Venticinque anni di presenza sul mercato legale italiano. A fronte della geometria variabile che caratterizza il comparto, non è un risultato banale. Lo è ancora meno per uno studio italiano boutique, attivo in un settore di nicchia come la proprietà intellettuale, dove la competizione con i grandi player internazionali è alta. Eppure, Trevisan & Cuonzo nel 2018 festeggia il venticinquesimo anno di attività. «In un mercato così granulare — è la riflessione di Gabriele Cuonzo — oltre ai grandi network internazionali e ai campioni nazionali, la terza classe di studi che secondo noi ha maggiori probabilità di sopravvivenza sono le boutique ad altissima specializzazione. In questo, il mercato legale non è diverso da altri settori industriali: come nella distribuzione alimentare i grandi player esteri e i retailer della Gdo italiani non hanno scalfito il posizionamento di boutique del gusto come Peck, mentre il piccolo negozio generalista fa più fatica. Allo stesso modo riteniamo che, anche nel settore legale, paghi di più mantenere un’offerta di altissima qualità settoriale piuttosto che inseguire il modello full service».
Non tutte le boutique, però, hanno le carte in regola per sopravvivere. Secondo Cuonzo sono tre gli elementi in grado di garantire la prosperità del modello: la capacità di contrastare la qualità standardizzata di uno studio full service con «picchi di eccellenza», riuscire a posizionarsi su segmenti di lavoro non fungibili e, infine, fare in modo che i costi di struttura viaggino su cifre non superiori al 40% del fatturato, in modo da poter garantire alte remunerazioni ai professionisti ed evitare fughe di talenti.
I tre pilastri del modello
Practice d’eccellenza, non fungibilità e retention sono i tre elementi che secondo Gabriele Cuonzo alimentano il modello costruito in questi venticinque anni di attività.
Anche se, lungo il tragitto, c’è stato qualche errore di valutazione: per esempio non ha funzionato l’integrazione del labour nell’offerta (l’esperimento iniziato nel 2015 con l’ingresso in partnership di Edgardo Ratti si è chiuso nel gennaio 2018 con il suo passaggio in Littler). E non è mancata qualche uscita di validi professionisti (Laura Orlando di Herbert Smith Freehills e il partner di Dla Piper Roberto Valenti, per citare due nomi). Il modello, però, è sempre stato chiaro.
E, secondo Cuonzo, si basa su «picchi di eccellenza»: la boutique deve concentrare le risorse in alcuni settori chiave, creando picchi di eccellenza che superino la qualità omogenea dei grandi studi. «In uno studio one stop shop ci sono tanti settori con una buona competenza, magari qualcuno superiore ad altri, ma l’obiettivo dei grandi studi è quello di raggiungere e mantenere un certo grado di standardizzazione della qualità. L’unico modo che le boutique hanno di vincere la sfida con i grandi studi full service è puntare sulla capacità della boutique di produrre eccellenza non fungibile», chiosa. In tal modo, secondo l’avvocato, la boutique può essere redditiva — redditività che a suo parere si raggiungerebbe quando i costi non superano il 40% delle entrate — e offrire alle eccellenze al suo interno compensi superiori a quelli di mercato, in modo da trattenere i talenti e continuare ad alimentare un’offerta di alto profilo, creando così un circolo virtuoso.
I tre picchi individuati da Trevisan & Cuonzo sono: l’Ip, che è il core business dell’insegna, il contenzioso commerciale e, più recentemente, l’antitrust, affidato alla guida di Vittorio Cerulli Irelli, che dal 1° marzo ha accolto nelle fila anche Virginia Bellucci da Libertini.
Le ragioni sono spiegate dallo stesso Cuonzo: «La specializzazione Ip ci ha consentito di avere in portafoglio clienti che si muovono in settori altamente regolamentati, come il Tmt o il Life sciences. La tendenza, nazionale e internazionale, punta verso un aumento dell’intervento delle Autorità. E questo tipo di servizi non potrà mai soffrire il rischio commodity a cui sono esposti altri settori della consulenza. La boutique deve tenersi lontana da tutto ciò che è commodity. Inoltre, in una boutique non funziona l’idea di offrire una paletta di prodotti non integrati. Per questo abbiamo deciso di investire sull’antitrust, che consideriamo complementare al nostro lavoro».
Per leggere l'articolo completo, scarica il numero di aprile/maggio di TopLegal Review
TAGS
Dla Piper, Trevisan & Cuonzo, Herbert Smith Freehills, Libertini & Associati, Littler RobertoValenti, LauraOrlando, EdgardoRatti, VittorioCerulli Irelli, GabrieleCuonzo, VirginiaBellucci