Il D.lgs. 209/2023 (“Applicazione delle modifiche fiscali riguardanti la tassazione internazionale”), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2023, ha apportato rilevanti modifiche in materia di residenza fiscale delle persone fisiche, con effetto a partire dal 1° Gennaio 2024.
Come evidenziato nella Relazione Illustrativa del Senato e della Camera dei Deputati, la riforma si prefigge l’obiettivo di adeguare il sistema tributario nazionale alle più recenti raccomandazioni OCSE ed europee in tema di best practices nella fiscalità internazionale.
In particolare, è stato modificato l'art. 2, comma secondo TUIR, individuando nuovi criteri di determinazione della residenza fiscale:
“2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.
Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.”
1. La nuova nozione di domicilio fiscale
La principale novità è rappresentata dal superamento del concetto codicistico di domicilio, nel segno di una netta cesura con il precedente impianto normativo. Se la disposizione previgente rinviava infatti al domicilio inteso come sede principale degli affari e interessi della persona (art. 43 Codice Civile), il tenore letterale della novella sembrerebbe ora fare esclusivo riferimento alla sfera degli interessi relazionali e familiari.
In altri termini, la modifica ha eliminato il criterio di collegamento con il luogo in cui si sviluppano le relazioni economiche del soggetto passivo. La norma in esame, in attesa di un consolidamento interpretativo in merito, parrebbe aprire interessanti ed inediti scenari riguardo alla pianificazione fiscale del contribuente.
Difatti, appaiono astrattamente configurabili ipotesi nelle quali il soggetto passivo, pur avendo il centro dei propri interessi economici nel territorio dello Stato, non possa comunque essere considerato fiscalmente residente in Italia (qualora, ovviamente, non soddisfi nessun altro criterio alternativo previsto dall'art. 2, comma secondo TUIR). Al contempo e a parità di condizioni, è però altresì possibile prospettare la paradossale ipotesi per cui il contribuente, trasferitosi stabilmente all'estero per motivi lavorativi, possa essere considerato residente fiscale in Italia solo in quanto ivi avente il centro dei propri interessi affettivi e familiari.
In ogni caso, nonostante l'infelice formulazione della norma da parte del legislatore delegato, è comunque ragionevole ritenere che la determinazione del domicilio fiscale non potrà prescindere totalmente dalla valutazione degli interessi economici. La norma sembra infatti ispirarsi al criterio degli interessi vitali di cui all'art. 4 del Modello OCSE per le Convenzioni contro le doppie imposizioni, il quale, come è noto, ricomprende pacificamente i rapporti economici del soggetto passivo d’imposta.
Si apre quindi lo scenario di una nuova querelle interpretativa, ove si intende raggiungere una nozione univoca e determinata del concetto di “relazioni personali”, le quali devono necessariamente concorrere con quelle familiari per via del radicamento del domicilio ex art. 2, comma secondo TUIR.
Fermo restando che al momento non vi è ancora una giurisprudenza consolidata sul tema in argomento, il contesto sovranazionale dal quale la disposizione de qua trae origine depone a favore di far coincidere gli interessi personali con quelli patrimoniali; detta interpretazione appare altresì la più conforme al principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.
Rimane invece invariato il criterio della residenza fiscale ai sensi del Codice Civile.
2. La presenza fisica nel territorio dello Stato
La novella ha introdotto il criterio alternativo della presenza fisica nel territorio dello Stato, destinato ad aprire accesi dibattiti tra gli operatori del settore.
Difatti, a fronte dei coesistenti requisiti di residenza e domicilio per la maggior parte del periodo d’imposta, non è affatto agevole comprendere quale sia la ratio della norma in commento. Tale criterio, invero, non compare nemmeno nel regolamento OCSE di risoluzione dei conflitti in caso di doppia residenza (cd. tie breaker rules). Del resto, la stessa Relazione Illustrativa è laconica sul punto, limitandosi ad affermare che il requisito consente di ampliare la platea dei contribuenti (presumibilmente - qui si ipotizza - con riferimento a soggetti apolidi ovvero remote workers).
D'altro lato, potremmo trovarci dinanzi ad una seconda svista del legislatore, posto che non trova formulazione un elemento soggettivo-volitivo in grado di scongiurare alcuni casi limite, quantomeno in astratto. Si pensi, ad esempio, al soggetto costretto contro la propria volontà a rimanere nel territorio dello Stato ovvero ad ipotetici casi di prolungato ricovero ospedaliero e conseguente terapia riabilitativa.
