento radicale nel modo in cui gli studi legali hanno portato avanti il business legale, ostacolando il flusso di ricchezza e il maggiore valore della consulenza raggiunti attraverso la riduzione delle inefficienze.

Ora come mai, migliorare la reputazione e l’immagine dello studio, nonché aumentare la fiducia da parte dei clienti, sono obiettivi da conquistare. Anche avvantaggiandosi della mancanza di trasparenza dei propri concorrenti. 


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