Somministrazione fraudolenta

La somministrazione nell’occhio del ciclone

TopLegal ha chiesto a Ichino Brugnatelli e Lablaw cosa si nasconde dietro la scelta del legislatore di reintrodurre il reato di somministrazione fraudolenta

25-03-2019

La somministrazione nell’occhio del ciclone


Il D.L. n. 87/2018, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese, è entrato in vigore lo scorso 12 agosto. Tra le modifiche apportate con tale decreto vi è la reintroduzione del reato di somministrazione fraudolenta, precedentemente abrogato dal Jobs Act. La precedente abrogazione era dovuta a un riscontro praticamente nullo del reato nella prassi. 

Quali sono dunque i motivi che hanno spinto il legislatore a dare nuovamente valore penale a questa fattispecie? E soprattutto, quali saranno le conseguenze di questa reintroduzione? TopLegal lo ha domandato a due esperti del settore: Luca Daffra di Ichino Brugnatelli e Francesco Rotondi di Lablaw.

Secondo Francesco Rotondi (in foto a destra) il motivo che ha spinto il legislatore a reintrodurre il reato di somministrazione fraudolenta è principalmente politico. «Il governo, fin dal suo insediamento, ha voluto mandare un segnale di riposizionamento delle persone al centro dell’interesse politico e dei lavoratori al centro del diritto del lavoro. Questo è il risultato di un principio che si traduce in una norma, tralasciando però il vero nemico della dignità».

Luca Daffra (in foto a sinistra) rileva che l’intento del governo è combattere il precariato, ma «intendendo di fatto con questo - con una certa dose di pressapochismo - tutte le forme contrattuali diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, stipulato direttamente con il datore di lavoro utilizzatore della prestazione lavorativa».

Le perplessità
Cosa prevede la norma nello specifico? La norma stabilisce che, ferme restando le sanzioni previste dalla riforma Biagi, il reato si verifica laddove la somministrazione di lavoro sia attuata con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate al lavoratore. In tal caso, sono puniti sia il somministratore che l'utilizzatore con un'ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e per ciascun giorno di somministrazione, senza limiti di importo minimi o massimi. Sia il dolo specifico richiesto dalla norma che l’assenza di limiti alla sanzione hanno sollevato i primi dubbi negli operatori del settore.
 
Infatti, giova ricordare che l’attuale formulazione della norma è identica alla precedente abrogata, la quale, negli anni di vigenza, ha dato prova di scarsa efficacia. E il motivo segnalato da entrambi gli intervistati è proprio la difficoltà di provare il dolo specifico.

Ulteriori indicazioni sull’applicazione della norma sono state date dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 3 del 2019. L’Ispettorato ha affermato che il ricorso a un appalto illecito - e quindi alla somministrazione di lavoro in assenza dei requisiti di legge - già costituirebbe, di per sé, elemento sintomatico di una finalità fraudolenta. Con riguardo, invece, alla somministrazione fraudolenta che si realizzi per il tramite di una agenzia autorizzata, la stessa circolare afferma che in questi casi la prova in ordine alla “specifica finalità” deve essere più rigorosa.

«Se questo è il contesto – spiega Luca Daffra di Ichino Brugnatelli – è ipotizzabile che un effetto pratico della reintroduzione del reato potrà aversi con riguardo agli appalti. Il risvolto concreto si sostanzierà in una maggior attenzione del committente nell’individuare appaltatori affidabili, che applichino i Ccnl stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ritengo, invece, che rispetto alla somministrazione non abusiva, i riflessi pratici saranno marginali; la somministrazione, invero, è uno strumento che garantisce ampie tutele al lavoratore».

Sul punto anche Francesco Rotondi di Lablaw fatica a comprendere «l’accanimento del legislatore nei confronti della somministrazione. Questo istituto giuridico, infatti, non comporta minori costi per il datore di lavoro, che è obbligato ad assicurare ai lavoratori somministrati lo stesso trattamento economico e legale dei lavoratori a tempo indeterminato e non realizza mai sfruttamento. Nella somministrazione, a differenza dell’appalto, non ci può essere “dumping” sui costi e trattamenti. È dunque sbagliato assimilare la somministrazione a qualsiasi forma di appalto».

I risvolti pratici
Nel concreto, dunque, sembra che l’attività degli avvocati non avrà grandi ripercussioni per effetto del reintrodotto reato. L’esperienza precedente, infatti, sembra suggerire che i mandati ai consulenti legali non aumenteranno. 

Tuttavia, secondo Luca Daffra di Ichino Brugnatelli, alla luce della circolare dell’Ispettorato, potrebbero aumentare i verbali di accertamento in cui viene contestata la somministrazione fraudolenta, in particolare con riguardo alla fattispecie dell’appalto e del distacco illeciti. «È presumibile -spiega Daffra - che sulla base di tali verbali, vengano addottati i provvedimenti di prescrizione obbligatoria, volti a far cessare la condotta antigiuridica attraverso l’assunzione dei lavoratori alle dirette dipendenze dell’utilizzatore, nonché i provvedimenti di diffida accertativa per gli eventuali crediti patrimoniali dei lavoratori». L’eventuale assistenza del legale sarà quindi richiesta sia nella fase amministrativa che in quella giudiziale, per contestare gli esiti degli accertamenti ispettivi e impugnare gli atti che hanno questi come presupposto.

La reintroduzione del reato comporta altresì l’insorgere di due rischi: l’esposizione della società a una sanzione potenzialmente molto salata e il fatto che il legale rappresentante possa vedere intaccata la propria fedina penale. Come si traducono in concreto queste criticità? Francesco Rotondi di Lablaw ne è sicuro: «i mandati non aumenteranno, tuttavia, all’interno del mandato già esistente, si dovrà fare una valutazione ulteriore. Nella pareristica e nella creazione di modelli di prevenzione (in primis nel c.d. modello 231) occorrerà mettere in atto procedure aziendali che impediscano la verificazione del reato».

Nel concreto, non occorrerà sempre l’intervento di un professionista specializzato in diritto penale. La fase di prevenzione del reato, infatti, può essere condotta direttamente dall’avvocato specializzato in diritto del lavoro. Il giuslavorista dovrà valutare di volta in volta i modelli aziendali necessari al fine di evitare il reato, oltre a segnalare eventuali criticità in fase di due diligence. L’avvocato penalista, invece, rimarrà necessario nell’eventuale situazione patologica in cui dovesse essersi già verificato il reato. Motivo per cui entrambi gli studi collaborano regolarmente con professionisti con tali competenze.

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