Allo stato, peraltro, si può presumere che il legislatore, attraverso il criterio della “presenza fisica”, abbia voluto sradicare la residenza fiscale dai canoni civilistici, rendendo assolutamente irrilevante il menzionato requisito soggettivo: il fatto che un soggetto si trovi - anche involontariamente – nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a renderlo contribuente italiano, in virtù del fatto che lo stesso avrebbe comunque diritto (potenzialmente) a tutti i servizi dello Stato, per i quali è tenuto a contribuire ex art. 53 Cost.
A parere di chi scrive, è possibile offrire una interpretazione alternativa e più coerente con il sistema normativo di riferimento, che affianchi - oltre all’elemento oggettivo della presenza fisica - anche il requisito soggettivo della volontà di stabilire in Italia la propria residenza (dimora abituale) o ivi eleggere domicilio (il centro dei propri affari ed interessi).
Al riguardo, si noti che si tratta inequivocabilmente di un tertium genus rispetto alle fattispecie di residenza e domicilio, atteso che la mera presenza nel territorio dello Stato postula un fatto giuridico completamente inedito nel nostro sistema tributario. Pertanto, si ravvisa la possibilità di interpretare estensivamente la norma in base ai principi generali dell’ordinamento: secondo la tesi qui prospettata, dunque, in conformità al prevalente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità riguardo alla residenza ed al domicilio ai sensi del Codice Civile.
Precisamente, trattasi del principio consolidato per cui tanto il domicilio quanto la residenza sono caratterizzati da due elementi, i quali devono concorrere cumulativamente: a) l’elemento oggettivo, ossia un apprezzabile arco temporale in cui un dato soggetto si stabilisce in un determinato luogo; b) l’elemento soggettivo, ossia la volontà ovvero l’intenzione del soggetto medesimo di eleggere quel determinato luogo quale sua dimora abituale oppure quale centro principale dei propri affari ed interessi, (in tal senso, ex plurimis, cfr. Comm. Trib. Reg. Milano, sez. XIX, 21/02/2022, n. 584; Tribunale di Rieti, sez. lav., 14/10/2021, n. 269; Cass. civile, sez. I, 15/02/2021, n. 3841; Cass. civile, sez. VI, 28/05/2018, n. 13241).
In questo senso, alla luce dell’incertezza interpretativa sul punto, appare in ogni caso auspicabile un nuovo intervento del legislatore, anche solo in via di interpretazione autentica.
3. Presunzione relativa di residenza in base all’iscrizione anagrafica e frazionamento orario
Un’altra novità di assoluto rilievo è l’eliminazione della presunzione assoluta di residenza fiscale italiana dei contribuenti stabiliti all’estero ma non iscritti al registro AIRE. Si tratta senz’altro di una modifica da accogliere con favore, in quanto viene finalmente consentita la prova contraria al contribuente non iscritto all’AIRE circa i requisiti per l’imponibilità dei redditi in Italia.
Pertanto, viene definitivamente superata la discutibile prassi dell’Agenzia delle Entrate per cui venivano assoggettati ad imposta i redditi dei contribuenti che in concreto non avevano risieduto ovvero eletto domicilio nel territorio dello Stato, avendo stabilito il centro dei propri interessi personali ed economici all’estero, fermo restando la possibilità di ricorrere alle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
In definitiva, quindi, dal 1° gennaio 2024, anche al cittadino italiano ancora iscritto presso l’anagrafe della popolazione residente è consentito fornire la prova dell’effettiva residenza estera, onde sottrarsi legittimamente ai relativi obblighi impositivi in Italia. Ciò, tra l’altro, in conformità all’art. 4 del Modello OCSE della Convenzione contro le doppie imposizioni, che predilige il dato sostanziale, rispetto a quello meramente formale.
È stato altresì introdotto il frazionamento orario del computo dei giorni trascorsi in Italia, analogamente a quanto già previsto in precedenza per i giorni trascorsi all’estero. I lavoratori transfrontalieri sono dunque avvisati: fatto salvo il caso della Svizzera (con la quale l’Italia ha in essere una Convenzione contro le doppie imposizioni che contempla il frazionamento dell’anno d’imposta, cd. split year), anche le ore di permanenza in Italia saranno cruciali al fine di determinare la residenza fiscale lato sensu.
In conclusione, è possibile affermare che la riforma in commento ha evidenziato due aspetti critici dell’attuale sistema: da un lato le difficoltà del nostro ordinamento ad adeguarsi alle mutevoli esigenze della fiscalità internazionale, nell’ottica del perseguimento di una progressiva armonizzazione fiscale (global taxation); dall’altro, l’impellente necessità di predisporre norme di coordinamento interno che garantiscano regole chiare e precise, in grado di tutelare le ragioni tanto del Fisco italiano quanto del singolo contribuente.
Avv. Giorgio Bianco
Studio Legale Associato Giambrone & Partners
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