Nel nuovo numero di TopLegal Review pubblichiamo per la prima volta la classifica dei professionisti al di sotto dei 50 anni che, secondo le nostre valutazioni, costituiscono i nuovi leader del mercato legale italiano. I 40 avvocati sono stati valutati in base a cinque parametri fondamentali: capacità direttiva; network; origination; visione strategica; innovazione. Anche a rischio di reiterazione, sottolineiamo che la classifica si ispira a un modello di interesse di sistema e non individuale, coerentemente con l’attenzione continuativa dimostrata da questa rivista per i temi del cambio generazionale, della sostenibilità e dell’istituzionalizzazione degli studi legali.
In quest’ottica bisogna subito puntualizzare che, a differenza di quanto accade nel mondo aziendale, non esistono per gli studi legali vere e proprie “scuole” di leadership. Detto questo, e grazie alla loro impostazione maggiormente aziendalistica, le law firm internazionali riescono di più a favorire uno sviluppo professionale a tutto tondo. Per questo motivo oltre il 40% dei nuovi leader individuati nella classifica provengono da insegne inglesi e statunitensi. Tuttavia, gli studi legali sono solitamente strutture decentralizzate poco avvezze alla formazione di una classe dirigente. In passato, la cerchia dei protagonisti si è definita escludendo alcuni aspetti, come la gestione, ritenuti inessenziali (per non dire estranei) all’attività professionale. Poiché il prestigio e i guadagni economici sono stati riconosciuti piuttosto per la capacità di generare mandati, l’istinto naturale degli avvocati d’affari è da sempre quello di considerare come unico valore assoluto l’attività fatturabile e l’ampliamento della propria clientela. Tali valori dominano anche la classifica TopLegal: l’attributo più diffuso fra i “40 under 50” è la capacità di network (eccelle il 92,5%), seguìto da quella di origination (88,5%). Il margine di crescita per la nuova generazione di leader si intravede nella presenza cospicua di soci fondatori e managing partner di cui solo il 25% eccelle per capacità direttiva. A questa generazione spetta la sfida di colmare il divario tra il rivestire cariche gestionali e imprenditoriali importanti e la notorietà dovuta ai risultati conseguiti per promuovere la crescita economica e istituzionale dell’insegna.
Nelle pieghe della classifica emergono come meno diffuse anche le capacità di intuire i mutamenti del mercato (la visione strategica) nonché il lavoro volto a modernizzare l’approccio e il servizio al cliente (l’innovazione). Ma la nota più dolente rimane lo squilibrio marcato di genere. La presenza femminile, sottorappresentata nelle partnership e spesso lontana dai vertici degli studi, rappresenta solo il 15% della classifica con un rapporto di donne a uomini pari a 1:5,6. Dato pesante perché indica un’arretratezza di vecchia data che si riproduce e si prolunga nella nuova leadership del settore legale.
Ciononostante, il comparto dei business lawyer italiani sta attraversando un momento crepuscolare con il tramontare di alcune vecchie certezze e il sorgerne di nuove. Il destino di uno studio una volta dipendeva dalle capacità tecniche dei suoi avvocati o dal singolo condottiero carismatico che reggeva sulle proprie spalle l’intero destino dell’associazione. Non più. La sostenibilità delle insegne legali esige la creazione di una cultura forte condivisa tra professionisti, capaci di condividere le responsabilità di leadership ma anche desiderosi di aprirsi al cambiamento, dentro e fuori il perimetro dello studio, per coglierne tutte le opportunità.