L'arbitrato internazionale non mostra segni di cedimento. Lo dimostra il fatto che l'International Chamber of Commerce di Parigi lo scorso anno ha registrato il numero di casi più alto della sua storia, secondo solo ai risultati raggiunti nel 1993. Un incremento si è avuto anche sul fronte economico: il valore degli 801 procedimenti ha raggiunto quota 286 miliardi di euro. Ma a fronte di queste importanti cifre, non sempre l'arbitrato si rivela la soluzione più efficiente per una rapida risoluzione delle dispute.
Se ne parlerà durante l’incontro “International Arbitration: Achieving Efficiency” organizzato da Curtis Mallet-Prévost Colt & Mosle il prossimo 9 giugno, presso la sede di Milano dello studio.
Tra i relatori presenti all'incontro anche Nicola Verdicchio (in foto), chief legal officer di Pirelli, che approfondirà il tema dal punto di vista delle aziende. «Più che di efficienza io parlerei di inefficienza dell'arbitrato», chiosa il legal officer. «Se si dovesse trovare una reclame questa sarebbe "basta con la teoria". Gli arbitrati devono servire a ridurre i tempi, se si perde questa caratteristica viene meno anche l'utilità per le aziende di ricorrere a questo tipo di procedure. Fior fior di esperti si dilettano a parlare dell'arbitrato, ma quasi mai ci si cala nei panni di chi ne ha bisogno: le società».
Un commento lapidario che dà voce all'opinione secondo la quale un arbitrato non può protrarsi per un tempo comparabile a quello di un processo ordinario. A fronte di un costo superiore, l'attesa del clienti è di ricevere un giudizio nel più breve tempo possibile. A volte, invece, possono essere attivati dei metodi che portano ad allungare i tempi.
Di positivo, conclude Verdicchio, rimane il fatto che «L'arbitrato funge comunque da ottimo deterrente. La controparte che sa di poter essere trascinata in arbitrato ci pensa bene prima di andare in lite». Nel futuro può esserci solo un obiettivo dunque: «La ricerca dell'efficienza dell'arbitrato».
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